A PENSARCI ADESSO FA PAURA
Recentemente mi capita fra le mani un manuale d’alpinismo, stampato nell’ottobre del 1944, solo a guerra finita è messo in vendita. Gli autori hanno sicuramente molto coraggio per occuparsi di un manuale negli ultimi terribili anni di guerra. Il manuale, redatto dai migliori alpinisti dell’epoca, tratta la tecnica alpinistica in uso a partire, approssimativamente, dal 1930, tecnica che risulta valida fino all’anno 1960, sempre approssimativamente. Un arco quindi di trent’anni circa nel corso dei quali vengono risolti i più importanti problemi delle Alpi. È interessante sfogliare questo manuale per vedere con quali tecniche e con quali mezzi, arrampicano i grandi scalatori del passato. Il confronto con gli attrezzi che disponiamo noi attualmente è inevitabile. Da un primo, sia pur sommario esame, risulta subito evidente la precarietà dei materiali e del loro impiego. Fa paura pensare agli alpinisti che in quegli anni affidano la loro vita a mezzi che offrono una sicurezza del tutto aleatoria, più morale che effettiva. Ma quello che fa veramente impressione è il riscontrare che con quei mezzi, gli alpinisti di allora, affrontano salite che ancora adesso sono considerate di difficoltà estrema. Ai nostri occhi quegli alpinisti appaiono come dei temerari o addirittura degli irresponsabili. Ma non è così: sono solo degli arrampicatori che ambiscono a conquistare determinate mete e che usano il migliore materiale a disposizione in quel periodo. Attrezzi più avanzati, più perfezionati per il momento non sono neanche ipotizzabili. Un’analisi approfondita di materiali e tecniche richiederebbe molto spazio, alla fine risulterebbe anche noiosa da leggere. Mi limito ad esporre gli aspetti più significativi. Incominciamo dalle corde. Il manuale consiglia la corda di canapa italiana a filamento lungo con trefoli ritorti, diametro 12 mm. La raccomandazione, prima di usare la corda, è di avviarla su salite facili, oppure di bagnarla in acqua tiepida con l’aggiunta di sapone e di farla quindi asciugare all’ombra. In questo modo si aumenta la flessibilità della corda che da nuova ha la tendenza a formare anelli e ad attorcigliarsi. La corda di canapa è molto rigida e come tale si spacca a seguito di un violento strappo. Parecchi sono gli incidenti determinati dalla rottura della corda. Il criterio della corda elastica per ammortizzare gli effetti di una caduta non è ancora conosciuto. Anzi le corde dotate di elasticità sono considerate molto pericolose perché l’elasticità diminuisce il loro diametro e quindi la loro resistenza. Un altro difetto della corda di canapa è di diventare rigida, al punto da non essere più servibile, quando, nelle salite miste, a contatto colla neve assorbe acqua. In questo tipo di salite è consigliata la corda di Manila da 14 mm che si mantiene flessibile anche se bagnata. Spaventoso è il modo di legarsi in cordata: il nodo semplice delle guide, o al massimo il nodo doppio, sono quelli comunemente usati. Il bolina con bretella è meglio, ma io non l’ho mai visto usare. L’imbraco, anche quello costruito con i cordini, è del tutto sconosciuto. Una semplice mandata di corda che gira attorno alla vita è l’unico legame dell’alpinista alla corda stessa. In quelle condizioni uno strappo di una certa portata deve avere conseguenze terribili sul corpo dell’alpinista. Una cosa strana: il manuale mette in evidenza che il nodo delle guide è il più conveniente perché può essere girato attorno alla vita dalla parte dove torna più comodo averlo, in relazione alle necessità dell’arrampicata. Confortanti sono i principi fondamentali dell’arrampicata. L’impostazione del corpo la scelta degli appigli, la salita alla Dulfer, la salita in camino, sono gli stessi del giorno d’oggi. Nel manuale ci sono parecchi disegni fatti bene e molto esplicativi. Per quanto riguarda la prevenzione di cadute, questi disegni, fanno vedere sicurezze a spalla, sulla coscia, o con la corda che sfila semplicemente nel moschettone, agganciato ad un chiodo, tenuta a mano dall’alpinista. In queste condizioni non si riesce proprio a capire come sia possibile trattenere l’eventuale volo del compagno di cordata. Infatti sono frequenti i casi in cui il capocordata cadendo trascina nel volo l’intera cordata. In questo modo la corda invece di essere uno strumento di sicurezza diventa uno strumento di morte. Per quanto concerne le calate a corda doppia i metodi in uso sono il Dulfer ed il Piaz che consistono nel fare passare le corde fra le gambe, farle girare poi attorno alla coscia e alle spalle. I metodi sono molto efficaci, il diametro delle corde, lo ricordo 12 mm, consente di sedersi sulle corde stesse, scendendo su tratti di parete diversamente insuperabili.
