Autore Topic: Vecchi appunti  (Letto 8106 volte)

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Offline pianmasan

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Vecchi appunti
« il: 25/07/2012 20:50 »
Tali e quali senza censura vi propongo delle vecchie noterelle su abbigliamento e attrezzatura. Lascio anche i riferimenti dialettali.

Mi fanno riflettere e talvolta sorridere le considerazioni che leggo spesso sui forum di montagna riguardo ad abbigliamento ed attrezzatura.
Ricordo che ai tempi della mia giovinezza l’abbigliamento era costituito da un paio di pantaloni alla zuava, di fustagno a coste. Gli elegantoni (“buli”) li portavano già allora lunghi fino a metà gamba o fino in fondo. Il tessuto aveva un’assorbanza all’acqua piovana stimabile in qualche litro per cm2. Dopo un acquazzone (“sguaz”) diventavano come lo scafandro di un palombaro.
Più in basso, i calzettoni. Rigorosamente rossi o gialli, dello spessore di qualche centimetro, villosi e avvolgenti, spesso con elastico cucito all’interno del bordo superiore, che lasciava un segno inconfondibile sotto il ginocchio: una sorta di codice a barre testimone inequivocabile dell’ escursione.
Gli scarponi erano di cuoio (“coràm”) con lacci che diventavano immanovrabili  se bagnati. I primi veri scarponi, almeno per gli uomini, erano quelli che si portavano a casa dalla naja, i famosi Vibram (dall’inventore dell’omonima suola a carroarmato Vitaliano Bramanti). Gli scarponi della naja non erano mai della misura del tuo piede. O lunghi o corti, o stretti o larghi. Giusti, mai! Nascevano così l’alluce arcuato, il quinto dito ingrossato (“s’gionf”), la pianta larga, il piede stretto, l’accavallamento delle dita: tutti adattamenti fisiologici che il piede, senza che te ne accorgessi, metteva in opera durante i mesi sotto le armi per sistemarsi alla meglio in quell’involucro. Così, al congedo, l’anatomia del tuo piede era cambiata a tua insaputa. E infatti a casa ti dicevano: “Ma come che te sei cambià, soto naja!”. Per ammorbidire la pelle dello scarpone era d’obbligo servirsi del grasso di maiale (“songia de rugant”), che trasformava il duro cuoio in un guanto vellutato. La songia aveva il doppio scopo di ammorbidire la pelle e di renderla anche impermeabile. Controindicazioni: mani unte e puzzolenti ad ogni tirata di lacci.
Nei piani alti la camicia era di mollettone o flanellone, a quadri o scacchi, con capienti taschini, nei quali veniva immagazzinato di tutto: le mentine, le alfa, il bottiglino (“bozet”) della grappa, il fazzoletto (“da nas”). Pieni, era turgidi come una mammella (“teta”). Per la testa non esistevano bandane, fasce o che altro: solo a) ‘na baréta di lana per il freddo b) un cappellino tipo pescatore per il sole.
E lo zaino (“prosac”)? Ve li ricordate quei sacchi di tela color grigio-verde, a forma vagamente di pera, con due tasche laterali, ognuna con la sua linguettina di pelle per la chiusura (“zolìn”)? Bastava una sola uscita perché inevitabilmente da qualche involucro di affettato (“carta del persut”) colasse sulla tela del grasso traditore. La macchia indelebile che si formava era la carta d’identità dello zaino. Sì, perché le macchie di unto marchiavano per tutta la vita lo zaino. Quello del Bepi aveva una macchia a forma di pera sotto la borsa destra, la macchia del Gioani era proprio sotto la patella superiore, el Pero, il solito pulitino della compagnia (“spuzeton”), aveva una macchiolina quasi invisibile, senza una forma precisa, proprio in mezzo alle due tasche: praticamente un neo, ma lui, a forza di sfregare per eliminarla, le aveva creato attorno un alone immenso e visibilissimo. Questi zaini assumevano, dopo essere stati riempiti, le forme più strane: ne sporgevano gobbe deformi che l’occhio esperto sapeva identificare al primo sguardo: il pane (“bina”), il recipiente con il minestrone (“gamèla”), la bottiglia (“boza”, o boza x 2 “dopiòn”) del vino ecc.
