Autore Topic: Il racconto di una valanga  (Letto 110124 volte)

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Offline Jader

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Re:Il racconto di una valanga
« Risposta #15 il: 22/11/2017 16:36 »
Letto tutto d’un fiato...emozionante e istruttivo!
Sicuramente ce stata fortuna ma anche la tua preparazione è stata fondamentale!
Jader
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Offline simonegirar

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Re:Il racconto di una valanga
« Risposta #16 il: 22/11/2017 22:13 »
Intanto grazie per la condivisione, queste testimonianze sono importantassime per capire che l'esperienza aiuta, ma non fa miracoli.

Sono d'accordo con jader, la preparazione a priori aiuta molto, anche se la tecnologia ha dei limiti, per chi sceglie questo tipo di sport/svago, mii pare il minimo l'ARVA, pala e sonda, e per sentito dire in una serata SAT dalle mie parti, da una guida alpina, sarebbe bene prepararsi anzitempo con un'esercitazione minima, anche senza neve, per avere memoria del funzionamento ed approccio alla ricerca, poi per carità, quando ha sotto chi ami, adrenalina mi pare il minimo...... :o .

Non ho seguito la notizia dell'elicottero, e non ho capito se era caduto sul serio o meno.

Poi mi sono perso qualcosa o il numero adesso da fare è il 112?

Ciao a tutti, buonanotte, e un grazie per la testimonianza di tutti e due, aiutano e servono.


Libero come il software che uso.

Offline piesospinto

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Re:Il racconto di una valanga
« Risposta #17 il: 23/11/2017 18:25 »
Letto tutto d’un fiato...emozionante e istruttivo!
Sicuramente ce stata fortuna ma anche la tua preparazione è stata fondamentale!
Più che di preparazione direi che è stata capacità di mantenere una calma sufficiente.
Sono in materia un perfetto dilettante, che al massimo fa una prova ARVA all'anno, ma ovviamente in condizioni ideali. Inoltre le prove finiscono col ritrovamento strumentale, mai che si faccia sondaggio e scavo (ma quest'anno rimedierò). Quindi non posso lontanamente dire di essere preparato.
Integrando anche quanto osservato da simonegirar e Xtreme, posso dire che solo mettendo insieme a posteriori tutti i pezzi di quanto accaduto mi sono reso conto di un paio di cose:
- che tante piccole perdite di tempo (che siano dovute ad errori o no) assommate fanno perdere complessivamente tanto tempo
- che comunque, ritardi o no, il tempo necessario a raggiungere e liberare la bocca di una persona è tantissimo.

E quindi sì, sono convinto che nel mio caso c'è stata anche fortuna, e non poca.
Mauro

Offline AGH

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Re:Il racconto di una valanga
« Risposta #18 il: 23/11/2017 20:27 »
Io ho smesso quasi del tutto di fare scialpinismo negli ultimi anni perché ho paura di farmi male e perché mi sono reso conto che di valanghe non ne so abbastanza. Questo peraltro l'avevo capito da un corso che io stesso avevo organizzato parecchi anni fa, con l'esperto di valanghe Gigi Telmon, che ci fece due giorni di lezione molti istruttivi (uno di teoria e uno di pratica). Ci fece capire  insomma, anche a quelli che si credevano più "esperti" perché da anni andavano in montagna, quanto poco in realtà ne sapessimo.

Riguardo l'Artva, pala e sonda, è vitale saperli usare a menadito e tenersi costantemente allenati, perché in caso di travolgimento di un compagno/a lo shock emotivo è fortissimo, e solo una grande pratica permette di fare le operazioni di autosoccorso "in automatico" e con la massima efficienza, senza farsi travolgere dal panico.

Sottolineo inoltre che l'autosalvataggio con artva, pala e sonda, è davvero l'ultima spiaggia perché non di rado la valanga ti uccide sul colpo.
« Ultima modifica: 24/11/2017 07:22 da AGH »
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Offline Jader

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Re:Il racconto di una valanga
« Risposta #19 il: 14/02/2018 17:50 »
Sabato scorso ho vissuto anche io quest’esperienza.

Questa testimoninza, come le altre, vuole solo essere un racconto che puó, magari direttamente o indirettamente salvare la pellaccia a qualcun’altro come sono riuscito a salvare la mia, grazie si agli insegnamenti pratici raccolti “sul campo”, ma anche a quelli teorici raccolti online.
Mi trovavo con due amici a salire il Vajo Battisti, un couloir innevato nel gruppo Tre Croci sulle Piccole Dolomiti. L’idea iniziale era di salire il “Dell’Acqua”, limitrofo e piu semplice ma poi, ci siamo fatti prendere da alcune circostanze scegliendo il Battisti.

Il Vajo in questione ha una pendenza limitata ( 55° Circa) salvo il tratto finale, che lo rende così ostico sono due stretti canalini di III+ su misto (salvo enormi innevamenti) e le continue scariche da destra dove ci strapiomba sopra cima Tre Croci. Questa via conta parecchi brutti episodi tra cui uno mortale nel 2004.

Tornando a noi..ha nevicato parecchio, ma purtroppo le temperature ormai tendono ad esser alte e la neve fatica a gelare, il rischio valanghe su tutto il SuperGruppo è classificato moderato. Partiamo prima che albeggi in maniera da esser sulla cima prima delle 10 ma notiamo che la neve non è gelata, non è farinosa ma nemmeno buona per affondarvi i ramponi. Notiamo una cordata di due francesi che batte traccia a 10 minuti da noi sul Battisti, mentre sul “Dell’Acqua” non ce nessuno, optiamo quindi per seguire i cugini d’oltralpe.

