Autore Topic: Sopravvissuto alla valanga, il racconto  (Letto 5533 volte)

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Sopravvissuto alla valanga, il racconto
« il: 31/12/2009 07:31 »
Il giorno della valanga
Chi disse “preferisco aver fortuna che talento” percepì l’essenza della vita (Woody Allen - Match Point).

Quante volte un minuscolo evento casuale può cambiare il corso della nostra vita? Come la pallina da tennis che prende il nastro può ricadere indifferentemente al di qua o al di là della rete, determinando l’esito della partita, così un minuto, un centimetro, una parola, a volte sono la differenza tra riuscire o fallire,vincere o perdere, vivere o morire.

Certo, il blocco di neve che si stacca proprio quel giorno, proprio in quel momento, proprio in quel punto, non lo posso considerare un evento fortunato. Sarebbe bastato un altro minuto, forse mezzo, e sarei stato oltre. Se solo non mi fossi attardato a sistemami la linguetta dello scarpone, o avessi adottato un’andatura un po’ meno turistica. E d’altro canto se sono qui a scrivere, anche se un po’ acciaccato, è solo per un insieme di circostanze talmente fortunate da far pendere il bilancio della giornata decisamente a mio favore.

Innanzitutto il mio compagno più vicino, pochi metri avanti a me, per fortuna (sua e mia) viene coinvolto solo marginalmente ed ha, evidentemente, l’autosoccorso nel sangue. L’istante in cui mi sento toccare la gamba destra è per me il segno che la pallina da tennis è finita dall’altra parte.
Prima non avrei scommesso un euro sulla mia sopravvivenza.

E poi il fatto di essere l’unico travolto di un gruppo numeroso, esperto ed attrezzato che può dedicare, e le dedica, tutte le sue energie al mio disseppelimento. Fossimo finiti sotto in tanti, o fossimo stati in pochi, chi può dire come sarebbe andata.

Forse anche la polizza sulla vita sottoscritta poche settimane prima. Avevo insistito perchè fosse rimossa una clausola relativa al caso di morte per congelamento. Metti che finisco sotto una valanga, avevo scherzato con l’assicuratore. Chissà che faccia avrebbe fatto!

Ma bando alle ciance, non voglio dilungarmi sulla cronaca, tutto sommato scontata. L’evento valanga, pur con tutta la sua drammaticità, non è descrivibile a parole senza cadere nel banale. Vorrei solo mettere nero su bianco le risposte ad alcune domande che, per il semplice fatto che mi sono state rivolte da più persone, ritengo di possibile interesse comune.

Se ho provato a scappare, per esempio. Certo, appena ho visto il distacco, che pure all’inizio sembrava cosa da poco, ho cominciato a risalire il versante opposto con tutta la lena possibile. Ma è questione di secondi, non è che di strada se ne può fare tanta. Magari in fase di discesa ci si può mettere a uovo e tentare una libera alla Hermann Mayer, ma in salita, con le pelli ai piedi, il raggio d’azione è veramente risibile.

Se ho provato a nuotare, come suggeriscono di fare. No, non ci ho provato. O meglio, non sono neanche riuscito a pensare di ipotizzare di tentare di provarci. L’onda d’urto che precede la massa valanghiva non ha nulla a che vedere con il vento, neanche con la Bora a centodieci che pure ho provato a Trieste, anni fa, e che mi faceva barcollare, è vero, ma non mi sollevava mica da terra! Dopo lo schiaffo dello spostamento d’aria, con relativo atterraggio scomposto, è difficile fare qualunque cosa. E poi la valanga, la mia valanga almeno (di altre non ho esperienza), non ha niente a che vedere con l’acqua.
E’ come trovarsi all’interno di una gigantesca betoniera: lo stile libero riesce malissimo. La massa ti avvolge, ti impasta, ti disarticola. Già mantenere una congruenza morfologica è un’impresa impossibile, coordinare dei movimenti è pura teoria. Forse varrebbe la pena togliersi gli sci e rannicchiarsi per cercare di salvare gli arti, ma non è detto che così non si finisca più sotto. Comunque, pensare di riuscire a dominare in qualche modo la situazione è per lo meno illusorio.

