Il selvaggio Rio delle RudoleAvevo adocchiato in passato una bellissima e misteriosa zona a nord del Monte Cenon senza alcun sentiero: i
Giaroni delle Tavarade. Consulto vecchie foto, google earth, ma in internet non c’è praticamente niente ad eccezione di qualche discesa in scialpinismo. Le carte riportano incerte tracce, parecchi laghetti sparsi qua e là. Anche questo week end la mia compagna non può venire per problemi di lavoro, quindi sono da solo. Decido quindi per la
mega ravanata in solitaria, quelle ravanate avventurose che mi piacciono tanto. Al mattino il tempo è un vero schifo, sarei tentato di rimanere a casa se non fosse che il meteo ha previsto “ampi soleggiamenti” nel corso della giornata (fanc*lo).
Raggiungo con l’auto la Val Campelle e quindi il
Ponte delle Rudole, circa 1300 metri. La direzione è chiara, bisogna infilarsi nella
Val Rudole. Ci sarà la vecchia traccia ripotata dalla carta? A monte c’era una malga, quindi qualcosa sarà rimasto di sicuro. 100 metri più a nord del ponte, la trovo. Mi pare fin troppo facile. Salgo qualche centinaio di metri e infatti la traccia sparisce qua e là. La riprendo, la riperdo ma non c’è problema, basta costeggiare il bellissimo torrente che scende fragorosamente a valle. La vecchia mulattiera ogni tanto riappare, si distinguono tratti di selciato.
Il bosco è un macello, tra alberi caduti e ramaglie, poi migliora e diventa più camminabile. Perdo definitivamente la traccia anche perché costretto a faticosi aggiramenti per i soliti alberi crollati. Come da programma, intercetto la forestale a circa 1500 metri. Cerco un po’ lungo la strada, trovo un’altra bella traccia che sale, francamente non ci speravo. Vado su bene, il bosco è bellissimo, dopo una ripida salita il sentiero spiana in una silenziosa e suggestiva valletta. Arrivo in una radura, ecco il l
aghetto delle Rudole! E’ un specchio d’acqua ai margini del bosco, su un ponticello il sentiero-traccia prosegue verso
Pozza Bonomo, lo tengo presente per un eventuale ritorno. Nella radura si distinguono a fatica i ruderi della vecchia malga. Io però devo proseguire verso sud-est. Breve ricerca nella radura, ritrovo la traccia e riparto. L’erba è alta e bagnata e mi infradicio i piedi
Percorro una bellissima valletta in falsopiano, costeggiando l’impluvio che però è secco. Dopo alcuni chilometri, con brevi salitelle, arrivo in una zona pianeggiante ai piedi della gigantesca frana venuta giù dal
Croz di Primaluna. Non c’è in giro un’anima, la foresta è selvaggia, salgo su una piccola altura per cercare di vedere meglio “i giaroni”. E’ un ammasso pauroso di macigni, dev’essere davvero tremendo, e pericoloso, attraversarli. Perdo la traccia, vagolo un po’ a naso in una specie di brughiera e poi la ritrovo: si alza un po’ in quota e poi costeggia un valloncello ingombro di roccioni grandi come casette. Alla fine del valloncello la traccia si perde tra i sassoni. Cerco di seguirla un po’, l’idea sarebbe di raggiungere l’altro piccolo laghetto più a monte (
I laghetti delle Tavarde) ma il terreno si fa ostico: mughi alti e rododendri coprono un sacco di buchi pericolosi. Desisto. Torno indietro nel valloncello e decido di andare a prendere la
dorsale di Cima delle Tavarade. Una delle carte riporta una vaga traccia. La cerco, la trovo!
Un po’ di salita e arrivo all’altro laghetto, piccolo ma bellissimo, circondato da rododendri. La traccia è molto vaga ma stando attendi si riesce a seguire abbastanza bene. Non è assolutamente il caso di uscire dalla traccia, il terreno è quasi impraticabile per salti di roccia, buchi, vegetazione alta, macigni colossali. Arrivo finalmente sulla dorsale e intercetto un vecchio
sentiero militare lastricato, quasi una stradella: troppa grazia Sant’Antonio! Infatti dopo circa 1 km la stradella sparisce letteralmente in corrispondenza di una grossa frana. Impossibile attraversare, ci sono brutti precipizi. Risalgo quindi la cresta rocciosa che diventa sempre più stretta e infida: temo che culmini in salti di roccia che mi sbarrino il passo. Tuttavia, osservando la carta, la traccia sembra chiara, passa ad est della cimetta.
Quindi salgo faticosamente, tra ontani, mughi e casini vari tenendomi a ridosso della cresta. Sulla cima scorgo una specie di capanno (forse cacciatori o residui bellici boh), non ho voglia di andare a controllare perché ora mi preme levarmi da quella scomoda situazione. Aggiro la cimetta, mezza franata e, dopo un piccolo salto di roccia tra i macigni, riesco a passare oltre. Calandomi tra due roccioni, in un buco tra le rocce e a un palmo dal naso, vedo
una bomba a mano tipo “ananas”. Sarei tentato di prenderla ma forse non è il caso (mi sembra che manchi il tappo, se qualcuno vuole andare a prendersela posso indicare la posizione precisa
. Proseguo faticosamente, costeggiando le rocce a strapiombo, trovando ogni tanto tracce di camminamenti militari che collegavano varie fortificazioni ancora evidenti. Ormai sono vicino a
Forcella Ravetta 2219, ma anziché scendere nel vallone decido di rimanere in quota. Il terreno di grosse pietre è faticoso ma migliora via via.
Raggiungo finalmente
Forcella delle Tavarde m 2190. Avrei intenzione di salire fino a
Cima Caldenave m 2413, che però è ormai invasa da nebbioni. Siccome la zona è assai dirupata con bei precipizi, non è il caso di avventurarsi lassù con poca visibilità. Salgo il
Tombolin di Caldenave m 2319, anche qui con un faticoso aggiramento di una grossa frana, la cui cima è sforacchiata da caverne, probabili postazioni di artiglieria. Sulla cima mangio qualcosa, in attesa di una schiarita che però non arriva. Anzi la situazione peggiora, grossi nuvoloni scuri arrivano da sud.
Fin qui non ho fatto un solo metro di sentiero “ufficiale”, ma il tempo sembra volgere al peggio e quindi decido che per oggi è abbastanza. Scendo con qulche incertezza causa nebbia fino a Forcella Ravetta, quindi prendo (il primo sentiero della giornata!) il
333 e con un lungo giro scendo fino al
Monte Tauro, costeggiando
Cima Primaluna,
Cima Ravetta (con molti resti di accampamenti militari, i ruderi della chiesetta), e quindi al
bivacco Argentino. Di qui calo alla
Forcella del Dogo, a
Malga Primaluna di Sopra e Primaluna di Sotto. Quindi con breve salita raggiungo la
Cappella di S. Bortolo, sconciata dalle vicine baite “valorizzate”, e per lunghissima forestale fino alla macchina.
Conclusioni: bella ravanata, incontrato NESSUNO,
16 km di lunghezza, circa 1100 metri di dislivello. E’ rimasta l’idea, un domani, di tornare ad esplorare meglio i Giaroni, magari provare ad attraversarli. La zona è selvaggissima e di sicuro, a parte forse qualche cacciatore, è un posto dove non va letteralmente nessuno.