giro la risposta alla domanda che ho fatto a paolo forte, titolare di WILDLIFE SHOP, sito di commercio elettronico di WILDLIFE CARE, che si occupa da oltre venti anni di fauna selvatica e della sua protezione. Ovviamente tu risponderai che la sua è una opinione di parte, però mi pare persona appassionata ed è una campana che vale la pena sentire

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Inizio messaggio inoltrato:
Da: "WILDLIFE CARE" <info@wildlifecare.it>
Data: 12 marzo 2009 0:47:24 GMT+01:00
Oggetto: Re: Nuova richiesta informazioni per il sito WILDLIFE SHOP
Rispondi a: "WILDLIFE CARE" <info@wildlifecare.it>
Salve,
la ringrazio per il suo interessante quesito.
Le devo premettere che tra i faunisti ci sono posizioni assai diverse, anche se una certa "corrente di pensiero" è la più seguita.
Questa posizione è la stessa condivisa da me e la riassumerò brevemente.
La sua amica avrebbe sicuramente ragione se ragionassimo sulle condizioni di una assai vasta porzione di territorio che mantenesse ancora delle condizioni di perfetto e totale equilibrio naturale.
In quella situazione aiutare soltanto una componente della rete alimentare (seppur emotivamente comprensibile), arrecherebbe un artificioso sconvolgimento del corso naturale.
Di fatto, tale ipotetico scenario, è assente nel territorio nel quale viviamo.
Alcune porzioni mantengono ancora queste caratteristiche, ma in quei contesti non esiste presenza antropica che possa intervenire, anche soltanto per puro piacere personale, alimentando la fauna presente.
Nel resto del territorio le condizioni naturali, di perfetto equilibrio tra le varie componenti sono ampiamente e largamente modificate da azioni dirette o indirette dell'uomo.
Non ha senso parlare, quindi, di selezione naturale o di naturale corso della natura.
Se a questo aggiungiamo particolari ed eccezionali condizioni selettive (inverno particolarmente rigido, ad esempio), abbiamo un risultato catastrofico per le popolazioni di fauna selvatica.
Intervenire dando cibo o rifugi, quindi, è un reale aiuto.
Continuando a non introdurre nessun elemento emotivo, c'è una certa differenza tra la scomparsa per fame di un'intera popolazione di uccelli e la sua sopravvivenza (dovuta al rifornimento di cibo praticato artificialmente).
Tali considerazioni sono applicabili naturalmente a passeriformi o ad anatidi.
Per altre famiglie, come alcuni rapaci, in certi casi è assolutamente vitale l'alimentazione artificiale, perlomeno in alcuni momenti. Mi riferisco ai carnai per alcune specie di avvoltoi, ad esempio.
Tali considerazioni non sono applicabili per popolazioni non a richio (i colombi in città ad esempio).
Per quanto riguarda le altre osservazioni inerenti il possibile rischio di malattia, questo è assai trascurabile se paragonato al sicuro rischio di morte in assenza di cibo o al medesimo rischio presente per il reperimento naturale, a parità di carenza di cibo, del poco cibo presente nel territorio.
Lo stesso per le trasferte, meglio spostarsi ma avere una fonte di cibo o sostare ma non sopravvivere?
Il rifornimento con cibo di qualità e ad alto contenuto energetico, ad esempio, riduce il numero di trasferte ed il tempo dedicato alla ricerca di cibo (palle di grasso o mangimi high energy).
In termini generali va sempre, in definitiva, valutato il prezzo in termini di costi e benefici di un intervento umano e, a mio parere, i benefici superano ampiamente i poco probabili rischi.
Chiaramente, la fornitura di cibo deve essere costante e deve essere interrotta non appena le condizioni permettano un aumento della disponibilità di fonti naturali.
Gli unici rischi che rilevo sono nell'errata fornitura di cibo (cattiva qualità, sementi bagnate, cibo in cattivo stato di conservazione, presenza di muffe o funghi nelle sementi, alimenti non corretti, pulizia della mangiatoia inadeguata, etc. etc.).
Spero di essere stato d'aiuto nella vostra amichevole contesa, e resto in attesa di vostre eventuali osservazioni su quanto vi ho esposto.
Grazie
Paolo Forte
WILDLIFE CARE
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