Se ho provato a crearmi uno spazio, una nicchia, una bolla d’aria per poter respirare. Sì, ci ho provato. No, non ci sono riuscito.
Per un attimo ho creduto di avercela fatta.
Quando mi sono fermato ce l’avevo. Poi è arrivato il resto della neve con il suo dolce peso da ippopotamo. Non solo si è ripresa tutti gli spazi disponibili: si è anche piazzata sul mio sterno rendendomi la respirazione complicata a prescindere dall’aria disponibile.

Se si ha cognizione del sopra e del sotto. No, per niente. Non avrei mai detto di essere praticamente a testa in giù. Dicono di usare la saliva per orizzontarsi, ma questo ha senso solo se hai a disposizione dello spazio per fare qualcosa. Quando sei imbalsamato in un pilone di cemento non è che ti serva molto sapere dove sta il sopra.

Se c’è luce. Sì, almeno, giurerei di sì. Non che ci sia molto da vedere, ma la mia impressione è quella che i cristalli di neve davanti ai miei occhi fossero visibili.

Se si sentono i suoni. Sì, benissimo anche. Anche da un metro e mezzo sotto sentivo tutto quello che si diceva fuori. Non viceversa, nel senso che fuori non sentivano niente di quello che urlavo io.
Strano effetto monodirezionale della propagazione del suono.

Se fa freddo. Probabilmente sì, ma almeno nei primi minuti è l’ultimo dei problemi. Poi sì, un freddo becco, ma per fortuna ero giá fuori.

Se mi è passata davanti tutta la vita. No, francamente no. L’impressione è quella di non avere pensato quasi niente. Per un po’, forse un minuto, ho creduto di essere spacciato, ma non c’è stato molto oltre questa lungimirante osservazione.
L’immagine confusa di mia moglie che spiega ai bambini il perchè e il per come il papà non tornerà più, con l’assurdo sollievo di non essere io a doverlo fare. Un inizio di rassegnazione forse. Poi il tocco magico sullo scarpone e la certezza immediata che ce l’avrei fatta. Da lì tutti gli sforzi si sono concentrati sullo stare calmo, sul respirare piano, sul consumare il meno possibile, sullo stare vivo. Per la proiezione completa della mia vita non c’è stato proprio tempo.

Se, infine, tornerò in montagna dopo questa singolare esperienza. E’ la domanda più difficile. Sono talmente lontano dalle condizioni fisiche minime anche solo per salire sul monte San Primo che non provo nessuna pulsione, nè di ritorno nè di ritiro.
Cosa mi verrà voglia di fare, quando potrò farlo, non riesco a immaginarlo. Mi si fa notare che si è trattato di un evento non provocato, del tutto casuale, una vera sfiga come si suol dire, e che non posso rimproverarmi nessuna negligenza, nessun azzardo. Cosa vera in gran parte. Certo, se avessi scelto di uscire dal traccione e di passare più sulla sinistra… beh, avrei vinto il premio Nobel della premonizione, ed è solo uno scrupolo di coscienza che, di fronte al danno, mi porta ad interrogarmi sulle scelte improbabili che avrebbero potuto evitarlo. Tuttavia, forse proprio questa valutazione di ineluttabilità mi disturba. Fosse successo mentre, come tante volte, mi assumevo un rischio più o meno calcolato, potrei sempre pensare che, con una condotta più prudente, sarei in grado di aumentare a mio piacere il livello di sicurezza. Se fai una cazzata, dice il saggio, puoi sempre riprometterti di non cascarci più. Invece mi trovo, come unica consolazione, quella di pensare che una sfiga del genere non può capitarmi due volte, cosa del tutto falsa, come il calcolo delle probabilità insegna.

Questo per quanto riguarda i motivi per non tornarci. La paura. Poi ci sono i motivi per tornarci. Il divertimento. Fino ad oggi ho sempre vissuto la montagna con serietà ma anche con spensieratezza. Un grande, immane, incommensurabile divertimento.
Riuscirei a divertirmi come prima sapendo che a casa c’è una famiglia che conta i minuti alla fatidica telefonata, ok, tutto bene, siamo alla macchina? Fino ad oggi la mia attività montanara è stata, per la mia famiglia, un mero problema di assenza.
Ora potrebbe diventare un grosso motivo di stress. Insomma, dobbiamo guarire in quattro da questa faccenda.

