Autore Topic: Il 118: non criminalizzate gli scialpinisti  (Letto 872 volte)

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Appello interessante di Brandstätter del 118 altoatesino.
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Il 118: non criminalizzate gli scialpinisti
Data: 07-04-2010 Alto Adige

Il primario Brandstätter: oggi chi provoca valanghe teme le multe, scappa e non ci aiuta. In passato ci avvertivano anche se non c'erano travolti Oggi troppe volte partiamo per niente: sotto non c'è nessuno

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. «Lo dico da tecnico delle emergenze: non criminalizziamo gli scialpinisti, perché così facendo si mettono in forte difficoltà i soccorritori». A lanciare l'appello è il primario della centrale provinciale di emergenza Manfred Brandstätter, che ha rilasciato all'Alto Adige un'intervista sullo status quo della struttura da lui stesso fondata e diretta
dall'ormai lontano 1993. In passato, spiega il dirigente sanitario, «chi provocava una slavina spesso chiamava il 118 e
tranquillizzava: “Non c'è sotto nessuno”».

Oggi gli sciescursionisti temono verbali, denunce, sanzioni e magari il carcere, dunque spesso se ne scappano via per non farsi identificare. «Così noi non sappiamo se qualcuno è stato travolto, ma ovviamente dobbiamo partire: due elicotteri in volo per un'ora (a 78 euro al minuto per ogni velivolo; il totale sfiora i 10mila euro ad intervento, ndr), decine di soccorritori e unità cinofile da trasportare in quota. Uno sforzo immenso, il più delle volte inutile, perché la valanga non ha travolto nessuno».

Dottor Brandstätter, le piste da sci sono chiuse, ma lo scialpinismo vero comincia proprio adesso. Com'è la prospettiva? «Non buona. Già di norma le valanghe sono eventi complessi. Costano tempo e denaro; spesso c'è di mezzo l'ipotermia e dobbiamo trasportare i coinvolti a Trento o Innsbruck, dove nei reparti di cardio-chirurgia esistono appositi macchinari per riscaldare il sangue tramite la circolazione extracorporea. Inoltre, per un travolto i primi 15-20 minuti sono fondamentali, motivo per cui la macchina dei soccorsi deve essere imponente e rapidissima. Il brutto è che questa odierna criminalizzazione di chi pratica lo scialpinismo ci costringe a partire troppe volte a vuoto: basta che un turista veda una
slavina da lontano e ci chiami: noi dobbiamo andare. Ma sul posto non troviamo nessuno. Scappano quasi tutti per paura di rimediare una multa e in molte occasioni nessuno ci dice se sotto ci sono o meno dei travolti. Sono d'accordo: chi, facendo fuoripista accanto a un impianto, provoca una slavina causando vittime o feriti, dev'essere perseguito penalmente.
Ma lasciamo agli alpinisti la libertà di rischiare in prima persona. Che crimine commettono se provocano una valanga?

Riflettiamoci, altrimenti prima o poi arriveranno le multe per chi getta di sotto un sassolino mentre arrampica sulle Dolomiti».
Oggi quali altri problemi vive il 118? «Tanti non sanno cosa stia dietro la centrale provinciale di emergenza. Ci chiamano e dicono: mandateci qualcuno. Poi si innervosiscono alle ulteriori domande dei nostri operatori, ritenendole una perdita di tempo, mentre invece sono fondamentali. Salvare vite è una lotta contro il tempo, ma non generica: bisogna portare il paziente nel centro adeguato, nella finestra di tempo adeguata. Infartuati a Bolzano, amputati a Innsbruck o Verona, ustionati a Augusta, preallertando i centri».

