Bella puntata di "Che Tempo che Fa" ieri, con due montanari doc, Reinhold Messner e Walter Bonatti insieme! Da vedere!
http://mediapolis.rai.it/relinker/relinkerServlet.htm?cont=VnuqgVgWoo4eeqqEEqualMessner incontra Bonatti in tivù"Sognavo di essere lui"
di Gianfranco Piccoli
BOLZANO. «Da piccolo sognavo di essere Walter Bonatti». Reinhold Messner lo ha raccontato ieri sera davanti alle telecamere di «Che tempo che fa». Al suo fianco, di fronte a Fabio Fazio, c’è proprio lo scalatore bergamasco. Due monumenti dell’a lpinismo mondiale. Generazioni diverse, ma un filo conduttore comune, sottolinea il re degli ottomila: per entrambi una cavalcata decennale tra alpinismo, esplorazione e narrazione, con Bonatti che ha sconfinato per anni nel giornalismo, autore di grandi reportage per Epoca.
La puntata dedicata alla montagna cade nei giorni della tragedia della val di Fassa: due escursionisti e quattro soccorritori morti sotto una valanga. Nessun cenno durante la trasmissione e Rai Tre si «giustifica» facendo scorrere sul video la scritta «programma registrato». L’esaltazione delle grandi imprese stona - così devono pensare quelli della tv pubblica - con il dolore che trasuda dalle cronache dei telegiornali di ieri.
Fazio sventola le ultime fatiche letterarie di Messner («La montagna a modo mio») e Bonatti («Un mondo perduto»). Si parte da là. Il conduttore definisce il libro di Reinhold «un saggio di filosofia», dove l’alpinismo è paragonato all’arte: «Nell’ultima salita di Bonatti sul Cervino c’è qualcosa di artistico, una delle più belle linee disegnate sulle Alpi. E anche le ascese del futuro non potranno che essere arte: verranno fatte sulle pareti cose che per noi, oggi, sono inimmaginabili».
La solitaria invernale del 1965 sul Cervino, un’impresa finita nell’enciclopedia dell’alpinismo, segna la fine delle pareti verticali per Bonatti e l’inizio della «trasposizione orizzontale», come lui stesso la definisce. Ovvero, parte l’epoca delle grandi esplorazioni, dai meno 65 gradi della Siberia alla caccia (fotografica) di varani, tigri e coccodrilli.
Un passaggio simile Messner lo colloca, nella sua biografia, nel 1978, quando, si concede una nuova linea in solitaria sul Nanga Parbat, otto anni prima di concludere tutti gli ottomila: «La mia ciliegina sulla torta, il puntino sulla “i”». Niente compagno, niente bombole, niente portatori o tecnologia. La ricerca della purezza assoluta, «come ha sempre fatto Walter». L’antitesi delle spedizioni commerciali che oggi portano (quasi letteralmente) clienti gonfi di soldi sulla cima dell’Everest. A volte, qualcuno ci lascia la pelle.
Poi anche Messner viene stuzzicato dalla dimensione orizzontale. Dalla traversata dell’Antartide a piedi e con gli sci (1990) al deserto di Gobi (2004). Parlando di quest’ultima impresa, Messner si schermisce, ricordando come l’esperienza nella sabbia a sessant’a nni lo abbia costretto a guardare la carta d’identità: «Nel deserto avevo uno zaino da cinquanta chili ma non più la forza dei quarant’a nni. Mi faceva male tutto e mi chiedevo “Perchè sono qui?”». «Oggi per me - ha continuato - i deserti sono sempre più grandi e le montagne più alte. Vado ancora ad arrampicare, ma il capocordata è mio figlio, con il quale sono stato recentemente in Giordania. Lui mi rimprovera: “Papà, ti devi allenare”». Passaggi che strappano sorrisi e un pizzico di tenerezza spulciando anche solo un decimo del pedigree di Reinhold.
Cosa «invidia» Messner a Walter Bonatti? «Ai suoi tempi, c’era molto più da esplorare: la mia generazione ha dovuto re-inventare le salite su montagne già note».
L’alpinismo? «Inutile ma possibile», dice Messner. Che, sulla definizione di avventura, si è espresso così: «E’ libertà di fare e responsabilità, due facce della stessa medaglia». In ogni caso, ha concluso il re degli ottomila, «non è fortunatamente cosa per tutti».
(Alto Adige, 28 dicembre 2009)