Solitarie sono le vette.
Voi, amici, che come me frequentate abitualmente le montagne, non avete mai pensato alla solitudine delle cime? Mai avete considerato quanto silenzio le accarezza e le abbraccia, mentre se ne stanno lontane da ogni rumore, immobili e mute?
Il torrente corre tra le rocce, scende a balzi in cascate, si allarga placido tra i pascoli nelle pozze limpide. E’, per questa sua natura di eterno movimento, mai solitario, anzi. Vede, tocca, ascolta e parla, nel suo andare perenne di madre assieme ad altre a lui sconosciute madri, verso il figlio che scorre più a valle. Il torrente non è mai solo. Sotto un ponte di tronchi bagna la felce e di lei si profuma, in mezzo al bosco lancia all’abete un gorgoglio cordiale, ad esso si dissetano le bestie selvatiche che specchiandosi bevono alle sue acque tremule. Mai è solo il torrente.
Pure il bosco non soffre la solitudine. Basta pensare alle cime di abeti e larici scosse dal vento che li fa mormorare e talvolta urlare o alla pioggia che crea il canto dei faggi facendo vibrare le foglie melodiose. Gli animali, poi, donano al bosco una vivezza che a noi è perlopiù sconosciuta. Chi ha pazienza può scoprirla, questa meraviglia del bosco, pulsante nei movimenti silenziosi delle bestie, nei loro sguardi attenti all’odore o rumore che hanno percepito, nel brucare timido e leggero l’erba del bosco. E’ vita condivisa in compagnia.
Ma le montagne? Esse stanno immobili, perennemente immobili, silenziosamente immobili. E sole.
Molti milioni di anni fa sono nate da uno scatto improvviso della terra verso l’alto, primo e ultimo, unico movimento della loro eterna staticità. Mi piace pensare che questo sia avvenuto con un sollevarsi repentino della crosta terrestre, qua è là, puntiforme. La punta si è diretta come un razzo verso il cielo e tanto più sottile è diventatato l’apice di questa punta quanto più in alto si levava sotto l’azione potente delle invincibili forze sotterranee, espressione purissima del moto fisico contro la forza di gravità. Ma poi, quando tutto è finito, quando il cielo si è ripulito e una luce di nitidezza cristallina lo ha illuminato, è rimasto soltanto un silenzio immenso. Lì è cominciata la solitudine delle montagne. I signori geologi del forum non saranno certamente d’accordo, ma a me piace pensarla così.
Chi di voi ha trascorso notti in bivacco, avrà sicuramente vissuto e gustato quel breve tratto di tempo che abbandona la sera e va lento verso la notte. Crepuscolo o tramonto che vogliate chiamarlo, in esso c’è la quotidiana morte della luce, che si affievolisce e come scivolando all’insù si arrampica verso le vette. Lassù, nel silenzio, l’ultimo sole prima fa brillare le rocce con potenza quasi divina, poi con un passaggio istantaneo le scavalca e se ne va oltre l’orizzonte, abbandonandole. Allora le cime vivono la più alta solitudine. Allora la perduta luce si allontana inesorabilmente e va a mangiarsi altre cime lontane: loro, immobili, restano mute a rimpiangere quegli ultimi raggi fuggenti. E già nel cielo brillano le prime stelle. Il silenzio, pur rotto qua e là dalla brezza vespertina, si fa profondo e misterioso. Nel crepuscolo che lambisce le rocce e con dolce violenza le persuade alla notte, c’è il segno della prima oscurità, del buio che in poco tempo nasconderà completamente questi giganti solitari. Essi scompaiono quasi nel nulla, ma rimangono alti e silenziosi. Ora allo spuntare delle stelle, il volto delle cime è appena delineato. Guardando bene s’indovina il noto profilo della cresta, un barlume di luce morente mostra la forcella che abbiamo magari scavalcato poche ore prima. Si può immaginare un soffio di vento che fa il solletico alle crode. Ecco, forse solo il vento, il libero vento che non si sa da dove venga e dove vada, è l’unico elemento che fa compagnia alle vette nella notte. Non c’è altro se non il nulla tenebroso.
Ma al mattino…
Quella stessa luce che aveva abbandonato le cengie e le balze lasciandole al buio della notte, appare improvvisamente sulle vette, brillando come un minuscolo sole. Le sfiora, quasi incerta, poi dolcemente le bacia, mollemente le avvolge, le riscalda maternamente, scende lenta per i pendii e le pareti, penetra nei valloni ombrosi, valica le forcelle. Infine tutte cinge in un abbraccio che profuma di umido tepore e di luce. Calde sono, illuminate, ma sempre soltarie rimangono.
E’ bello pensare che loro, le vette, le cime, i monti, alti o bassi, tondi o appuntiti, rocciosi o boscosi, godano nel rimanere in questa solitudine. Nella vita di ogni giorno essa ci è negata. E’ per questo che quando portiamo i nostri passi assieme ai pensieri più intimi al cospetto delle solitarie montagne, andiamo inconsciamente cercando palpiti silenziosi e felici di solitudine, che non è paura di restare soli ma piacere di sentirsi soli. Trovarla è spesso faticoso, ma assaporarla è sempre inebriante e dolce è il suo ricordo.