La tenda era la classica canadese a sezione triangolare. La misura standard permetteva un comodo (…) alloggiamento per tre persone. Consisteva in tenda vera e propria, telo tenda esterno, pali e picchetti. La tenda presentava una chiusura anteriore verticale con una cerniera lampo. Se la tenda era montata correttamente, la chiusura della cerniera risultava perfetta, cioè fino in fondo, senza quel fastidioso opercolo (“bus”) a livello del terreno, dal quale, se presente, sembrava entrasse tutto il vento della notte. Una chiusura perfetta, tuttavia, dava alla tenda una tensione al limite: una minima scorreggia notturna poteva farla esplodere. E voi tendaioli sapete certamente che dopo una giornata di cammino sui sentieri, dopo un pranzo alla buona, dopo la pasta e fagioli Knorr per chiudere degnamente la giornata, il vostro intestino non aspettava altro che la posizione orizzontale per scatenare l’artiglieria… Picchetti e paleria erano pesanti ma garantivano la perfetta stabilità della tenda. E che importava se in mezzo a un pascolo verdeggiante, con cotica erbosa formatasi in anni e anni di concimazione naturale degli escrementi delle mucche (“boaze”), il picchetto beccava sempre l’unica roccia e al primo colpo di sasso per piantarlo uscivano scintille (“slinze”)? E i cordini per tirare il telo tenda, quelli che avevano a metà il tendifilo metallico? Quei bianchi cordini che erano l’incubo dei pisciatori notturni? Chi doveva uscire dalla tenda sotto le stelle per fare pipì – e già quella era un piccola impresa, dovendo scavalcare i contendanei e tutto il materiale ammassato all’ingresso, e calzare alla bell’e meglio gli scarponi – regolarmente inciampava in questi cordini con il rischio di abbattere tutto l’edificio, rischio ben sottolineato da una qualche voce assonnata proveniente dalla tenda: “Vot butar  su tut?"
Protagonista principe dell’alimentazione durante un’escursione era l’uovo sodo. Nessuno partiva da casa senza averne nello zaino un paio, ma anche tre o quattro. Aveva molteplici vantaggi. Tutti erano, e sono, in grado di prepararsi un uovo sodo, stava tranquillamente in ogni sito dello zaino, ma anche nel famoso taschino della camicia a scacchi (camelback solido), si poteva mangiare intero, senza uso di coltelli, e, antesignano di ARTVA e GPS, forniva traccia sicura in caso di smarrimento, un po’ come le briciole di Pollicino. I punti di sosta sui sentieri erano disseminati di bucce d’uovo, per non parlare delle aree sommitali delle cime, vero mosaico a cielo aperto di carbonato di calcio. E, ragazzi, diciamocelo, molto meglio il carbonato che la plastica!
Il companatico più usato era la mortadella, che qui da noi si chiama bondola. Il panino con la bondola non ha perso il suo fascino nemmeno ai giorni nostri. Lo vedo citato in alcune relazioni. Ma allora l’arrivo sulla cima aveva come apoteosi il primo azzanno al “panet co’ la bondola”, dal cui aroma eravamo stati drogati durante l’ascensione, quando, ad ogni apertura di zaino, la tentazione di un primo morso era come quella di Adamo ed Eva: durissimo rimandare quel sublime momento!
Non mancava nemmeno allora la frutta: la mela (“pom”) di cui si mangiava tutto meno il torsolo (“mosegòt”), l’arancia (“naranz”), la cui buccia (“scorza”) arricchiva la policromia delle cime, la pesca (“persech”), uno dei maggiori responsabili, assieme all’affettato, della nascita delle macchie sullo zaino.
Il pane! Il mio grato pensiero va al forno di Molina di Fiemme, tappa obbligata nelle escursioni sul Lagorai. Ci si accostava alla sua porticina guidati dal profumo ed era meraviglioso “ascoltare” l’aroma del pane cotto e portarsene via un po’ nel sacchetto di carta. Tutto l’abitacolo della macchina ne era pervaso.
Per la sete, prima dell’avvento del the, si usavano acqua zuccherata e succo di limone (“aqua, zucher e limon” o “limonada enzucherada”, fate  voi). Ma non pochi erano quelli che si portavano appresso il fiasco del vino, quello con la “paja”. E niente bicchieri! Tutti a bere “de cana”, e tra una tirata e l’altra, una veloce pulita con la manica della camicia. Per pietà umana, non voglio ricordare quello che succedeva se, per somma disgrazia…, beh, avete già capito, vero?

