La valanga nei pressi di Passo Cirelle (foto di Marina Todisco)Testo lungo ma da leggere, piuttosto istruttivo degli stati d'animo che ti prendono quanto cade la valanga (provocata) e qualcuno rimane sotto...
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Cronaca di una valanga vissuta di Marina Todisco
Un racconto degli avvenimenti al Passo delle Cirelle di sabato 5 gennaio 2013
Mentre riguardo le foto a casa, ce n’è una senza senso che inquadra da vicino non capisco cosa, della neve forse? Ricordo che stavo immortalando uno scatto del panorama della dolce vallata ascendente del Fuciade sopra il passo San Pellegrino, appena raggiunta la selletta che da lì introduce nella Buca di Tasca.
Senza accorgermene, una forte raffica di vento dal nulla mi ha letteralmente buttata giù, di lato. Sugli sci, con le mani impegnate a far foto, non ho potuto opporre resistenza e, comunque, non ho nemmeno fatto in tempo a capire cosa succedeva che già ero in terra. E’ passato forse un minuto prima che potessi rialzarmi ed ho debitamente aspettato che la raffica si esaurisse, visto che ero sul bordo di un pendio simpaticamente ripido che, con un’altra bella spinta forza sette tipo quella, avrei raggiunto in volo carpiato, scivolando giù, a pelle di leopardo, per una cinquantina di metri almeno.
La giornata era bellissima, soleggiata, calda per essere gennaio, a parte quel vento da nord traditore, in rinforzo. La nostra meta era il Passo delle Cirelle in primis e, a seconda delle condizioni che avremmo verificato meglio strada facendo, l’ambita traversata fino giù ad Alba di Canazei. Sarebbe stato un itinerario bellissimo mai troppo frequentato, anche se, questo sabato, avevamo la compagnia di almeno altri tre gruppetti di scialpinisti come noi.
Personalmente sarei stata già appagata nel raggiungere il passo. Negli anni, Cirelle, è diventato un miraggio a cominciare da un’estate, in cui traversando dalle cime d’Ombretta al Sasso Vernale, sulla via del ritorno abbiamo riposizionato in piedi, sostenuto da un ometto di sassi, il cartello che ne indicava la direzione, abbattuto dalle intemperie. La mia proposta era subito stata di salire anche fino al passo, ma era esattamente nella direzione e nell’intenzione opposta, ovvero salire ancora invece di scendere; mentre i miei compagni di gita erano desiderosi di tornare a casa. Tentai di raggiungerlo almeno altre tre volte in invernale, ma l’itinerario sembrava beffarsi di me: quando non c’erano le condizioni, quando un inconveniente all’attrezzatura di un compagno di gita, fino all’ultima volta quando, durante la sosta al rifugio Contrin, le vesciche sanguinanti ai piedi di Fernando hanno firmato la resa.
Finalmente una buona opportunità per salire su al passo delle Cirelle sabato, avevo preso accordi con Nicola, questa era la volta buona, mi dicevo, tutti convinti ed intenzionati a raggiungere la meta, saremmo stati in quattro includendo anche Fernando e Sergio.
Sembrerà ridicolo ma la notte precedente ho dormito un sonno agitato da incubi, sogni assurdi ed inquietanti, senza capo ne coda, di quelli che all’alba ringrazi quella trillante radiosveglia dittatrice di importi di alzarti.
Naturalmente, una volta sulle pelli, in quel panorama mozzafiato, con quella temperatura gradevole, al riparo dal vento, aggiungendo il ritmo blando di progressione in salita dettato dalla nuova regola antivesciche di Fernando che ci permetteva anche di dilettarci in artistici scatti fotografici, dubbi e perplessità svaniscono. Così procedevamo tranquilli fino alla Buca di Tasca.
Fu la forte raffica successiva a quella che mi aveva stesa che mi fece affrettare, riporre la macchina fotografica in tasca e spostarmi da lì. Raggiunsi Nicola e Sergio, mentre Fernando stava già arrivando poco dietro. Il vento era forte e mi sferzava la faccia e il corpo con dei taglienti pezzettini di neve trasportata. Abbassai lo sguardo giù per un attimo quasi a proteggermi la faccia mentre salivo e quando lo rialzai vidi uno sbuffo di neve che scendeva piano da sopra un salto di rocce. Pensai al vento che ne trasportava i pezzi, avrebbe smesso, ma la neve che cadeva divenne una cascatella incanalata in un punto, poi una cascata, poi varie cascate dai salti di roccia proprio sopra di noi. Sembrava che la neve cadesse lentamente –ma forse è solo come l’ho vissuta– mentre ormai inondava già parte del pendio superiore, dove saremmo dovuti passare, dove un gruppo era appena passato, dove ora non c’era nessuno. Pensavo che si sarebbe fermata, sembrava così lenta, sì, ora si sarebbe fermata, ma inesorabilmente la neve saltava i settanta metri di roccia di un’ampia parete e continua a cadere. Ce n’era tanta, sempre di più. Ci precedeva una coppia di scialpinisti, a cento metri di distanza i quali, inizialmente attoniti come noi, cominciarono a capire di essere sulla traiettoria della massa che come un fiume in piena ormai si muoveva verso di loro e verso di noi. Cercarono di indietreggiare, ma troppo tardi avevano valutato e vennero travolti sotto i nostri occhi.