E poi il 118 non porta il paziente all'ospedale, ma l'ospedale dal paziente.
«Per questo è fondamentale ottenere quanti più particolari possibili, in modo da mandare sul posto il tipo di soccorritori che davvero servono. Insomma, le domande dei nostri operatori non sono inutili. Intanto la chiamata di allerta viene immediatamente girata via computer alla seconda sala, quella separata, anche fisicamente, che si occupa della logistica. In
secondo luogo, gli stessi operatori forniscono istruzioni. È capitato di recente a Meltina: un bimbo aveva le vie aeree ostruite. Seguendo le indicazioni dell'operatore, i parenti sono riusciti a salvare il piccolo prima che arrivasse sul posto l'elicottero».
I numeri del 118 sono sempre impressionanti, ci può riassumere il vostro 2009? «I soli giornalisti (risponde ridendosela di gusto) ci hanno interpellati 5.111 volte, ma in un anno gestiamo 240mila telefonate. Perché oltre al 118 vero e proprio, la centrale di emergenza smista le chiamate del 115, sia quelle verso i vigili del fuoco volontari, sia quelle verso i pompieri del corpo permanente. Poi ci sono gli allarmi automatici e il numero verde. Ogni giorno ci arrivano in media 655 chiamate: come minimo ognuna richiede un'altra telefonata in uscita». I dati degli interventi, invece? «Solo il Pelikan 1 di Bolzano e il Pelikan 2 di Bressanone si sono levati in volo 2.065 volte. Per 688 volte ha invece
volato l'Ec 135 dell'Aiut Alpin Dolomites. Si tratta in tutto di 2.753 voli in un anno, in media 8 al giorno.

In totale gli interventi gestiti da noi sono stati 81.284. Di questi, 8.985 li abbiamo smistati ai vigili del fuoco volontari, 2.094 al soccorso alpino, 5.442 ai vigili del fuoco di Bolzano. Gli interventi di emergenza sanitaria assommano a 64.763». Quali sono le tipologie di emergenza? "Contrariamente a quanto si ritiene di solito, il traumatico arriva solo al 25%. Ci impegnano molto di più, arriviamo circa al 50%, i problemi internistici: cardiaci, neurologici, respiratori. Il soccorso alpino raggiunge al massimo il 10% del totale, ma anche in questo settore spesso si tratta di turisti non traumatizzati. Basti ad esempio il Burgraviato: i vacanzieri
hanno un'età media elevata, spesso sono obesi e ipertesi. E in ferie magari eccedono con cibi e bevande...»

Tolti i turisti, come sta l'Alto Adige rispetto alle regioni limitrofe?
«I dati sono in linea: abbiamo di recente costituito una comunità di studio a livello di arco alpino, assieme ad Austria, Svizzera, regioni alpine italiane e Toscana. Le popolazioni sono simili per struttura demografica, comportamenti e fattori di rischio. Le statistiche comparative in nostro possesso mostrano andamenti assolutamente omogenei».
Con le regioni limitrofe negli ultimi 16 anni avete stipulato diverse convenzioni. Riguardano per lo più l'elisoccorso in zone di confine, ma non solo. Se succede qualcosa in Venosta, può darsi che l'elicottero libero più vicino sia quello della Rega svizzera o quello di Zams, in Austria. Abbiamo poi stretto rapporti di intensa collaborazione con Belluno, Trento e la Lombardia, però gli interventi effettuati dai mezzi non nostri ci costano di più. In linea di massima cerchiamo di utilizzare il più possibile i nostri velivoli, anche perché paghiamo il noleggio, quindi meglio sfruttarli».

A proposito di costi, la crisi ha colpito? «Il nostro bilancio non è stato intaccato, parliamo di circa 30 milioni di euro l'anno. Ma è fuori di dubbio che stiamo tentando di razionalizzare in tutti i settori. Prima conseguenza: abbiamo eliminato tutti i doppioni». Dunque, niente più storica concorrenza fra Croce bianca e Croce rossa? «È finita da tempo, ora c'è piena collaborazione, anche perché per tutti vale il motto: razionalizzare. Non c'è intervento che non parta dalla nostra centrale, anche per questo non esistono più i doppioni». Chi devono ringraziare gli altoatesini?
«Il personale della centrale emergenze di viale Druso, gestito dal caposala Paolo Berenzi: 5 medici, 15 infermieri, 16 operatori. Lavorano su turni di 12 ore; di giorno sono in cinque, di notte in tre. A disposizione, oltre all'auto medica della Bianca o della Rossa, qui ce n'è sempre anche una seconda». Serve a gestire oltre 13mila «codici rossi» all'anno.
Blog di Montagna
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