Sgombro subito il campo da possibili malintesi: lontana da me ogni implicazione di tipo religioso e men che meno confessionale.
Per spiritualità intendo tutta quella gamma di sentimenti che nascono, crescono e si ravvivano durante un’uscita in montagna.
Un’escursione regala spesso al nostro animo sensazioni piacevoli: che siano leggere o profonde, durature o passeggere, personali o condivise, esse non sono mai banali o inutili. Penso che siano quindi sempre ricchezza per lo spirito.
Spesso la prima gioia è per gli occhi: boschi vestiti dei colori autunnali, cime innevate che svettano nel cielo terso, fioriture primaverili che sembrano un dipinto, animali nei pascoli, un lampo lontano nel cielo plumbeo, la vista della croce sulla cima dopo un lungo cammino. Questi momenti possono essere “fermati” e la fotografia digitale è fantastica in questo senso. Quando guardo le mie immagini di montagna, i ricordi e le emozioni nascono vive come al momento dello scatto.
Per me che sono rinato all’ascolto da pochi mesi anche la bellezza di ciò che si ode è significativa. Il cinguettio di un uccello, il fischio della marmotta, il canto del vento e il mormorio del ruscello sono voci di una grande orchestra che “prima” suonava anche per me, ma inutilmente.
Personalmente il raggiungimento della vetta è uno dei più gratificanti, ma non per la degna conclusione di un esercizio atletico: non ho mai avuto di questi stimoli, anzi. Riassumo il mio sentimento in questa frase dialettale. “Per vardàr cossa che gh’è da l’altra banda…”. Ecco, lo spettacolo di valli, cime e boschi che si ammirano dalla vetta è per me molto appagante e soddisfa la mia passione per la geografia in senso generale.
Anche la soddisfazione dei compagni di escursione può essere motivo di gioia. Ricordo certe scialpinistiche con lunghe salite faticose e discese emozionanti, che terminano inevitabilmente con un prolungato sguardo all’indietro: la luce negli occhi vale più di mille parole.
Più profonde sono le intime emozioni personali che nascono durante una camminata solitaria in luoghi sperduti, esperienza che alcuni di noi, più “orsi”, prediligono. I pensieri sgorgano spontanei, le riflessioni non sono per forza riferite alla montagna che ci circonda. Anzi, talvolta, la solitudine e il conseguente silenzio aiutano a un’introspezione, difficile nella vita quotidiana (e qui, per chi crede, ci sta anche il tempo per una silenziosa preghiera).
Le sensazione non sono però sempre positive e gratificanti, talvolta lasciano un senso di malessere, di insicurezza, di fragilità che rivelano pur sempre il segno della natura umana. Penso alla paura per un passaggio difficile, alla delusione per non aver raggiunto la mèta, al disincanto di una vetta che speravamo più bella. Ma anche allo spettacolo di una montagna massacrata e svenduta.
Si può forse affermare che questi sentimenti sono come fiammelle che tutte nascono dalle grande “scintilla” di cui si parlava in altra discussione. Descriverne i mille guizzi e le infinite sfumature è assai difficile. Noi ci accontentiamo di suscitarle con il nostro girovagare per i monti. Lo spirito ne gioirà e penserà a serbarne il ricordo.