Borgo Carrero
Se decidete di fare le vostre vacanze in Trentino, e più precisamente immersi nei boschi della Valsugana, non chiedete ai valligiani di mostrarvi la strada più breve per raggiungere Borgo Carrero.
Non chiedete loro di raccontarvi che paese è e quali tesori nasconda.
Non chiedete perché il vostro Gps o la vecchia mappa geografica non lo riporta.
Nella migliore delle ipotesi vi direbbero che non esiste nessun paese con quel nome (e difatti nessuna carta geografica né Gps lo indica); nella peggiore, specie se avete chiesto informazioni a un anziano, vi sentirete invitare, e piuttosto in malo modo, a non impicciavi di cose che non vi riguardano.
Perchè? Perchè Borgo Carrero è un paese scomparso, un paese fantasma. Eppure ben presente nella mente dei valligiani che però, come accade per le cose più oscure, preferiscono non parlarne.
Il nome di Borgo Carrero è il solo elemento che si conosca di questo paese, che fu probabilmente distrutto da una frana fra il 1700 e il 1800. Il resto che si conosce è frutto della tradizione orale, in cui mistero e fantasia si mescolano con la leggenda e la superstizione.
Narra appunto la leggenda che gli abitanti di Borgo Carrero erano accomunati da un unico vizio: l’avarizia. Erano tremendamente avari, per nulla propensi ad aiutare il prossimo.
La fama di Borgo Carrero era nota a tutti: inutile fermarsi a chiedere agli abitanti un bicchier d’acqua; inutile chiedere ospitalità, inutile chiedere aiuto. Gli abitanti di Borgo Carrero vivevano per loro stessi.
Un giorno, un povero mendicante entrò nel paese, desideroso di scoprire se davvero ciò che si diceva di Borgo Carrero era vero: voleva bussare a tutte le porte del paese chiedendo un po’ d’acqua e un boccone di cibo.
Così iniziò la sua opera. Bussa di qua, bussa di là…le persone per aprire la porta l’aprivano, ma quando si trattava di aiutare, non volevano sentir ragioni! Una donna, cui il mendicante aveva chiesto un bicchier d’acqua, rispose: «No che non ti darò da bere! L’acqua quassù fa fatica ad arrivare, e la conservo per darla da bere ai miei gerani, che almeno rallegrano la mia casa con i loro colori sgargianti!».
Nella casa successiva, dove si era fermato, il mendicante chiese qualcosa da mangiare. Il padrone rispose: «No che non ti do il mio cibo! Quel che avanza lo do ai miei maiali, così diventano belli grassi e li posso vendere, guadagnando un bel po’ di soldi! Che guadagnerei vendendo te? Non sei buono neanche per fare da legna da bruciare». Il mendicante era sempre più avvilito.
Si avvicinò alla chiesa, ed, entrato, si mise a sedere su una panca, la testa tra le mani, a piangere e pregare. «Perché sono così avare queste persone?» si chiedeva. «Perché non c’è proprio nessuno che mi dia una mano? Padre mio, che devo fare?». Sì, perché il mendicante altri non era che Gesù, il Figlio di Dio. Arrivò nel frattempo il sacerdote, che vedendo il mendicante seduto sulle panche gli si avvicinò, e lo cacciò in malo modo dalla chiesa, dicendogli che con le sue vesti sporche gli rovinava il legno lucido dei mobili.
Gesù uscì dalla chiesa, e decise che era giunta l’ora di punire gli abitanti del paese per la loro avarizia. Prima, però, volle visitare un’ultima casa, la più povera.
Entrò dunque, e chiese un boccone di pane e dell’acqua alla donnina che era andata ad aprire la porta. Lei lo guardò con gli occhi colmi di pianto: «Ve li darei volentieri, se ce li avessi! Ma sono molto povera, e non ho nulla con me. Per ingannare i miei due figli, ho messo nel forno due pezzi di pietra stamattina. I piccoli, credendo siano pane, sono lì che aspettano di mangiarlo, ma è solo sasso!». Gesù le disse: «vai a vedere se il pane è cotto…». La donna, sbalordita, fece come Gesù le aveva detto, e nel forno c’erano due bei pezzi di pane croccante. Subito la donna lo estrasse dal forno, ne diede un po’ ai bambini e il resto lo regalò al mendicante, perché avesse da mangiare durante il lungo viaggio. Gesù, contento di aver trovato anche una sola persona onesta a Borgo Carrero, disse alla donna: «Stanotte, qualsiasi cosa accada, non guardare fuori dalla finestra!». E se ne andò.
Si diresse sulla sommità della montagna che sovrastava il paese e, posata una mano su un grosso masso che stava lì in bilico, disse: «Fa’ tu quel che devi», e, tracciato un segno di croce sul masso, scomparve.
Quella notte, la donna era a casa con i due suoi bambini, quando un boato scosse la piccola casa. Subito la donna si avvicinò alla finestra per guardare fuori, ma le parole di Gesù le tornarono alla mente, e lasciò chiuse le imposte. Pregò, mentre fuori succedeva il finimondo. Udiva tuoni, scossoni, urla disperate e un vento fortissimo che ululava come un gigante sul punto di morte. La pioggia e la grandine battevano sul tetto della casetta, minacciando di mandarlo in frantumi, ma nulla di questo successe. La casetta, protetta dalla bontà e della generosità dei suoi abitanti, resistette alla distruzione.
Tutto durò sette ore. Alla fine delle sette ore, quando fuori albeggiava, la donna aprì cautamente la porta della sua casa, e uscì all’aperto.
Il paese non c’era più, sepolto da una enorme frana. La donna si aggirò per le macerie, ma non scorse nulla del vecchio paese. Solo ogni tanto, qua e là, qualche mattone faceva capolino tra le macerie. Felice perché la sua casa era stata risparmiata, la donna corse alla chiesa, ma non la trovò. Al suo posto, si apriva una voragine immensa, profonda e buia, che emanava odore di morte. Ancora oggi, quella voragine è chiamata dai valligiani Bus del Diàu (cioè buco del diavolo).
Questa è la storia del paese fantasma di Borgo Carrero.
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