Si parte da Refavaie, io e Selvagem, alle 6:15. C’è subito un primo piccolo errore. Oltrepassiamo il sentiero che sale al bivacco Sordo, che vediamo sì inerpircarsi nel bosco, ma senza alcuna indicazione. Dopo poche centinaia di metri sulla forestale di fondovalle facciamo dietro-front, lo imbocchiamo e cominciamo la salita. Il sentiero è veramente bello, largo e comodo. Termina al bivacco R. Sordo, dove avevo preventivato di fare scorta d’acqua. Ma la fontanella è morta. Grave errore, passerò la giornata sfruttando - ma poco - le bevande di Selvagem. Si prosegue sulla forestale che è praticamente una parallela alta della strada di fondovalle, sempre pianeggiante, fin quasi al suo termine, dove tende a scendere. Qui cominciano le incertezze, come si conviene ad un’escursione esplorativa.
Alla fine della strada, venti metri più in basso, tra massi di granito e vecchi tronchi divelti, scorre l’acqua dei Diaoi. Nella breve scarpata di bosco soprastante, appese ad un tronco, due tabelle, una delle quali manda in su, verso i luoghi dove siamo diretti. Ma sopra non c’è alcun passaggio sul torrente e al di là il bosco è una parete impraticabile. Più in basso, invece, una comoda passerella attraversa l’acqua e risale la riva opposta.
Nella relazione più recente in mio possesso si parla di questa passerella. Allora scendiamo. Dalla passerella si vede l’inizio della forra soprastante,
attraverso la quale l’acqua dei Diaoi, che è formata dalla confluenza di tre distinti torrenti, cade sul fondovalle della val Cia. Da questo errore fondamentale nasce il nostro itinerario, diverso da quello programmato. Al di là della passerella, la traccia ben visibile comincia a scendere nel bosco in lieve pendenza. La seguiamo per un po’, ma non è la direzione giusta. Torniamo indietro e cominciamo una lunghissima salita nel bosco, per molti tratti assai ripido. La direzione di massima è “in su e in via”. Piante abbattute, ramaglie, rododendri e bassi cespugli ostacolano il cammino, ma le provvidenziali tracce delle bestie ci aiutano non poco.
Ogni tanto una piccola altura ci concede di tirare il fiato. Siamo fuori dal bus del Diaol, rivolti verso il Lagorai, del quale vediamo le cime nei pochi brevi spazi aperti.
Il GPS ci dice che stiamo ravanando verso il Forzelin dei Diaoi. Dai e dai, in su e in via, arriviamo sotto il Forzelin, o Aia del morto, come indica la scritta con il marchio inconfondibile del buon Franzi (scritta rossa in campo giallo, colori di Borgo Valsugana?).
Per capire la nostra posizione bisogna conoscere la complessa orografia dei luoghi. Il Forzelin (sulla Trekkart è citato come “Porzelin”, potenza della toponomastica!) è l’unico passaggio praticabile dello Spigolo dei Diaoi, dorsale rocciosa e boscosa che parte dalla forcella di Seolé e scende verso la val Cia (Vanoi) separandola dal Bus dei Diaoi, cioè dove noi abbiamo superato la passerella per risalire il bosco. E’ un valico boscoso non troppo ampio, ma abbastanza agevole. Dopo breve sosta scendiamo al di là giù per un bosco impervio. Siamo già belli alti e per recuperare l’itinerario programmato, che corre lungo il fianco dello Spigolo a una quota inferiore, ci caliamo ancora. Giù, quindi, per bosco rado, frane di granito, cepugli di ontano, rododendri: vi lascio immaginare che bel camminare. Portatici abbastanza in basso decidiamo che è ora di cominiciare a traversare, salendo progressivamente. Ricomincia quindi l’ascesa graduale, sempre sul terreno misto descritto prima. Importante, a questo punto, è evitare la mugaia che più avanti si vede chiaramente scendere come un mantello che copre il pendio. Oltre il vallone del Bus del Diaol, molto in basso, si scorge ora chiaramente l’ampia radura dell’aia del Todesch, dove avremmo dovuto passare.
Dalla nostra posizione si vedono bene i tre torrentelli (col del Vento, Todesch e acqua dei Diaoi) che in basso confluiscono e scendono nel Bus del Diaoi vero e proprio.
Si sale su ghiaioni di massi granitici appuntiti, fascie di rododendri, macchie di ontani nei quali si impigliano i bastoncini che sporgono dallo zaino.