In conclusione, l’epilogo.
Come recitano i sacri testi, la probabilità di sopravvivere sotto una valanga è più del novanta per cento nei primi cinque minuti.
Mai tempo fu calcolato con più giudizio.
Quando vedo un guanto che spazzola gli ultimi strati di neve davanti alla mia faccia sono passati esattamenti cinque minuti, e la mia impressione è che non avrei retto il sesto.
Forse solo una sensazione, nessuno potrà mai dirlo. L’immensa goduria di respirare è solo parzialmente mitigata da un dito che mi viene prontamente infilato in bocca alla ricerca di corpi estranei, come da procedura.

Pare che la mia prima richiesta sia stata quella di levarsi dai testicoli, non in senso figurato ma strettamente fisico. D’altro canto non dev’essere facile capire come sono posizionato, mezzo Heather Parisi e mezzo Misery Non Deve Morire. A partire dalle angolazioni improbabili degli arti inferiori i miei testicoli potrebbero trovarsi dovunque, dunque è ragionevole che qualcuno, nell’ansia totalmente condivisibile di salvarmi la pellaccia, ci si sia piazzato sopra. Vedo facce di compagni che credevo molto più indietro. Avranno preso uno skilift, viceversa non mi spiego come possano essere già qui.
Il resto è un walzer di scavi archeologici, teli termici, elicotteristi acrobatici, medici sans frontier, barelle, ambulanze, freddo, felicità, dolore fisico come non mai. Mi concentro sulla linda stanza d’ospedale dove, prima o poi, dovrei approdare per un meritato riposo sotto cospicua dose di antidolorifici. Un miraggio per il quale ci vogliono circa quattro ore, in gran parte spese per tirarmi su la temperatura da trentuno ai trentasei e mezzo regolamentari. Quando alla fine mi sparano nel calcagno il ferro per la trazione mi avvisano che mi farà un po’ male, ma a me sembra poco più di una puntura di insetto. Ormai ho la soglia del dolore tra Rambo e l’Uomo Chiamato Cavallo.

Finalmente, verso le quattro, il sogno si avvera: sono in una linda stanza di ospedale con una pera di allucinogeni da 500cc appesa alla gruccia della flebo e non sento alcun dolore. E’ il 25 Aprile, giorno della Liberazione. Da quest`anno, per me, non solo dai Nazisti.

Roberto Cotti (Rolly)

——————————————————————

“È successo davvero, non è la solita esercitazione”, questo il primo pensiero che elaboro quando il flusso di neve si ferma e mi rendo conto che non mi può più raggiungere. Ho visto due dei nostri catturati dall’onda di piena della valanga, cento metri più avanti. Lo scenario non rientra nei canoni ai quali siamo preparati. Non è un distacco provocato, un lastrone con un fronte più o meno ampio. Piuttosto una maxi-valanga spontanea, di quelle che si vedono nei filmati e non si commentano nemmeno perché se ti prende una cosa del genere…

Ci troviamo a centro metri di dislivello dal rifugio Bezzi in Valgrisenche, nell’ultimo tratto della valle che conduce al rifugio, dove è più stretta. È mezzogiorno, siamo lì con il corso regionale lombardo di scialpinismo e il corso di snowboard alpinismo di cui sono il direttore. Il tempo è bello, non troppo caldo. Sono tre giorni che si è sistemato, dopo le nevicate della settimana precedente. Il bollettino segnala un rischio 3 marcato, in diminuzione. La valanga si stacca almeno 400 metri (di dislivello) alla nostra destra, dalle pendici della Becca di Suessa esposte a est. Sembra un modesto scaricamento, distante. Alcuni di noi lo fotografano perfino, ma la neve non si ferma, saltando da una balza rocciosa all’altra acquista massa e impeto.

