Sabato pomeriggio all'ultimo momento scopro di essere libero per un'escursione domenicale, comincio a pensare dove andare: sono fuori allenamento, l'ultimo giro risale a più di un mese fa e a quote abbastanza modeste, sono stato male successivamente e non sono più tornato in montagna. Però le previsioni meteorologiche mi convincono a puntare "in alto": è previsto abbastanza caldo in quota e con possibilità di copertura nuvolosa sulle prealpi. Cerco ispirazione nei programmi delle sezioni CAI più attive sul web, e mi cade l'occhio su questo giro ad anello che tocca la cima più alta dei Lagorai propriamente detti; avevo valutato anche di ripercorrere le tracce (o almeno parte di esse) di Agh su cima Ombrettola, ma decido di soprassedere data l'incertezza su quanta neve avrei trovato, visto che non ho i ramponi.
Nonostante sonnifero e tappi nelle orecchie, pur addormentandomi presto, alle 4.35 sono già sveglio, persino troppo presto nonostante mi servano circa 2.45 ore per raggiungere la partenza dell'escursione al ponte di Valmaggiore, cerco di sonnecchiare ancora un po' ma alla fine verso le 5.15 sono in piedi e alle 6 circa in auto (si, lo so, sono un po' lento a mettermi in moto). Complice la necessità di rifornimento benzina e un errore di tragitto nei pressi di Egna, arrivo un po' più in ritardo del previsto, ma trovo comunque posto dove lasciare l'auto (la gran parte scoprirò essere stata parcheggiata alla malga soprastante).
Finita la pappardella delle premesse, che non interesserà a molti, alle 9.15 circa mi metto in cammino, supero la malga, e comincio a salire la Valmaggiore in direzione dell'omonima forcella.
Fino ai laghetti (praticamente inesistenti) percorro dapprima una forestale e successivamente un sentiero sempre in mezzo al bosco, con pendenze moderate, ma fa caldo e sento che la mia giornata non è delle migliori. Quando infatti oltrepassati i laghetti la salita comincia ad impennarsi, sono costretto presto a rallentare il ritmo, per fortuna ci sono gli immancabili rododendri dei Lagorai a confortarmi nella salita.
Arrivo abbastanza al bivacco Paolo e Nicola, dove il vento mi costringe ad indossare, per la prima e unica volta nella giornata, la camicia, e mi affaccio a guardare dall'altra parte la dorsale erbosa che (credo) culmina con la cima dei Paradisi, e Cima D'Asta sullo sfondo.
Dopo una breve pausa mi rimetto in cammino: la traversata lungo il Vallone di Cece si rivelerà molto più lunga e faticosa di quanto il percorso sulla cartina farebbe presagire. Probabilmente comincio a soffrire un po' anche la quota, e il terreno per me sempre insidioso dei Lagorai: quanto vorrei oggi avere sotto i piedi le fini ghiaie dolomitiche invece dei sassi e delle rocce di cospicue dimensioni di cui è ricca questa zona.
Con il campanile di Cece che mi fa la guardia minaccioso alle spalle, raggiungo la testata del vallone, e per un canalino ripido, ancora parzialmente coperto di neve, ma che comunque si sale senza troppa difficoltà, raggiungo il ripiano da cui si stacca dal sentiero 349 la traccia bollinata che porta alla cima.
Nonostante i bolli, e il fatto che il percorso sia abbastanza evidente, poco sotto la cima seguo degli ometti ingannatori che mi portano fuori traccia in direzione un po' più a sud della vetta; è evidente che oggi sono un po' "cotto". Resto incerto sul da farsi, ritorno per un po' sui miei passi ma non trovo altri segni e la linea degli ometti sembra essere quella che ho seguito io, sto per inerpicarmi fra le famose "facili roccette" in direzione di quella che sembra essere la linea di cresta, quando intravedo un altro escursionista che sta salendo poco più sotto. Gli vado quindi incontro e mi faccio indicare la via giuste per la cima, e finalmente ci arrivo verso le 13, sinceramente credevo di metterci di meno, mi siedo abbastanza provato in quella specie di bunker a cielo aperto in prossimità della croce e consumo il mio pasto principale della giornata, un panino a base di soppressa e formaggio che si rivelerà una scelta sbagliata tenendo conto della sete che mi attaglianerà per tutto il resto del percorso. Lascio agli esperti dei luoghi (io non lo sono, mi districo giusto fra le cime dolomitiche sulle sfondo) riconoscere i dintorni nelle foto scattate dalla vetta.
