Lo Spitz di Tonezza (1694m) visto dalla Val Rio Torto. Rientro dai Paesi Bassi per le vacanze natalizie la sera del 22 dicembre e già sabato 23 sono piacevolmente circondato da parenti e cibi luculliani, che tengono alto l'onore della tradizione che vuole tutti ridotti a insaccati ingombranti entro i primissimi giorni di festa. Per quanto apprezzi i ritrovi familiari, non voglio vedermi tramutato in una balena spiaggiata. Inoltre dopo i consueti mesi di piattume olandese non posso più resistere, per cui la sera stessa salgo a dormire dai nonni, sull'altopiano di Lavarone, e decido che l'indomani esplorerò un altro angolo della mia amata
val d'Astico, attraverso vie che furono di collegamento tra il fondovalle e gli altopiani trentini e che tutt'ora sono in uso da allevatori, le loro mandrie e greggi, guardie forestali, cacciatori o persino bracconieri. Una volta deciso l'itinerario saluto e vado a dormire.
Domani mi aspetta la prima escursione dell'inverno.
La mattina di domenica 24 arrivo a
malga Laghetto (1170m), punto d'attacco di questa escursione, alle ore 9:00. Mi avvio lungo la strada che porta all'acquedotto locale, che fino alla sua fine coincide con il
sentiero 299. Dopo 10 minuti l'asfalto cede il passo al fondo naturale del bosco di faggi, betulle e abeti, coperto in parte dai residui delle nevicate novembrine, impaccati perlopiù lastre ghiacciate. Indosso quindi i ramponcini e procedo giù per la
val Rio Torto. La strada forestale si riduce nel giro di mezz'oretta a una traccia discretamente segnata che costeggia l'omonimo torrente cambiando più volte versante. Nel frattempo il sole si alza e comincia a giocare a nascondino tra le fronde, attorno a me un costante gorgoglio quasi primaverile, che contrasta con le grandi cascate di ghiaccio che occhieggiano immobili dalle balconate rocciose ad est. Mentre cammino l'acqua comincia a farsi vedere, dapprima come rigagnoli che numerosi bagnano il letto secco del Rio Torto, poi come fiotti generosi e per finire indugia in specchi d'acqua color smeraldo. La valle intanto, da angusta e incavata che era, ora lascia più spazio alla vista, che cade ora sullo
Spitz di Tonezza (1694m), che da questa quota bassa e alla luce del primo mattino si staglia e atteggia come le più blasonate sorelle di dolomia, ora sul vero e proprio canyon che mi lascio alle spalle, i cancelli della valle appena oltrepassati. La traccia, da arroccata e tortuosa che era, si tramuta in strada cementata, che mena alle propaggini di
Brancafora: sono arrivato in
val d'Astico.
Da qui mi avvio lungo le stradine poste a nord del
torrente Astico che collegano le varie contrade, incrociando qualche abitante. Vecchi uffici postali dismessi e serrande chiuse mi parlano della vita che probabilmente brulicava in questi borghi fino al boom economico degli anni '60. Meno “fortunati” dei paesi in quota, che furono sfregiati dalla lama a doppio taglio del turismo, paesi come
Longhi,
Scalzeri e
Casotto sono oggi ridotti a gusci vuoti e malinconici, che ospitano gli ultimi superstiti dell'epopea che ha spopolato l'intero arco alpino. Le macchine che vedo passare sulla
SS350, dall'altro lato del torrente, sono piene anche di abituali frequentatori dell'altopiano di Lavarone o Folgaria che da decine di anni passano senza mai fermarsi, se non per qualche sosta diuretica, e queste borgate piene di scorci inattesi che saprebbero offrire un'esperienza montana nuova e sorprendente rimangono immerse nel silenzio di un oblio che sembra inesorabile. Le poche persone rimaste nei prossimi anni potrebbero subire oltre al danno di un abbandono sociale e istituzionale, anche la beffa di una superstrada dall'utilità dubbia ma dalle conseguenze certamente deleterie per l'ambiente, la ormai famigerata quanto fantomatica
Valdastico Nord. Non è la prima volta che cammino lungo le sponde dell'Astico e mi rendo conto di quanta bellezza e quali valori etici, storici e culturali si potrebbero trasmettere dirottando le masse di sciatori e avventori di spa alpine in questi luoghi meno luccicanti ma pienamente autentici.
La graziosa contrada di Lucca, con il Cornetto della Vigolana che svetta sullo sfondo.Uno sguardo verso sud dalla contrada di Lucca. In un'oretta circa arrivo a
Lucca (405m), frazione di
Valdastico: sono le 11:45, decido di fermarmi a mangiare all'imboccatura del
sentiero 621. In un quarto d'ora ho pranzato e mi avvio per la traccia che si inerpica subito e mi porta in poco tempo a contrada
Valeri, tanto deserta quanto meravigliosa. Sull'altro versante della valle, sopra Casotto, scorgo la chiesetta di
Belfiore (748m), meravigliosa contrada
che attraversai un paio d'anni or sono, raggiungibile esclusivamente a piedi. Poco sotto, le case di quella che probabilmente è contrada
Pizzolo.