Quando la valanga entra nella valle è come un fiume in piena; risale sul versante opposto, dove passa la traccia di salita.
Neve pressata, a blocchi, pesante come cemento.
In mezzo alla valletta, nel posto sbagliato momento sbagliato, si trovano Roberto e Alessandro. Alcuni di noi sono più avanti e più in alto, altri dietro nel piano dove la valanga si arresta.

Non abbiamo parlato, non abbiamo nominato un direttore della ricerca, assegnato incarichi. È scattata una reazione automatica, più che un autosoccorso da manuale. Del resto sarebbe stato una perdita di tempo ed eravamo troppo pochi e sparpagliati per agire diversamente. Siamo semplicemente corsi lì, chi dall’alto, chi dal basso, chi gli sci chi senza. Quando sono arrivato io, Roberto era stato già localizzato.

A trovar è stato Alessandro che, sfiorato dalla valanga, ha avuto la prontezza e la bravura di dedicarsi subito alla ricerca del compagno. Uno scarpone affiorante dalla neve ha significato molto. Per Roberto che da sotto ha sentito che l’avevano raggiunto e anche per noi che lo cercavamo con il cuore in gola.
Alternandoci nello scavo, in quattro minuti abbiamo raggiunto la sua testa. Non è stato immediato capire in che posizione si trovasse e come fare per arrivare alla bocca. Quando gli abbiamo liberato la faccia e l’ho sentito dire “Mi state sui coglioni!” non ho pensato che avesse un brutto carattere. Ma che era vivo e noi gli stavamo schiacciando delle parti delicate.

Poi ce la siamo presa con più calma.
Abbiamo liberato il resto del corpo e le gambe. Una evidentemente spezzata all’altezza della tibia, l’altra dolorante.
L’abbiamo mosso pochissimo, isolato dalla neve e coperto. Roberto rispondeva alle nostre domande, ci rassicurava sulle sue condizioni. Nel frattempo abbiamo fatto una verifica su tutta l’area della valanga per eventuali altri dispersi, magari appartenenti ad altri gruppi. Altri 15 minuti ed è arrivato un bellissimo elicottero. C’era un cavo sospeso vicino a noi e temevo complicasse le operazioni.
Senza fare un piega, il pilota è atterrato sulla valanga a dieci metri dal ferito.
Caricato sulla barella il nostro amico ha preso il volo verso l’ospedale di Aosta, dove giovani e sapienti infermiere si sono prese cura di lui. Su quest’ultimo particolare non ci giurerei, essendo Roberto sotto morfina.

Questa la cronaca di quella mattina del 25 aprile 2008.
Quale lezione o insegnamento si può ricavare da questa vicenda?
Dirò qualcosa di già sentito: in montagna si rischia sempre qualcosa. Questo rischio a volte non lo vediamo o forse richiede uno sguardo più acuto del solito. Ma esiste. A volte gli diamo un nome diverso: destino, caso, fatalità. Si tratta comunque di qualcosa che non potevamo o sapevamo riconoscere.
Non avrei mai immaginato che potesse colpirci una valanga di quelle dimensioni in quel punto. Stavamo salendo divisi in gruppi, ogni istruttore con due o tre allievi, in un clima rilassato senza particolari patemi. Lungo la traccia c’era qualche piccolo valanga a pera, di quelle provocate dal caldo. Eravamo distanziati, ma più per ragioni didattiche che di sicurezza. La traccia che sale al rifugio era già segnata e percorsa da decine di persone.

Sarebbe consolante pensare che sia stato un evento “sfortuito” ed eccezionale. Ma non ci credo completamente. Una guida ci ha detto che l’anno scorso lì è morto un suo collega. Nelle ore successive su quella tranquilla traccia di salita si sono scaricate altre valanghe da entrambi i versanti, anche se meno mastodontiche.

Significa che quella valle, in certe condizioni, anche dopo tre giorni di bel tempo può essere una trappola. Siccome il rifugio Bezzi è una meta molto frequentata e accoglie oltre cento persone e molte scuole nei weekend primaverili buoni, vorrei che questa informazione circolasse.
Quel pericolo noi non l’avevamo previsto e non penso che sarò in grado di fare analisi e previsioni così lungimiranti in futuro. E se fossi in grado di farle, resterei quasi sempre a casa, preoccupato da un rischio latente che vedrei ovunque.