Fine

Offline AGH

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #1 il: 25/07/2012 21:03 »
finalmente un post di pian! Bello, bravo! Confermo tutto, anche per questioni anagrafiche  :(
Il ricordo scolpito nella memoria, la mia, rimane l'acquisto di un primo paio di scarponi in pelle "professionali" nel negozio che c'era a trento vicino al San Camillo. Credo di averli ancora da qualche parte. Mi hanno sempre fatto un male bestia, scorticandomi regolarmente i calcagni. Erano due blocchi di marmo, di porfido o di granito, fate voi... beate le scarpette di adesso! Viva la tecnica! :D
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Offline Pistacchio

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #2 il: 25/07/2012 21:13 »
Bello, soprattutto il prosac!
Unica cosa l'uovo sodo, mai visto. Per il resto confermo tutto, soprattutto gli scarponi in cuoio cementizio. Scomodi, ma con quelli ed un paio di pantaloni penso come li hai descritti sono arrivato al 12 apostoli a 5 o 6 anni.
Quando ho iniziato a fare scialp non avevo l'attacco Trab in titanio con 4 diverse altezze di alzatacco. Avevo un attacco molto strano già più evoluto di quelli a cordina ma non troppo.
Altra piccola chicca le ciaspole! di legno con i legacci di spago FISSI. Un paio di anni fa ero senza ciaspole e volendo fare un giro le ho staccate dal muro. Dopo 10 metri le ho rimesse sul li.

Offline pianmasan

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #3 il: 25/07/2012 21:24 »
Ah, caro mio, l'uovo sodo era cosa da gourmet di quota!

Offline gabi

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #4 il: 25/07/2012 21:55 »
Ah, caro mio, l'uovo sodo era cosa da gourmet di quota!
Bellissimi appunti, grazie pian  :).

L'uovo sodo non è affatto una novità in montagna.
Un lunedì di Pasqua di 5-6 anni fa, sono andata a fare Cima Sat (sopra Riva del Garda). In vetta arrivano 4 persone, tirano fuori dallo zaino un "sacchetto di carta" con delle uova sode e me ne offrono  ::).
No, no, grazie, mangiatele voi, dico io  :P

Offline pianmasan

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #5 il: 25/07/2012 22:05 »
finalmente un post di pian! Bello, bravo! Confermo tutto, anche per questioni anagrafiche  :(
Il ricordo scolpito nella memoria, la mia, rimane l'acquisto di un primo paio di scarponi in pelle "professionali" nel negozio che c'era a trento vicino al San Camillo. Credo di averli ancora da qualche parte. Mi hanno sempre fatto un male bestia, scorticandomi regolarmente i calcagni. Erano due blocchi di marmo, di porfido o di granito, fate voi... beate le scarpette di adesso! Viva la tecnica! :D
Io invece ho portato a casa i Vibram dalla caserma di Monguelfo e quanti anni li ho messi, per andare in montagna prima, per lavorare poi, quando cominciavano ad "aprirsi".