Per evitare la mugaia – un vero incubo – ci portiamo fin quasi sotto le rocce dello spigolo dei Diaoi, la dorsale dalla quale siamo discesi attraverso il Forzelin, il cui intaglio è ben visibile nella foto seguente.
Qui, al limite superiore delle frane, le tracce dei camosci sono, come è naturale, più evidenti. Alti sopra la valle dell’Acqua dei Diaoi, vediamo finalmente, al di là e ancora lontano, l’Aial del Laresé, giallastro spiazzo prativo dal quale parte il rampone granitico che porta al lago del Bus. Un ultimo attraversamento di pietrame e ontani maledetti ci porta sotto lo spigolo nord di cima Corma.
Siamo all’imbocco della Busa della Bomba,
ma ben più alti dell’aial. La perdita di quota è una fatica supplementare che scartiamo. La Busa della Bomba è alle nostre spalle, risalendola giungeremmo alla forcella di Seolé, poco sotto la cima Corma, nostra meta. Busa della Bomba allora!
Anche qui sassi, sassi e sassi, qualche lingua erbosa, terreno sempre ripido. Nel versante opposto della Busa, che poi diventa vallone,
sembrerebbe passare una traccia, ma è al sole e preferiamo restare sulle nostre nell’ombrosa frescura. Qui vedo gli unici esseri viventi incontrati in questi luoghi: un camoscio e una marmotta. Per arrivare alla forcella si superano alcune roccette e finalmente siamo su. Venticello che invita al riposo. Dopo spuntino, foto e sbinocolata, Selvagem, stanco di portare in giro i suoi più che 80 kg, si spara una pennica, mentre io comincio lentamente a salire verso la cima.
Dapprima lungo la cresta, poi con attenzione sull’erboso e ripidissimo versante ovest (Socede). Quando le due creste che lo chiudono si avvicinano, supero un valloncello manco a dire ricolmo di pietrame ed esco sui dolcissimi pendii finali.
Qui dovrei trovare i “25 tornantelli sovrapposti”: non li cerco e quindi non li conto…. Verso sud, sotto lo sguardo severo di cima d’Asta e con un ultimo assaggio di pietre, raggiungo l’ometto di vetta,
poco distante dal quale c’è la “tabella” granitica del Franzi.
Il panorama è ampio e le cime del gruppo sembrano a portata di mano.
Osservo i due canali che salgono dal lago del Bus, immobile occhio ceruleo,
e posso confermare che sono ripidi, ma fattibili.
Torno alla forcella.
Ci rimane la discesa, che non sarà né breve né dolce. Il sentiero che scende a Socede è segnato, anche se talvolta i segnavia si perdono nell’erba alta. Il primo tratto, dopo alcuni tornanti sotto la forcella, attraversa orizzontalmente il ripido pendio erboso che precipita a valle.
A me questi passaggi piacciono pochissimo e sono sempre, come si suol dire, “sule ùcie” (sulle spine…) nel percorrerli. Raggiungiamo una dorsale arrotondata lungo la quale il sentiero comincia a scendere a rotta di collo: poche curve strette e massima pendenza. Si passa all’aia de Canòn, ove era solito bivaccare il pastore Canòn quando portava su le pecore. Del bivacco non rimane nulla, né muri né lamiera del tetto né altro. Il terreno è come se fosse “terra bruciata”, non un filo d’erba. Ma il punto è un belvedere eccezionale che meriterebbe una sosta prolungata. Giù, invece, per questo tortuoso sentiero che passa ora al di qua ora al di là della dorsale, ma sempre in curve strettissime. Ai primi alberi, un minuscolo baito di cacciatori, legno nuovo: all’interno, sacchi di sale… Nel sua parte finale il percorso si porta decisamente verso sud, avvicinandosi all’uscita del vallone del Coronon, del quale si scorge l’ampio conoide. Acqua, finalmente, la prima dopo la passerella del Bus dei Diaoi! Sotto una cascata ci abbeveriamo a lungo. Il bosco del fondovalle è vicino, vi entriamo godendone l’ombra. Eccoci al delizioso bivacco Socede, della forestale, con locale aperto, acqua corrente, stufa, caminetto, soppalco per il sonno.
Ora non ci resta che la lunga strada della val Cia, sulla quale incrociamo alcuni rampichini. Comitive di turisti e anziani a spasso annunciano Refavaie, dove giungiamo alle 16:30.
Un grazie al “coanìf” Selvagem che ha condiviso con me la solitudine e la fatica su questi sentieri selvaggi.