Mi dispiace molto per Roberto, che è ancora alle prese con una riabilitazione complessa dopo la frattura alla gamba. La valanga l’ha preso, l’ha stritolato un po’ e poi ce l’ha restituito malconcio ma vivo. È stata benevola con lui. Avrà capito che è una persona con una grande forza e tranquillità d’animo, che a casa l’aspettavano due bambini?

È stato prima molto sfortunato, poi molto fortunato. In questo ci rappresenta in pieno. Una valanga di quelle dimensioni poteva fare strike con un gruppo numeroso come il nostro.
Mi tornano in mente i versi di una poesia di Montale. “E’ scorsa un’ala rude, t’ha sfiorato le mani, ma invano: la tua carta non è questa”.

Guido Fossati

Pubblicato su LaTraccia n. 53 - Settembre 2008 Notiziario della SEM - Società Escursionisti Milanesi. Vedi anche:Scuola di Alpinismo e Scialpinismo “Silvio Saglio”
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Re: Sopravvissuto alla valanga, il racconto
« Risposta #1 il: 31/12/2009 07:33 »
Altro racconto di uno scampato alla valanga

UN RACCONTO DI UN INCIDENTE

Martedì 03/02/09

Una valanga "cercata" (e trovata)

Sto cercando di salire in f.lla Palantina Bassa. La neve caduta nei giorni precedenti è molta, impossibile passare per il percorso classico, inoltre, si vede una cornice enorme in f.lla. Ha smesso di nevicare da poco, sono ben consapevole che il pericolo di valanghe è alto. A circa metà percorso, in corrispondenza di un pianetto, sul versante di destra ci sono dei piccoli larici, degli arbusti e un breve salto di croda: dovrebbero frazionare e rendere meno pericolosa una eventuale caduta di neve. Sono circa 100m di dislivello abbastanza ripidi. Decido di provare, Laura mi segue a pochi metri. Tutto bene fino a un paio di metri dalla sommità: gli sci affondano bene, il fondo sembra solido, non si staccano lastre di neve, insomma, non sembra pericoloso…

La valanga è improvvisa, repentina, veloce. Mi ritrovo a correre lungo il pendio a testa in giù, gli sci bloccati non si staccano e non rallentano la corsa. Tengo la testa fuori, botte da tutte le parti. Arrivo sugli arbusti, uno sci si incastra, mi fermo a testa in giù. La neve mi scorre sopra, cerca di trascinarmi ancora a valle, il piede tira forte per uscire dallo scarpone… Fortunatamente resto bloccato. Il primo pensiero è per Laura, anche lei è rimasta sotto. Urlo, la chiamo… Niente, solo il rumore della neve. Pochi secondi, un battito di ciglia, possono trasformarti la vita in un dramma.

Dopo un paio di lunghissimi minuti sento la sua voce…, riesco a vederla. E’ stata trascinata molto più in basso, fortunatamente non si è fatta niente. Sono sempre a testa in giù appeso per uno sci. Ora devo capire come togliermi da quella posizione, non è poi così semplice…
Sotto è arrivato uno scialpinista allarmato perché non ci vedeva rientrare in Casera. Mi urla: “ Ci vorrebbe una foto “. Non rispondo, ho altro a cui pensare: non riesco né a togliere lo scarpone né a sganciare lo sci! Sono felice, poteva andare molto peggio. Ancora una trazione sull’arbusto e riesco a sganciarlo.

E’ quasi finita, mancano ancora le racchette che troverò un cinquantina di metri più sotto. Raggiungo Laura e insieme scendiamo alla macchina.
Ho una gamba come una "anguria" ma non sembra ci sia niente di rotto. Laura solo qualche botta, niente di particolare.