La tecnica dell’arrampicata su ghiaccio, l’uso della piccozza, il gradinamento, l’uso dei ramponi è sostanzialmente eguale a quella praticata attualmente. Per le norme di sicurezza della cordata valgono le stesse considerazioni fatte per l’arrampicata in roccia.
Nel settore dell’equipaggiamento una menzione particolare deve essere fatta a riguardo degli scarponi. Il manuale inneggia all’introduzione della suola con chiodi di gomma (Vibram) che risolve il problema del tipo unico di calzatura adatto a tutti i tipi di terreno. Infatti prima della Vibram abili fabbri fucinano a mano i chiodi che calzolai, altrettanto abili, fissano alla suola di cuoio degli scarponi. Ma i chiodi di ferro non tengono su roccia. Da qui la necessita per gli arrampicatori di sostituire gli scarponi con le pedule, più adatte all’arrampicata, e di portarsi il pesante fardello degli scarponi stessi nel sacco da montagna per tutta la salita. Il vecchio scarpone chiodato passa quindi, come dice il manuale, dai favori universali agli onori del museo. Adesso invece succede la stessa cosa. L’unica differenza è che lo scarpone Vibram si salva dagli “onori del museo” perché viene ancora utilizzato sulle salite miste ed in escursionismo. Nelle arrampicate di pura roccia è ormai generalizzato l’uso della scarpetta d’arrampicata: leggera, flessibile, consente con la sua aderenza di sfruttare anche le più piccole asperità. Passaggi che con lo scarpone risultano impegnativi diventano, come per incanto, più agevoli con la scarpetta.
Continuo a sfogliare il manuale. Orrore !: la parola speleologia non esiste. L’esplorazione delle grotte viene definita alpinismo sotterraneo. I mezzi tecnici descritti sono primordiali, talmente primordiali da rendere impossibile un confronto con quelli attualmente in uso. Basti pensare che l’utilizzo del carburo e dell’acetilene non è molto consigliato per la sua complessità e precarietà di funzionamento. Viene raccomandato invece l’adozione dell’elmetto della prima guerra mondiale sul quale fissare una candela, soluzione questa che consente di avere le mani libere.
Ma ritorniamo all’alpinismo.
Considerazioni finali. i mezzi tecnici di sicurezza usati dagli alpinisti negli anni 30 - 60 sono rudimentali e sono la causa diretta di numerose disgrazie in montagna. Inventare cose nuove è sempre difficile, ed ancora più difficile è farle accettare agli altri, però in alcuni casi non c’è niente da inventare. Per esempio l’imbraco, già negli anni 30 è usato da tempo dai paracadutisti. Devono passare trent’anni per la sua introduzione in alpinismo.
Adesso mi viene un dubbio: forse fra vent’anni salterà fuori un saputello che, come
faccio io adesso, si metterà a criticare la nostra avanzatissima tecnica di progressione. Può succedere, comunque se succederà, se ci saremo ancora, ne discuteremo.
da
http://www.qui-montagna.com/RACCONTI%20A%20PENSARCI%20ADESSO%20FA%20PAURA.htm