Offline iw6bff

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #6 il: 26/07/2012 07:52 »
Leggendo mi sembrava di essere davanti allo specchio un " tot " di anni fa >:(

Offline paolo m.

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #7 il: 26/07/2012 09:31 »
F-A-N-T-A-S-T-I-C-O

Mi hai raddrizzato la mattinata!! Tutto vero per quello che mi riguarda la parte abbigliamento, zaino e alimentazione!!!

Offline Alverman

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #8 il: 26/07/2012 10:25 »
Grazie Pian per questo tuffo nel passato che mi fa sentire più vecchio di quello che sono, tutto vero ad eccezione dell'uovo sodo che in montagna non lo sopporto.
Durante il servizio militare ho avuto la possibilità di sostituire i vibram del regio esercito con un paio di scarponi in cuoio dell'Asolo, bellissimi, pesavano 2 kg ciascuno, li ho ancora ed ogni volta che li vedo mi torna in mente "Vecchio scarpone ...".
Per non parlare dei pantaloni alla zuava, della camicia della Bailo pagata 70000 lire ben 30 anni fa ed ancora integra...
quanti kili di roba si indossava e non ci si lamentava, niente magliette magiche, nessuna tutina extraterrestre e si andava, piano ma si andava.
Allora non facevo le mega escursioni compiute in questi ultimi anni, ma alla fine dell'escursione mi sentivo più soddisfatto di adesso, forse è una mia sensazione ma oggi si guarda più al dislivello, ai km percorsi, al tempo impiegato più che all'andare in montagna per il gusto solo di andarci e trascorrere una giornata lontana dalla corsa quotidiana...

Offline AGH

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #9 il: 26/07/2012 11:28 »
Allora non facevo le mega escursioni compiute in questi ultimi anni, ma alla fine dell'escursione mi sentivo più soddisfatto di adesso, forse è una mia sensazione ma oggi si guarda più al dislivello, ai km percorsi, al tempo impiegato più che all'andare in montagna per il gusto solo di andarci e trascorrere una giornata lontana dalla corsa quotidiana...

le uova sode me le ricordo, si usavano parecchio nei gruppi sat-.sosat etc (ho sempre detestato le bucce d'uovo in vetta tra l'altro) ma non le ho mai portate credo. Semmai la frittatina di uova nel pane :D (altro che barrette). Riguardo il modo di andare, il mio è molto cambiato negli anni. Ora preferisco la dimensione orizzontale, ma è un cimento con me stesso piuttosto che con gli atri. La cosa più incredibile per quel che mi riguarda è che i giri che faccio adesso, una volta me li sarei sognati. A 30 anni la mia gita classica era, per dire,  andare sul Fravort o sul Cornetto del Bondone! :))) E tornavo a casa soddisfatto ma anche stanco... Questo per dire che non bisogna scoraggiarsi troppo dall'età che avanza, se la salute ci assiste si possono aprire nuovi meravigliosi orizzonti. E assicuro, senza correre, senza fare chissà quali allenamenti. Oggi vado sicuramente più piano ma più lontano :). Mi godo molto più la montagna ora rispetto a una volta.

Sull'abbigliamento sono andato in giro "come en slandròn" per anni, solo in tempi recenti ho scoperto la roba più tecnica e mi sono detto che sono stato uno stupido a farlo così tardi. Perché non sfruttare i progressi tecnici? Chi va in giro oggi con le braghe alla zuava e i calzettoni di lana rossi come una volta? Chi usa la tenda canadese? Certo ci ricordano i tempi di quando eravamo giovani, forti e un po' incoscienti... ma alla fine sono nostalgie inutili :)
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Offline Alverman

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #10 il: 26/07/2012 13:43 »
Oggi vado sicuramente più piano ma più lontano :). Mi godo molto più la montagna ora rispetto a una volta.

