La frequenza dei miei giri è diventata ormai mensile. L’uscita in programma oggi deve essere quindi non troppo pesante né difficile. Scelgo la traversata Ciste-Mendana, che mi ricorda un’avventurosa scialpinistica, fatta però in senso opposto, coronata da una discesa nel bosco tutta da ricordare.
Purtroppo la tribù delle Canne Fumanti ha, nei fine settimana, i giorni più favorevoli ai propri riti sacrificali e devo lasciare a casa la Dada, che ha dormito accanto a zaino e scarponi. Poréta!
Parto da Suerta all’alba e risalgo il Laresé e i prati del Ciste. Noto che altre strade sono state aperte nel bosco e nella luce tenue del primo mattino le reti arancione dei cantieri si vedono eccome! Non ce ne sono abbastanza strade in montagna?
Uscito dal bosco, devio leggermente per andare a guardare da vicino una splendida baita, di nuova costruzione. Ricordo che in quel punto avevo sempre visto dei ruderi. Ecco la meta di una delle nuove strade! La baita è peraltro fiabesca e fa desiderare una sveglia all’alba dopo aver dormito sotto un morbido piumone!
Ormai sono là e salgo il pendio alle spalle della baita fino alla piccola conca sotto il coston del Ciste. In alto, sul ripido versante meridionale della montagna, una traccia passa in quota. Vado a prenderla andando su diritto lungo una delle tante dorsali che scendono dalla cima. Raggiuntala, la percorro in leggera salita verso ovest, doppio una seconda e più pronunciata dorsale e mi trovo ai margini di un vallone, uno di quei canaloni lungo i quali il Ciste regala spesso dei bei valangoni. L’idea è quella di proseguire fino all’ampia cresta cha congiunge il Ciste alla Mendana, tornando poi brevemente in dietro fino alla croce di vetta. Invece, come spesso mi piace fare, cambio idea e parto in quarta su per la dorsale. Quando si spegne, sono sotto la sommità, dopo aver soffiato parecchio durante la salita. Poche inversioni ed eccomi alla croce. Mi accoglie un bel venticello, unico gradito suono. I veri rumori, quelli attesi, non sono molti per la verità: ne avrò sentiti tre o quattro in tutta la mattinata. Meglio così.
I larici, in basso, sui prati e lungo il coston del Ciste, preparano la festa. Diciamo che stanno agghindandosi ma non sono ancora pronti. Dalla parte opposta, in val d’Ezze, i colori sono un po’ più vivi.
Comincio a scendere sulla larghissima cresta e,… sorpresa, nella parte del calottone rivolta verso nord pascola un gregge di capre che non avevo né visto né sentito. Appena mi vedono si fiondano verso di me. Il tintinnio dei loro campanelli mi accompagna fino all’ultima forcella prima di c. Mendana. Non c’è verso di farle tornare indietro, stanno un cinque metri alle mie spalle e mi seguono, penso sperando di avere un bocconcino. Finalmente su un poggio caldo di sole si fermano e si sdraiano. Addio, belle!
Proseguo lungo la cresta, superando le varie cimotte fino alla pala della Mendana. Mi fermo pochi minuti sulla cima e scendo alla forcella. In questo tratto la roccia diventa ferrigna e il sentiero leggermente più scosceso. Dal bordo del pendio precipitano in val d’Ezze orridi canaloni, che si fanno sempre meno accentuati con l’avvicinarsi alla forcella. Dal valico un ultimo sguardo alla solare conca d’Ezze e alla corona di cime che la cinge a nord. Si avvicina la nebbia ma poi si dissolve vinta dal sole. Giù ora verso Suerta, passando per malga Mendana, dai caratteristici tetti che scendono fin quasi a terra.
Giungo al piano e assisto al siparietto di un asino che non vuole saperne di salire sul carro di un trattore. Sono in tre a provarci, uno tira la cavezza, l'altro spinge nel didietro, il terzo è di supporto morale ("dai, dai..."). L'asino si mangia il boccone/esca ma pianta gli zoccoli quando lo fanno salire sulla pedana. ‘Na comica!
Qualche baita è aperta, c’è un filo di fumo da un camino, ma anche Suerta attende i giorni grigi di novembre e la prima neve. Arrivederci, Ciste!
A dopo per qualche foto.