Quando la maggior parte di voi è ancora in braccio a Morfeo, io mi avvio dal parcheggio sotto il Frotten con una temperatura estiva… (8 °C) ma un cielo così terso che, allungando le mani, ti sembra di toccare le cime. Nel bosco si notano i segni del temporale notturno.
La val Tasaineri è addormentata nell’ombra del primo mattino ma già sulle boscose pendici dello Stocker la linea della luce scende a vista d’occhio. Così al passo Palù mi abbandono volentieri al caldo abbraccio del sole. Scendo in val Calamento e mi dirigo a sud, verso il vallone delle scalette che dovrebbe condurmi alla bocchetta di Cagnon. Cerco di abbassarmi il meno possibile e devo per questo sottopormi alla dura legge del “ravaning” tra sassi, rododendri e macchie di palude. Giunto in fondo alla valle risalgo alcuni pendii sassosi e infine mi intrufolo in un canalino erboso che mi deposita nella conca sotto la bocchetta. Salita faticosa.
Vedo con stupore che alla bocchetta c’è ancora un piccolo muro nevoso e la neve che è rimasta nel vallone sottostante è dura come il marmo e liscia come uno specchio. La saggio e non sto in piedi. Per fortuna i passaggi su terreno libero non mancano. Arrivo alla bocchetta immersa nell’ombra, i crozzi d’Ezze le tolgono ancora per un po’ il piacere della luce. Tira un leggero venticello. Non ho mai tolto la giacca di pile dalla partenza.
Armo i bastoncini e con prudenza scendo verso la val d’Ezze. Tre camosci si precipitano a rotta di collo dal pendio sotto le pareti della cima d’Ezze. Che magnifici animali! Anche qui dapprima cerco di non perdere quota ma il terreno franoso e la presenza della cagna che fa fatica sui macigni mi obbligano ad andare giù diritto fino nella piana erbosa. Ora sole a volontà e assenza di aria. Imbocco il sentiero con segnavia e devio leggermente per raggiungere il lago. Breve sosta e sguardo al pendio che porta alla forcella d’Ezze.
Ora viene il bello. Il sentiero è ripido e faticoso, non mancano i sassi. Improvvisamente, a un metro dai miei scarponi, un serpentello nero, immobile: marasso! La mia preoccupazione è per la cagna, poco distante, che non venga, curiosa com’è, a mettere il naso proprio lì. Cerco di sollevarlo con la punta del bastoncino per farlo volar via e quello mi risponde con un sibilo a fauci aperte. Allora, e vi prego di predere nota che sono pentito di quel che ho fatto, gli assesto due colpi e lo getto in mezzo ai rododendri. A me i “bissi” non piacciono e questi incontri mi lasciano sempre dentro una certa qual paura. Con il cane appresso poi! Su con le antenne, allora , e proseguo la salita, battendo bene i piedi e i bastoncini. Poco sotto la forcella, quando già si intravede il più dolce pendio finale, ecchela la seconda vipera! Un’aspide, questa volta, che disperatamente cerca di sgaiattolare via ma rimane sempre lì in mezzo al sentiero. La sollevo e le faccio fare un volo nei cespugli: sfratto forzato, ma sempre meglio di una botta in testa.
Sono alla forcella d’Ezze. La mia intenzione è di salire alla cima Sette Selle lungo un percorso alternativo che sicuramente i lagoraisti conoscono. Una traccia segnata con bollo rosso si stacca verso sud dalla forcella e rimonta sul versante d’Ezze il pendio sassoso rimanendo alta sotto le rocce. Poi si infila in un canalino erboso, arriva ad una angusta forcella e… dovrebbe scendere in un canalone ombroso, che è invaso dalla neve, dura e liscia. Ho già fatto diverse volte questo percorso. Si attraversa il canalone e si imbocca un agevole sentiero (militare?) che muore quasi sulla cima del Sette Selle. Non so se questo tratto sia ancora “sentiero del Centenario”, potrebbe essere. Ad ogni modo, oggi non è prudente passare da qui. Si torna alla forcella.
Escluso fare la cima sulla via normale con la cagna, mi fermo a quello che io chiamo il “polenton del frate”, cioè il poggio da cui parte la salita. Percorro poi il sentiero delle creste fino al valloncello che va alla forcella Sasso rosso. I passaggi delle grandi frane che scendono dalla cresta sono ostici per la cagna e in alcune occasioni devo trasportarla .
Salgo alla forcella, breve visita al ricovero, dal quale scorgo un ardimentoso che sale (o scende? o forse solo prova…) verso il Giuliani. Come si fa a chiamarlo sentiero???
Salita alla cima Sasso rosso: di lassù, Mirabilioso in pieno spolvero e valli che sembrano dipinte tanto sono verdi! Guardando cima d’Asta, così a occhio eh…, mi vien da pensare che una sciatina a “traccia cercata” si potrebbe ancora fare. Boh?
Percorro tutta la cresta del Sasso rosso e infine, aggirando a sud il tipico testone roccioso che la domina, giungo alla forcella delle Cunelle. Eccomi nella civiltà, diverse comitive passano sul sentiero delle creste. E allora io me ne vado sulla cima delle Cunelle dove si è trasferita la gregge che una settimana fa pascolava sulla cima delle Lepri. La mia cagna ha ancora la forza di “radunare” la gregge. Sosta per azzerare la cambusa e calata alla forcella di sopra Conella e poi a quella di Cavè. La neve nel vallone a nord, riscaldata dal sole, è tenera e docile, un piacere per le gambe che cominciano a sentire la fatica. In fondo al vallone, o si va in val Laner o ad Ardemolo. Decida la cagna: e quella non mi va verso il lago?
Da quanto tempo non ci passavo! Il nevaio al di là è ancora bello pimpante e la neve che si affaccia sull’acqua del lago ha una tonalità celestina che mi ricorda un iceberg.
La discesa verso il parcheggio è l’ultima fatica di questa giornata di freddo, sole, vento e solitudine. Non voglio niente di più.
A breve una raffica di foto.