... ma alla fine sono nostalgie inutili :)

No no, nessuna nostalgia di come andavo a quei tempi, oggi vado più forte e più lontano, e ancor meno di come ero vestito, era solo il modo di vivere la montagna che mi manca.

Diciamo che nelle mie escursioni non ho mai fatto soste prolungate, tipo pennichella in riva la lago, ma solamente soste per ammirare il panorama, i fiori e una breve pausa pranzo, adesso molti (ovviamente non parlo degli escursionisti della domenica), ma a volte capita anche a me, camminano a testa bassa per raggiungere la cima e poi giù a rotta di collo senza assaporare l'intimo senso di libertà che ti può regalare la montagna.
Forse è una mia impressione ma non credo di sbagliarmi di molto.

Offline Ivan787

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #11 il: 26/07/2012 14:56 »
No no, nessuna nostalgia di come andavo a quei tempi, oggi vado più forte e più lontano, e ancor meno di come ero vestito, era solo il modo di vivere la montagna che mi manca.

Diciamo che nelle mie escursioni non ho mai fatto soste prolungate, tipo pennichella in riva la lago, ma solamente soste per ammirare il panorama, i fiori e una breve pausa pranzo, adesso molti (ovviamente non parlo degli escursionisti della domenica), ma a volte capita anche a me, camminano a testa bassa per raggiungere la cima e poi giù a rotta di collo senza assaporare l'intimo senso di libertà che ti può regalare la montagna.
Forse è una mia impressione ma non credo di sbagliarmi di molto.

Hai ragione, l'ho notato anche io.
Ormai sembra più una gara a chi va più lontano, chi fa più km, chi va più veloce.
Così come io, ma capisco essere un mio limite, nutro la più feroce antipatia verso chi vuole arrivare con l'auto fino a 50 metri dal rifugio, o dal lago.
I "turisti del SUV" giuro che sono la cosa che meno sopporto in montagna.

Offline Selvagem

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #12 il: 26/07/2012 15:00 »
El zucherin co la s'gnapa apena arivadi en zima!!!!  :D
Più ne hai meno ne perdi

Offline AGH

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #13 il: 26/07/2012 15:20 »
ma a volte capita anche a me, camminano a testa bassa per raggiungere la cima e poi giù a rotta di collo senza assaporare l'intimo senso di libertà che ti può regalare la montagna.

ciascuno vive la montagna secondo la sua indole. Se a uno piace correre va bene, anche se a me personalmente non piace. Per me poi che faccio foto, fermarsi spesso è obbligatorio. Anzi il fare buone foto fa parte del piacere di andare sui monti, non potrei mai andare in montagna senza macchina fotografica. Anche se c'è un sacco di gente che non gliene importa nulla delle foto, e magari sbuffa quanto ti fermi per farne una
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Offline pianmasan

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Re:Vecchi appunti
« Risposta #14 il: 26/07/2012 18:52 »
Lo zuccherino con la sgnapa l'avevo dimenticato, forse rimosso perché ricordava, sapete cosa? il vaccino antipolio, mi pare il Sabin...
Il mio intervento voleva essere un ricordo un po' ironico di quei tempi che chiamo felici, perché così erano. Non feci volutamente alcun paragone con i "tempi moderni" (solo la plastica sulla cime). Mi trovo molto in sintonia con quanto scritto da Alverman: la montagna come luogo che conserva ancora un suo fascino magico. Bisogna andarci sempre quasi religiosamente, come ad una cerimonia sacra. Tuttavia, quando leggo di certe sgambatelle dei fortissimi tra quanti scrivono qui dentro, come negare che provo una sana invidia?
Per quanto riguarda l'evoluzione tecnica dell'abbigliamento e dell'attrezzatura così come per l'aiuto che dà la tecnologia, essi sono sempre benvenuti. Ma non saranno certo questi aspetti che cambieranno il mio modo di andare in montagna!