Lupo nell'aerea faunistica di Spormaggiore (© foto Agh)Interessante articolo di Annibale Salsa su...
Il ritorno del lupoDa circa due/tre anni compaiono sulle cronache del Trentino-Alto Adige alcune testimonianze di avvistamenti di lupi nell'area compresa fra la Val d'Ultimo e la Val di Non, a cavallo fra le Province di Trento e Bolzano. L'ultima notizia, molto bene documentata attraverso riprese con telecamera, riguarda il territorio del Comune di Castelfondo, nell'alta Anaunia. Penso che i lettori trentini, abituati a sentire parlare più frequentemente di orsi, si chiedano da dove arrivino questi primi esemplari di predatori alla conquista del Trentino.
Occorre premettere, in proposito, che il lupo nelle Alpi si estingue negli anni venti del secolo scorso. Nell'anno 1925 circa, viene abbattuto l'ultimo esemplare in una valle poco antropizzata delle Alpi Liguri-Piemontesi, la Val Corsaglia (località Oberti, Comune di Montaldo Mondovì, Provincia di Cuneo). Ho ancora vivo il ricordo di quando ero bambino e i valligiani raccontavano, con toni epici, l'avvenuto abbattimento della temuta «belva».
Le taglie per la cattura dei grandi predatori erano ancora diffuse ed ambite. Si pensi all'orso trentino della Val Rendena al quale il famoso «Re di Genova» - Luigi Fantoma della Ragada di Strembo - ha legato la sua fama quasi mitologica. Occorre, però, fare una premessa per capire il succedersi degli ultimi eventi. Bisogna sapere, anzitutto, che il modello insediativo rurale nelle Alpi è prevalentemente di tipo sparso, soprattutto nelle aree di cultura tedesca. Pertanto, nell'arco alpino il controllo del territorio risulta più capillare rispetto a quello dell'Appennino, dove invece prevale l'insediamento accorpato che favorisce la presenza di vasti spazi selvatici.
Ciò spiega la ragione per cui, lungo la dorsale appenninica, il lupo non si è mai estinto ed ha continuato a scorrazzare dalla Calabria alla «linea gotica», ovvero fino al crinale tosco-emiliano-romagnolo come massima espansione verso Nord. Fino agli anni Cinquanta del Novecento le Alpi erano intensamente abitate. A partire dagli anni Sessanta inizia, nel settore occidentale, un massiccio spopolamento cui fa riscontro una crescita graduale di cervi e caprioli che, in quelle valli, erano diventati piuttosto scarsi. I fattori concomitanti dell'abbandono delle terre alte da parte dei contadini e le politiche di ripopolamento delle aree protette mediante immissioni di ungulati hanno consentito ai lupi di superare la barriera bio-ecologica degli Appennini. Attraverso la cerniera orografica dei monti liguri, i primi esemplari di lupi sono entrati nello spazio alpino, non più disturbati dalla presenza capillare dell'uomo.
Il primo avvistamento risale al 1990 in una valle remota del versante, oggi francese, delle Alpi Marittime nei pressi del villaggio di Mollières, abitato attualmente soltanto in estate. A titolo di curiosità storica mi piace ricordare come questo villaggio, italiano fino al 1947, beneficiasse dell'esenzione dal pagamento delle imposte a causa della sua collocazione svantaggiata e isolata. Siamo nel Parco Nazionale francese del Mercantour, dove sono stati immessi numerosi nuclei di mufloni trasferiti dalla Corsica. Dopo le prime segnalazioni di giovani lupi in disseminazione, cioè alla ricerca di nuovi spazi vitali come sta accadendo in Val di Non, si sono formati i primi branchi che, gradualmente, hanno trovato stabile dimora lungo le valli delle Alpi Occidentali franco-italiane spingendosi fino alla Valle d'Aosta (Gran Paradiso).
Da qui il loro cammino è proseguito sul versante svizzero attraverso il Vallese, l'alto Canton Ticino, i Grigioni. Ma in Svizzera il lupo non avrà vita facile poiché, in base a una legge federale, allorquando i selvatici arrecano danni superiori a una determinata soglia, possono essere legalmente abbattuti. Intanto, in Piemonte e in Francia, le segnalazioni di attacchi al pascolo vagante di ovini e caprini si moltiplicano a dismisura. Nei primi sei mesi dell'anno 2011, i danni al patrimonio zootecnico superano i valori dell'anno precedente. Occorre tenere presente che il lupo, come l'orso e la lince, è protetto dalla Convenzione di Berna siglata il 19 Settembre 1979. Proprio nel Paese dove essa è stata siglata, si sta chiedendo l'uscita della Confederazione rosso-crociata dalla Convenzione stessa.
È di questi giorni la costituzione, nella cittadina francese di Barcellonette (Alpi di Alta Provenza) dell'Associazione degli «Indignati del lupo», strettamente collegata ai vicini pastori delle valli cuneesi. Per tornare ai sempre più frequenti avvistamenti in Val di Non va detto che il difficile corridoio svizzero, capillarmente contrastato con precisione elvetica, è stato la causa del ritardo con cui il lupo si è affacciato in territorio trentino. I centri di ricerca sul lupo, rispettivamente sul versante italiano a Entracque (Parco Regionale Alpi Marittime) e su quello francese a Saint-Martin-Vesubie (Parco Nazionale del Mercantour), stanno monitorando gli spostamenti degli esemplari muniti di collare.
Proprio ad Entracque ho potuto vedere, attraverso la sofisticata strumentazione informatica del Parco, come gli esemplari dei lupi giovani in disseminazione si siano affacciati alle Alpi Bavaresi ed a quelle Tirolesi e Trentine. Il malumore che sta crescendo sulle Alpi francesi e su quelle piemontesi è anche legato all'incremento che la pastorizia e l'allevamento ovi-caprino hanno registrato in anni recenti. Alcuni nuclei familiari giovanili sono tornati a confrontarsi con la vita di montagna e con le attività ad essa collegate. Ma, fortunatamente, il fenomeno neo-rurale ha registrato sensibili progressi nelle Alpi. Oggi molti neo-allevatori si stanno però chiedendo se la loro presenza sia compatibile con quella del lupo. Sarebbe davvero triste dover constatare che il cauto ottimismo, legato ad un timido ritorno alla vita in montagna, dovesse dissolversi in nuovi scoramenti e frustrazioni di giovani montanari animati da ammirevole entusiasmo.
La sfida di oggi, al di fuori dalle strumentalizzazioni ideologiche e dall'uso politico del sapere scientifico, consiste nel capire se il modello gestionale futuro dell'ambiente montano debba ispirarsi alla scelta bipolare «et-et» (convivenza possibile uomo-predatore) o a quella «aut-aut» (o l'uomo o il predatore). Mettiamoci quindi al lavoro con buon senso, abbandonando le tifoserie opposte, per guardare meglio in faccia alla realtà.
Annibale Salsa
È Studioso di antropologia culturale
e della montagna, già presidente del Cai
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da L'adige on line di oggi