Autore Topic: PATAGONIA  (Letto 9568 volte)

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manuel115

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PATAGONIA
« il: 14/02/2008 18:32 »
Da L'Adige del 14 febbraio 2008:

In tre volano sul tetto della Patagonia
Per Larcher, Leoni e Orlandi nuova via sulla est del Paine

FABRIZIO TORCHIO Lui, il «nonnino» (che poi ha solo passato i 50, calma eh), c'era già stato 22 anni prima e non l'aveva dimenticato; gli altri due, il «grosso» e il «magro», ci avevano buttato l'occhio l'anno scorso, quando sbucando da uno strapiombo si erano trovati sulla cima del Cerro Cota. Così, quando giovedì scorso tutti e tre hanno calcato la vetta al tramonto, affamati di orizzonte dopo 11 giorni di vuoto sotto i piedi, l'emozione ha preso anche lui, il «nonnino» di San Lorenzo in Banale (proverbialmente imperturbabile in qualsiasi situazione meteo): urla liberatorie, gioia vera, le foto con il pensiero alla discesa, alle corde fisse da recuperare. E senza far volare sassi. Il 7 febbraio scorso, verso le 18, i trentini Elio Orlandi, Rolando Larcher e Fabio Leoni - tre amici, prima che alpinisti di classe - erano sulla vetta della Torre centrale del Paine, a godersi il premio di una «vacanza» verticale in Patagonia. In 14 giorni, sulla paretona est hanno lasciato la loro ironica firma sul granito: «El gordo, el flaco y l'abuelito», il grosso, il magro e il nonnino (perché sai - confida Leoni via mail da laggiù - a volte è più difficile trovare un nome che aprire la via.....). Grande montagna, bella via. Perché la cattedrale del Paine è come un duomo di Milano moltiplicato per trenta, un'enormità di roccia. Non sta lì solo, ed un po' come se si innalzasse alla pari fra Santa Maria del Fiore e la Mole Antonelliana, in un ambiente selvaggiamente straordinario, ma strapazzato dal solito maltempo estremo. Il risultato è che su 11 giorni in parete dopo 3 di saliscendi nella parte bassa, per sette dì i nostri sono stati sballottati dalle bizzarrìe atmosferiche di quella punta di Sudamerica che è già un po' Antartide: «Due giorni di pioggia ininterrotta in portaledge - riassume Leoni - due notti con scariche di ghiaccio e roccia continue che non ci hanno fatto dormire (a parte Elio che ronfava beato), tre giorni di vento vero che ti fa sentire piccolo di fronte ad una natura così potente». Il 1° febbraio, per salire 50 metri ci hanno messo 9 ore; il giorno dopo non hanno finito due lunghezze di corda: il vento li staccava dalla parete. Ma la Patagonia è così, come ben sa chi l'ha provato. E le notti? Beh, quelle sono trascorse nella tendina appesa alla roccia: Leoni e Larcher al piano superiore, Orlandi di sotto, collegato ai due con cordini di kevlar. Tutti e tre avvolti in un telo impermeabile a ciò che sta fuori... ma anche dentro: «Umidità amazzonica e nevischio dato dalla condensa - racconta Leoni - hanno accompagnato i nostri sogni». Però ogni sera, al rientro in tendina, a galvanizzarli c'era una cenetta a liofilizzati e grana trentino, con qualche fetta di speck rigorosamente portato da casa. «Il giorno della cima è stato fantastico», racconta Rolando Larcher, che nella vita "normale" è agente della Polizia di Stato a Trento. «Quando siamo partiti al mattino, sapevamo che mancavano ancora circa 400 metri. «All'alba la faticosissima risalita dei 300 metri di corde fisse strapiombanti. Con un tiepido sole abbiamo iniziato a scalare su roccia incognita». Alla fine, «un ammasso di pietre accatastate, rilasciate dal ritiro dei ghiacciai, cosa purtroppo ormai consueta anche a queste latitudini». La conferma è arrivata quando hanno rimesso piede sul ghiaccio: «Dopo 11 giorni si era completamente trasformato - racconta Larcher - costringendoci ad inventarci un rientro da un altro versante. La nostra via nuova si è allungata di oltre 20 metri, per il movimento e l'abbassamento del ghiacciaio».
« Ultima modifica: 14/02/2008 18:46 da manuel115 »