Amos
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Re: Sopravvissuto alla valanga, il racconto
« Risposta #2 il: 31/12/2009 08:29 »
Diciamo che (a me) passa un pò la voglia di andare  :-\

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Re: Sopravvissuto alla valanga, il racconto
« Risposta #3 il: 31/12/2009 09:08 »
Vedila dall'altro lato,Passo Veloce:bisogna andare spesso e osservare i dettagli per valutare al meglio.Se conti quanti incidenti stradali ci sono ogni giorno,non ti dovresti mai mettere per strada.Pensa positivo e buon 2010

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Re: Sopravvissuto alla valanga, il racconto
« Risposta #4 il: 31/12/2009 09:17 »
Vedila dall'altro lato,Passo Veloce:bisogna andare spesso e osservare i dettagli per valutare al meglio.Se conti quanti incidenti stradali ci sono ogni giorno,non ti dovresti mai mettere per strada.Pensa positivo e buon 2010
Hai ragione  ::) poi comunque è molto importante andare con qualcuno con esperienza perchè si imparano molte cose...e possibilmente qualcuno che sappia usare bene l'ARVA  ;D
Buon 2010 anche a te :-*

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Re: Sopravvissuto alla valanga, il racconto
« Risposta #5 il: 31/12/2009 10:54 »
Hai ragione  ::) poi comunque è molto importante andare con qualcuno con esperienza perchè si imparano molte cose...e possibilmente qualcuno che sappia usare bene l'ARVA  ;D

sarebbe meglio che l'arva lo sapessero usare bene tutti magari  ;D
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Re: Sopravvissuto alla valanga, il racconto
« Risposta #6 il: 31/12/2009 11:10 »
sarebbe meglio che l'arva lo sapessero usare bene tutti magari  ;D
Ricordo che a febbraio uno scialpinista era stato travolto da una valanga su Cima Litegosa...era solo....per fortuna dietro di lui c'erano 2 altoatesini!!grazie all'ARVA erano riusciti a trovarlo e tirarlo fuori!veramente fortunato!!  :)
L'ARVA secondo me non va solo visto in un pensiero riguardante la propria "salvezza" ma anche per quella degli altri...non mi perdonerei mai di vedere qualcuno rimanere sotto a una valanga e non avere e saper usare i mezzi per poterlo salvare!..come importanti sono anche le manovre di primo soccorso!

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Re: Sopravvissuto alla valanga, il racconto
« Risposta #7 il: 31/12/2009 11:18 »
Ricordo che a febbraio uno scialpinista era stato travolto da una valanga su Cima Litegosa...era solo....per fortuna dietro di lui c'erano 2 altoatesini!!grazie all'ARVA erano riusciti a trovarlo e tirarlo fuori!veramente fortunato!!  :)
L'ARVA secondo me non va solo visto in un pensiero riguardante la propria "salvezza" ma anche per quella degli altri...non mi perdonerei mai di vedere qualcuno rimanere sotto a una valanga e non avere e saper usare i mezzi per poterlo salvare!..come importanti sono anche le manovre di primo soccorso!

ma infatti: benissimo avere l'arva, ma se si deve curare al massimo la prevenzione, mi chiedo se non sarebbe opportuno anche avere le conoscenze basiliari di primo soccorso: se riesci a tirar fuori uno dalla valanga, che però magari è in arresto cardiaco, che fai?  :(

PS: per esempio no ho mai capito perché per fare la patente devi sapere come funziona il motore ma non (perlomeno ai tempi miei) come fare un primo soccorso!
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Re: Sopravvissuto alla valanga, il racconto
« Risposta #8 il: 31/12/2009 11:26 »
ma infatti: benissimo avere l'arva, ma se si deve curare al massimo la prevenzione, mi chiedo se non sarebbe opportuno anche avere le conoscenze basiliari di primo soccorso: se riesci a tirar fuori uno dalla valanga, che però magari è in arresto cardiaco, che fai?  :(
Infatti a mio parere sarebbe essenziale!! anzi consiglio a tutti di fare i corsi organizzati dalle varie associazioni dislocate sul nostro territorio tipo Croce Rossa, Croce Bianca ...sono utilissimi!anzi ora insegnano pure l'uso del defibrillatore!  :o poi ovvio che si spera sempre di non usarlo! però maggiore consapevolezza da parte di tutti che basta poco per salvare una vita non farebbe male!