Come ho già scritto, la giornata è parecchio calda, anche in vetta, pur essendoci della brezza, non avverto la necessità di indossare la camicia; che peraltro mi accorgo di aver perso (l'avevo fissata, evidentemente male, allo zaino con un cordino) durante la salita, come mi confermerà un altro escursionista giunto successivamente in vetta; e che per fortuna scendendo ritroverò, premurosamente fissata ad un ometto, a circa metà del percorso di salita alla vetta. Sempre dalle parole dei temporanei compagni di vetta, apprendo che ci sarebbe una via di discesa più diretta verso la forcella di Cece, che seguirebbe la cresta nord-est della cima, e pare sia riportata in alcune cartine (non nella mia Tabacco, che peraltro non riporta nemmeno la traccia "ufficiale" di salita alla cima...).
Ma oggi non sono certo in vena di esplorazioni, ritorno quindi, questa volta senza perdermi, per la via di salita fino al sentiero 349, e da lì comincio la traversata verso la forcella di Cece. Credendo di aver superato le difficoltà maggiori, mi sbaglio di grosso: per via della stanchezza, disidratazione incombente (nonostante mi sia portato via 2 litri di acqua e sali minerali in compresse), e il terreno disagevole continuamente costellato di rocce enormi che richiedono costante attenzione a dove si mettono i piedi, qualche nevaio, diversi saliscendi, questo tratto mi sembrerà il più difficile di tutta l'escursione. In particolare in un canalino ripidissimo in discesa, dove la neve copre ancora in parte il sentiero, e ciò che è scoperto attorno frana appena ci appoggio il piede, scendo più in basso di dove dovrei svoltare a destra per riprendere la traversata. Per fortuna che il gps del mio smartphone è abbastanza preciso, e in questo caso anche la traccia del sentiero segnata sulla cartina Tabacco digitale, così mi rendo conto dell'errore prima di scendere ulteriormente, perché risalire quel tratto costa veramente tanta fatica. Finalmente verso le 15 arrivo alla forcella di Cece, da cui scendo velocemente per ghiaie in direzione del laghetto Caserina, mi attende però l'ultimo, questa volta tutto sommato piacevole, imprevisto della giornata: un nevaio copre ancora la traccia di discesa. Tuttavia, la pendenza tutto sommato modesta, l'assenza di buche o rocce affioranti (tranne in un breve tratto) a cui fare attenzione, rendono piacevole correre giù scivolando sulla neve, e in breve raggiungo l'incantevole laghetto.
Per il resto dell'escursione non c'è molto altro da raccontare, e comunque io ormai sono ormai assai provato e non ho più molta voglia di scattare foto. Centellino la poca acqua rimasta, raggiungo il lago di Cece, molto frequentato e con qualche ardimentoso a saggiarne la temperatura, attraverso l'ameno Campigòl Grande, e per sentiero e forestale nel bosco raggiungo stancamente verso le 17.15 il ponte di Valmaggiore, dove, poco prima di dove ho parcheggiato l'auto, trovo una provvidenziale fontana ristoratrice di acqua potabile.
Bella e lunga escursione, senza grosse difficoltà tecniche, ma da affrontare con una buona preparazione fisica; i miei complimenti al ragazzo di dieci anni che insieme al (presumo) padre ho incontrato più volte lungo il percorso: ha fatto lo stesso anello ed è arrivato molto meno stanco di me!