Lungo la dorsale del Durmont, sullo sfondo Cima Vallon nel Brenta meridionale
Quella che sulla carta doveva essere un “giro da pensionati” si è rivelato, preso un po’ troppo alla leggera, una durissima scavallata con rientro a notte fonda alla luce delle pile frontali. Ma veniamo ai fatti. L’idea era di esplorare un’altra zona ignota, nella fattispecie la zona della V
al Manez e il Monte Iron, osservati da lontano nella precedente escursione a Cima Sera.
Salendo verso cima Durmont, panorama sul Caré Alto
Nei pressi di Cima Durmont
La Val Manez bassa, sullo sfondo a sx la piramide di Cima Sera
Vista sul Caré Alto e Corno di Cavento
Consulto un po’ di mappe come al solito e, pur senza dare troppo peso alla cosa, mi insospettisco perché le varie carte non sono concordi sulla possibilità di percorrere le creste da Durmont fino al passo delle Malghette. In alcune mappe il sentiero c’è, in altre il nulla. Come al solito, si vedrà sul posto.
L’idea è dunque di fare il giro della Val Manez da Cima Durmont al Monte Iron seguendo creste e dorsali. Io e Signoraaquilone raggiungiamo passo Daone a m 1295 dove parcheggiamo, quindi partiamo seguendo il sentiero n. 9 che, con una serie di decise rampe, arriva alla prima cima della giornata:
Cima Durmont 1835, con uno spettacolare panorama sul
Carè Alto da levare il fiato.
Vista su Cima Vallon e Corno di Senaso
Fin qui sono appena 500 metri di dislivello, ma il peggio deve venire
. Dopo breve sosta seguiamo la bellissima e panoramica dorsale pianeggiante sospesa sopra la val Rendena e la selvaggia Val Manez. In seguito si perde quota, quasi 200 metri per scendere a
Passo di Campiol 1666, quindi altri 200 per salire al
Monte Cargadursi 1859 dove facciamo la sosta pranzo nel tepore di una clima incredibilmente mite.
Vista sulla bassa Val Rendena
Cima di Vallon e Corno di Senaso
Veduta verso Pinzolo, a sx la Presanella
Il sole inizia a tramontare sul Caré Alto
Dalla cima inziamo la discesa per il versante nord innevato, tutt’altro che banale. Si scende “a panza” per il bosco ripido a ridosso del crinale, cercando di indovinare la traccia coperta dalla neve (non ci sono orme o tracce). Raggiunta la selletta sottostante, ancora salita fino al
dosso di Margole, dove però siamo respinti da una muraglia di mughi apparentemente invalicabile. Torniamo indietro e cerchiamo un passaggio ma c’è un salto verticale di roccia di un centinaio di metri che proviamo ad aggirare. Perdiamo quota e decidiamo grazie al gps del cello di andare a intercettare il
sentiero 350 che corre più in basso. Il tentativo riesce calando per il bosco ripido e aggirando altri salti di roccia, alla base dei quali troviamo il sentiero.
La non banale discesa per il M. Cargadursi (a sx) e il Dosso di Margole che ci ha fatto penare per i salti di roccia
Guardando indietro per la dorsale verso Cima Durmont
Raggiungiamo quindi il
Passo Malghette 1723, dove si pone un ulteriore dilemma: dove salire per raggiungere il crinale a sud del
M. Petta. Non si capisce granché da qualche traccia esile e coperta da neve...
Dal Passo delle Malghette si sale ripidamente verso il crinale di Cima Petta
Le vertiginose pareti del Castello dei Camosci precipitano sulla Val d'Algone
Saliamo ancora “a panza” per delle radure boscose sui versanti coperti da cortine di mughi assolutamente impenetrabili. Il gps del cello ci viene parecchie volte in aiuto per fare il punto posizione. Intercettiamo finalmente il
sentiero 15 che sale ripidissimo verso la cresta.
Il lungo crinale verso cima Iron (innevato sullo sfondo)
Sembrava fatta e invece comincia
il vero calvario: una
sequenza infinita di saliscendi su e giù di 100 metri alla volta per cime e cimotte, dove i versanti di salita rivolti a nord sono innevati con almeno 40-50 cm di neve ghiacciata o fresca che rallentano enormemente la marcia.
Il sole si abbassa inesorabile all'orizzonte
Corno di Senaso
Non ci sono tracce (a parte quelle dei camosci che sembrano seguire il sentiero) e questo complica parecchio l’orientamento nel seguire il percorso che si snoda tra mughi, boscaglia e radure lungo il filo di cresta, tra i precipizi ad est sulla
Val D’Algone e le barriere impenetrabili di tremende mugaie a ovest sulla Val Manez. Comincia a farsi tardi, il percorso è tortuosissimo per la tormentata cresta della “Montagna di Manez”.
Guardando indietro verso Cima Petta
Le ombre si allungano verso l'alto...