Si affonda ma la traccia è buona e la neve non fa assolutamente presumere a valanghe sotto i nostri piedi. Nonostante si fatichi saliamo slegati e ci godiamo qualche cascatina di neve da cima Tre Croci.
Al secondo dei due canalini (3/4 del percorso) arriva una prima scarica che schiviamo sia noi che i francesi, forse un piccolo distacco dalla sella terminale. Acceleriamo e ci dividiamo, i francesi scelgono un colatoio a  80° , noi la via normale con meno impenno, scende una scarica piu abbondante, prende il nostro terzo di cordata seppellendogli braccio e gamba destra. Lo liberiamo ma sale adrenalina e paura.

 Siamo quasi a 5m dalla sella, i francesi gia sulla fine del vajo ci dicono che dall’altro versante (sud, la via prevista per il ritorno) si sprofonda gia fino alla vita a causa del forte sola che ha mollato la neve piu del previsto. Optiamo per rientrare dal vajo quindi ma procediamo lenti e legati. Al secondo canalino ( quello che già ci aveva fatto vedere una valanga poco prima)  arriva una bella scarica ma riusciamo a proteggerci ancora una volta. Siamo al primo canalino, 40’ dal rifugio. Scendo per primo e una volta sceso mi slego per preparare una sosta per un cambio guanti. Mi giro verso i miei due compari raccomandandogli di muoversi quando sento un’altra volta quel maledetto rumore..arriva come un proiettile una scarica sollevata quasi un metro da terra dal salto fatto probabilmente dalla cima, incasso il collo tra le spalle e pianto i picconi proteggendomi tra le rocce laterali del canalino, consapevole che i miei amici c’erano in mezzo. Mi arrivano quintali di neve in faccia, sento una fitta tremenda dietro il ginocchio, scorgo a monte che i miei amici non ci sono piu e a valle nemmeno. La portata è almeno 5 volte le precedenti. Nel frattempo continuo a prendere neve a palate ancorato alle picche e vedo una testa nel vallone che spunta mentre fluttua verso il basso. La scarica termina. Spuntano entrambi e  nonostante le mie urla non riescono a sentirmi  né a vedermi… Ed iniziano a scavare come dei forsennati nella neve.  Finalmente riesco a farmi udire e ironicamente gli chiedo se avevano altri modi meno eccentrici per superarmi.

 La scarica è passata ma il pericolo no… Devo raggiungere gli altri due che sono volati giù per oltre 200 m mentre loro si controllano se hanno tutte le ossa a posto io… Cado a terra con dei crampi furibondi alle gambe. Mi faccio forza e controllo dove sentivo la fitta dietro il ginocchio… Due ramponate sicuramente da suturare procurate da ramponi dei miei compagni mentre facevano le capriole in mezzo alla neve, Una è particolarmente dolorosa avvicina al nervo.  Li raggiungo… Ci abbracciamo e iniziamo a scendere slegati e in velocità…! Arriviamo al rifugio provati e raccontiamo l’accaduto, troviamo i francesi che anche loro non sono messi bene… Hanno dei forti congelamenti a mani e piedi è uno dei due ha un principio di ipoglicemia risolve con acqua e zucchero. Io penso solo a birra, tanta birra e ai bigoli al ragù di cervo.

 A parte le due ramponate e qualche botta ci abbiamo rimesso solo un Gore-Tex completamente tagliato, una piccozza e la Gopro,  asportata unitamente all’aggancio in silicone dal mio casco ( non so se conoscete la cementazione che si fa tra l’aggancio e il casco di una  Gopro,  giusto per capire con che violenza è stata investita la camera).

Ho avvertito oltre ai rifugisti il CNSAS e RRM che rimanga traccia dell’accaduto ( E che comunque siano a conoscenza che se trovano una piccozza e una gopro sul vajo non appartengono a dei dispersi) ma abbiamo volutamente evitato di pubblicizzare l’incidente sia per non dare preoccupazioni a casa e sia per evitare le solite polemiche di alpinisti da tastiera su gruppi Facebook e compagnia bella.

Da una breve analisi fatta anche con una guida alpina presente sul posto sembrerebbe si sia staccata una grossa cornice dalla cima.

So che è nato per lo sci alpinismo ma sto valutando seriamente di comprare uno zaino abs facendo spesso ascese di queste tipo.
Jader
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Offline Xtreme

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Re:Il racconto di una valanga
« Risposta #20 il: 14/02/2018 18:23 »
Però....che brutta esperienza, per fortuna è andata bene. Per domenica scorsa avevamo pensato di fare il vajo dell'acqua con un amico, visto che dal Carega erano arrivate buone notizie, poi però abbiamo dirottato per le Dolomiti.

L'abs non so quanto possa aiutare in un vajo, galleggi ma rischi di andare contro le rocce

Offline piesospinto

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Re:Il racconto di una valanga
« Risposta #21 il: 15/02/2018 09:52 »
Accidenti Jader, gran brutta esperienza anche la tua.
Grazie della condivisione.
Bene essere qui a raccontarcele, sono esperienze che fanno crescere.
Mauro

Offline AGH

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Re:Il racconto di una valanga
« Risposta #22 il: 15/02/2018 19:05 »
Grazie per la condivisione della (brutta) esperienza. Penso possa essere utile a molti a considerare quanto può essere sottile, a volte, il confine tra la l'escursione spensierata e il dramma :(
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