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Re: Sopravvissuto alla valanga, il racconto
« Risposta #9 il: 09/02/2010 07:41 »
ancora un racconto, stavolta fresco fresco, di uno scampato alla valanga
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ME LA SONO VISTA BRUTTA

Colere 6/02
L' abbondante nevicata di venerdì 5 fa presagire ad un big day.... La neve non è fantastica, ma è davvero tanta (direi un 50-60).
Non c'è il sole, ma poco importa...
I sottoseggiovia, come sempre, non mi regalano emozioni, quindi decidiamo di comune accordo di dirigerci verso discese un po' più gratificanti.
Arriviamo all' Albani, c'è solo una traccia prima della nostra...
Con molta superficialità evitiamo il classico percorso (più continuo e senza cambi di pendenza importanti) e cominciamo a scendere: siamo in 4, 2 sciatori e 2 tavolari, il Layez ed io con il kit, gli altri 2 no.
Data la circostanza il Layez sta in testa ed io in coda...
Si capisce quasi subito che c'è poco da star tranquilli e quel ca**o di bollettino segnava pericolo 3, che non è poco, ma la situazione era decisimante diversa....Ad ogni cambio di pendenza si staccava qualcosa.....
Per chi non conosce il posto, in molte zone ci sono parecchie gobbe con relative conche a seguire che, con una giornata di sole si riesce tranquillamente a vedere e di conseguenza ad evitare.
Questo è stato il mio problema: Per evitare di stare troppo a ridosso di un mio compagno che si era bloccato su una gobbetta, decido di evitarlo.
Mi accorgo mentre lo faccio che è verticale, mentre stacco per saltare, perchè alla fine questo era un mini cliffino (2,5 mt), lui riparte, ma il tempo di capire che mi ero infilato in una conca, vengo colpito sulla schiena da qualcosa.... Sto qualcosa mi butta a terra (fortunatamente sono caduto di schiena) e mi ricopre. A me sembra sia successo a rallentatore.... Inutile dire che non è così!
Comprendo quello che è successo, e porca di quella puttana mi sto cagando in mano....
Ho letto tante vicende sulle valanghe, ma tutto quello che apprendi leggendo poi non lo riesci a mettere in pratica.
Cerco di rialzarmi subito, penso, tanto ce la fai... Col ca**o, non mi riesco a muovere: panico, panico totale...
Subito mi balza in mente che i miei compagni non sarebbero riusciti a tornare indietro.
Fortunatamente non era tanta la neve che mi ricopriva la faccia e sempre fortunatamente mi era rimasto fuori l' avambraccio sinistro... Mentre cerco di liberare il braccio per togliermi la neve dalla faccia, cerco di non respirare, ma non riesco nemmeno in questo:
respiro in maniera affannosa fino a quando non riesco più! Il naso è pieno di neve, la bocca pure!
Il braccio sinistro impazzisce, cerco il più velocemente possibile di liberare la faccia... Tanta era la foga e la paura che mi sono riempito di sberle per togliere la neve dalla faccia... Ok, ci siamo, non c'è più fretta, riesco a respirare ed ho una mano libera.
Scavo per liberare il piede sinistro, slaccio il piede dalla tavola: libero. Basta, è fatta. Con calma riesco ad uscire dalla conca nella quale mi ero infilato stupidamente, mi chiama il socio che era poco più avanti sul telefono: "ci sono!!!" gli rispondo. Lacrime di adrenalinica gioia escono senza permesso dai miei occhi!!
La discesa per arrivare al battuto è stata una sofferenza, la testa che pensava soltanto a cosa ero scampato per buonasorte!! Il jolly è andato.
Quel che è successo dopo non ve lo so raccontare causa possente dose di alcool che mi ha indicato la via sino alla sera!

Ora possiamo tranquillamente discutere su quanto io sia stato fortunato, sta di fatto che lo scorso anno con una situazione del genere (tanta neve pesante) prendevamo decisioni diverse...
Sta volta ho/abbiamo agito così spinti da quel desiderio che ci soffocava la mente da inizio stagione.... molto probabilmente sarà la mia ultima uscita di serio fuoripista per un bel po'....

da http://www.skiforum.it/forum/showthread.php?t=39125
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