Verso il Monte Iron in uno dei tratti più praticabili
Tramonto di fuoco su Cima del Vallon
Il sole cala inesorabile all’orizzonte e arriva rapidamente il tramonto mentre siamo ancora a quota 1900. Compare la luna sopra il
Castello dei Camosci. Io comincio un po’ a preoccuparmi, perché il Monte Iron appare ancora lontanissimo, ma soprattutto perché ci sono ancora diverse cimotte ripide da rimontare dal versante nord nella neve alta.
Sorge la luna dietro il Castello dei Camosci
Comincia a farsi buio: lo spettacolo invero è bellissimo con le luci del fondovalle immerse nell’oscurità, il profilo del Carè Alto che riflette gli ultimi chiarori dei ghiacciai a 3500 metri. Ma noi dobbiamo stare molto attenti a non perdere il tortuoso corridoio tra i mughi. Le rampe a nord sono micidiali, mezzo metro di neve fresca o ghiacciata dove gli scarponi non fanno presa e moltiplicano la fatica della salita.
Guardando verso cima Durmont
Ormai è buio, la neve scintilla alla luce della luna, arriviamo stanchi sull’ultima cima prima di arrivare al
Monte Iron. L’imperativo era arrivare sull’Iron prima che facesse buio ma ormai non si vede più una mazza, tiriamo fuori le pile.
La luna sul Brenta meridionale
Sta calando il buio e il Monte Iron è ancora lontanissimo: è l'ultima cima a sinistra
Ora bisogna scendere l’anticima e trovare la via per salire il M. Iron che vediamo a ormai a mezzo chilometro. Le mugaie al buio però sono dei labirinti dove non si capisce se c’è un passaggio oppure no. Dopo un paio di tentativi a vuoto scendiamo verso una radura per un costone erboso molto ripido dove però bisogna stare molto attenti a non scivolare.
Buona notte...
La stanchezza comincia a farsi sentire. Ci infognamo un paio di volte in corridoi ciechi tra i mughi poi, non so come, a intuito risalgo verso il crinale e trovo il passaggio per il rotto della cuffia prima che faccia completamente buio. Ancora salita nella neve fonda e dopo un centinaio di metri siamo finalmente “salvi”, avvistiamo
la croce del Monte Iron e arriviamo in vetta che sono già le 18.00 passate. Ora ci attende una lunghissima discesa per rientrare a Passo Daone, che sta sull’altro versante della Val Manez (ci metteremo circa 3 ore!). Incredibilmente in vetta c’è una
temperatura mitissima nonostante sia ormai notte. Quasi dispiace dover scendere, ma il rientro è ancora lungo quindi scendiamo per il lungo e aereo crinale dove il sentiero, come previsto, si segue abbastanza facilmente alla luce della frontale. Sotto di noi brillano le luci del fondovalle, mentre all’orizzonte verso la Val del Chiese si spengono definitivamente i colori del tramonto.
Ultima (pessima) foto poco sotto cima Iron, calando verso Ancis
Passiamo per la
Cima del Brenner e poi giù ancora nel bosco fitto. Sul cello ho l’
app con la cartografia della Tabacco, molto utile per fare il punto della posizione. Tuttavia nei pressi di
Cima Ancis perdiamo la deviazione (proprio non la vediamo) che dovrebbe arrivare sulla strada forestale e arriviamo alla
località Ancis, una magnifica radura punteggiata di baite che scorgiamo al chiaro di luna. Così però abbiamo perso inutilmente altri 100 metri di dislivello. Ancora il cello col gps ci aiuta notevolmente nell’orientamento per trovare
la traccia che ci riporta finalmente sulla forestale, dove tiriamo un sospiro di sollievo, ora siamo veramente salvi. Con un eterno traversone scendiamo per il
versante ovest del Monte Iron fino all’impluvio del
Rio Manez, quindi cambiamo versante scendendo fino alla frazione di Manez. L’inversione termica si manifesta con un freddo che ci arriva addosso quasi improvviso, per cui indossiamo subito giacche a vento e guanti.
Il percorso: al centro in alto il Monte Iron, con il lunghissimo rientro notturno
Da Manez prendiamo quindi la strada forestale che con altri 200 metri di durissima salita - siamo ormai al lumicino delle forze- ci riporta a Pramarciù e quindi fino al
Passo Daone dove abbiamo la macchina quando sono ormai le 21.00. Praticamente quasi 12 ore di marcia ininterrotta se si eccettua la pausa pranzo di 3/4 d’ora. In conclusione una escursione magnifica, sia pure con difficoltà tutt’altro che banali per il rientro notturno e la marcia forzata.
Utilissime e anzi indispensabili le pile e il gps del cello che ci hanno permesso di trovare rapidamente l’orientamento quando avevamo dei dubbi.
Infine un ringraziamento per Signoraaquilone, che non si è mai lasciata sfuggire un solo lamento nonostante l’escursione abbia preso una piega nel finale davvero tosta
Sviluppo circa 24 km, dislivello “incalcolabile” per l’infinita serie di saliscendi ma realisticamente attorno ai 1300 metri.