La chiesetta e la croce di Belfiore, sotto i terrazzamenti forse contrà Pizzolo? Superata contrà Valeri seguo la stradella cementata che corrisponde al
sentiero 621 o
strada della Cingella, una delle antiche vie di comunicazione e transumanza che collegavano la val d'Astico al Vezzena e all'altopiano di Asiago.
La strada della Cingella. La strada si addentra nell'ampia e soleggiata
val Torra, io però cammino nel versate a esposto a nord per cui rimango in larga parte all'ombra, il che non mi dispiace visto che al sole fa davvero caldo. L'altro lato della valle è solcato dal
sentiero 611, che rimane chiaramente visibile per tutto il tragitto. Mentre cammino incontro diversi cartelli che illustrano la toponomastica locale: ogni canalone, ogni ansa della valle ha un nome, legato spesso alla storia degli uomini e i loro mestieri. Spesso, quando i roccioni che mi sovrastano si squarciano in grotte e cavità, dei piccoli presepi fanno capolino lungo tutto il percorso, a testimonianza di come i locali tengano a mantenere vive queste antiche vie.
Uno dei pittoreschi presepi incontrati lungo la via. La strada diventa una mulattiera a fondo naturale più ripida nel momento di insenarsi e passare dalla val Torra alla
val Lunga, che in pochi tornanti porta a un belvedere sulla prima e a bastioni rocciosi spettacolari. È qui che incrocio il bivio col sentiero 611 che porterebbe verso Malga Campo Posellaro (1476m), io mi tengo sul 621 girando a sinistra e, dopo due ore e mezza di cammino e 1000 metri di dislivello, arrivo in vista di
malga Campo Rosà (1451m), esco dal bosco che ormai è quasi esclusivamente popolato da conifere e varco la soglia meridionale dell'
altopiano di Vezzena.
Una meravigliosa cascata di ghiaccio abbarbicata ai roccioni.(clicca per ingrandire) Vista dalla val Lunga sulla val Torra. Si vede molto bene sul versante di destra il sentiero 611.In vista di malga Campo Rosà.Autoscatto à la AGH sulla piana antistante alla malga. Da qui, come il sentiero della val Rio Torto, cammino su un percorso che conosco molto bene: sin dall'infanzia venivo in questa malga con la mia famiglia per prendere il prelibato formaggio di Campo Rosà. Navigo le dolci curve dell'amato altopiano che, dopo 23 anni di frequentazioni, mi sa ancora regalare pace, viste e emozioni preziose. Faccio una curva e mi trovo di fronte alle
Dolomiti di Brenta, alla cui vista semplicemente non ci si può abituare. Incrocio un anziano signore con un cucciolo, che cammina in direzione opposta alla mia, poi un'altra coppia in là con gli anni ma sufficientemente temeraria da affrontare lo spesso strato di ghiaccio che copre il sentiero. Giungo infine sulla
SP9, che discendo fino all'
albergo Vezzena (1417m), di fianco alle piste da sci. Sono le 15:30 circa. Dopo tutte queste ore di silenzio pressoché assoluto, di discrezione e raccoglimento, trovarmi vicino a così tante persone e altrettante automobili mi lascia piuttosto stranito. D'altro canto riconosco la necessità di fare il pieno di zuccheri, per cui entro nel bar dell'albergo, che al di là della barista e di due vegliarde avventrici confabulanti è completamente vuoto, e ordino una fetta di crostata ai frutti di bosco e una cioccolata calda.
L'incantevole dialogo tra il sinuoso Vezzena e le frastagliate pale del Brenta. Inconfondibile la sagoma di Cima Tosa.(clicca per ingrandire) Guardando a est invece svettano (da sinistra a destra) Ortigara, Cima XII, Cima XI, Kempel e Portule. Mentre sorseggio la cioccolata ragiono sul da farsi: ho a disposizione più o meno un'ora di luce e devo raggiungere la macchina, potrei farlo per boschi ma allungherei di parecchio e
avendolo già fatto scarto l'opzione. Saldo il conto e mi avvio per il
sentiero 201 che in breve mi fa sorpassare Malga Palù, poi prendo la
SS349 e la seguo per 2km scarsi, fino a
Monterovere, da cui prendo il
sentiero 299 che in una manciata di minuti mi riporta alla macchina. Prima di raggiungerla passo sul “luogo del delitto” che ha visto la fine dell'
Avez del Prinzep, a metà novembre scorso. Il moncone dell'immenso abete bianco è interamente ricoperto da un telo, mentre il lungo tronco è adagiato sul versante della montagna: saluto questo vecchissimo amico un'ultima volta e raggiungo il parcheggio.
La Vigolana vista dal sentiero 201.Il Gruppo del Brenta dietro alla Marzola, salutati dalle ultime luci del giorno.Quel che resta dell'Avez del Prinzep. Concludo questo giro alle 17:00 circa, quando ormai è quasi buio. Un'escursione ancora una volta intrisa della storia dei luoghi in cui si sviluppa, che condotta in solitaria ha saputo donarmi pace e serenità dopo mesi di impegni, scadenze, fretta e smog.
Sviluppo: 34km
Dislivello: 1500m
Tempo impiegato: 8hIn allegato il file KML.