Come dalle varie simulazioni fatte, volevo pensare a cosa fare, ma tenni solo gli occhi incollati sui due, si erano avvicinati fra di loro nell’esser trasportati giù ed ora ne vedevo uno solo, il ragazzo, mentre la ragazza era sparita, lì, in quel punto. Lo memorizzai o almeno ci provai.
Noi ci trovavamo ora leggermente più in alto, sul lato sotto le rocce e la neve prese a scendere più centrale, come incanalandosi, trasportando il ragazzo, l’unico che ancora vedevo, verso il basso, ma la velocità pareva diminuire, visto che la Buca di Tasca ha effettivamente poi un piccolo avvallamento a conca sotto e la massa di neve rallentò.
Ero immobile, il cervello a mille, non mi accorgevo che la neve stava arrivando anche a noi? Sembrava così lenta e, come un’onda del mare che lambisce quasi l’asciugamano per poi ritirarsi, a sua completa discrezione, l’enorme massa di neve smise di muoversi; il suo fronte laterale era ad una decina di metri da noi.
Il ragazzo aveva galleggiato, la ragazza non si vedeva, urlai: -La ragazza!
Come se mi rispondesse, sentii urlare, voce di donna, viva, spaventata, forse qualche osso rotto, ma facile, ok, mi diceva la mia mente lenta e veloce al contempo, aveva anche già valutato che noi quattro ne eravamo fuori, che il ragazzo si era alzato, che cercava di tirare fuori l’amica, proprio lì a fianco a lui, cercavo di capire se ci sarebbe stato un possibile contrattacco nevoso dai pendii di fronte, ma forse no, non saprei dire comunque, sembra improbabile, dubbi su dubbi al vedere il pendio invaso ora da blocchi di neve e di ghiaccio frantumati solo in parte dal salto oltre le rocce. Sul pendio avevo chiaramente visto solo un totale di sei persone quando era cominciato tutto, altri erano già saliti su verso destra, proprio sopra di noi dove proseguiva l’itinerario verso il Passo delle Cirelle, quindi non c’era più nessuno, giusto, non doveva esserci nessuno la sotto.
La ragazza urlava, l’amico era in piedi, ma forse lei era semisepolta, bisognava dargli una mano a scavare? Sergio e Nicola scesero per dare una mano con la pala. Io ero sempre immobile, sulla visione ad altissima definizione dell’enorme valanga a lastroni che si era pietosamente arrestata senza lambire i nostri sci, anche se la mente funzionava, in quei momenti non mi mossi, me ne ricordo bene, l’unica cosa che feci fu estrarre il cellulare. Urlai nuovamente, chiedendo se serviva l’elicottero, se c’erano feriti. Non ottenendo risposta e visto che non avevano nemmeno iniziato a scavare, –chi armeggiando penso ancora nello zaino, chi montando le pale e chissà se avevano sentito la mia voce, visto il vento a raffiche di cui lì per lì mi ero anche scordata, malgrado fosse tagliente–, decisi di fare il numero. Non feci il 118 come da regola, avevo il numero di cellulare di un riferimento del soccorso della zona, un cellulare, pensai di chiamare prima lì e subito la risposta.
-Pronto?
-Sono Marina Todisco. Siamo sotto il passo delle Cirelle, lato San Pellegrino, nella Buca di Tasca, è caduta una valanga. Stiamo bene, nessuno è rimasto sepolto, solo una ragazza forse è ferita.
-Riesci ad accertarti di come sta?
-Sì, scendo. Aspetta un attimo…
-Aspetto in linea!
Con gli sci ancora con le pelli, con il cellulare in una mano, con le racchette nell’altra, con l’ennesima raffica di vento che quasi mi tirava giù, scesi fino alla fine del fronte, dove erano stati trascinati il ragazzo e la ragazza. Chiesi come stavano, mi dissero che stavano bene e che, anche secondo loro, non c’era nessun’altro sotto, allora non c’era bisogno dell’elicottero, quasi convenimmo, in dubbio.
-Stiamo tutti bene. Per noi non c’è bisogno di trasporto in elicottero. Eravamo solo noi su questo pendio, altri li ho visti salire, ma non erano su questo pendio.
-Per favore, ricontattami subito se hai aggiornamenti.
La ragazza si è calmata, non strilla più, è quasi libera dalla morsa nella neve, allora gli sci sono della ragazza?
-Quali sci? Quegli sci, lassù in valanga.
-No, non sono i miei, i miei sono qui, vedi?
Allora di chi sono?
-Mettete l’artva in ricezione!
Urlano.
-Tutti! Mettete l’artva in ricezione!
Sergio urla e parte a piedi con il suo artva per la ricerca, anche Fernando parte a piedi. Ridigito lo stesso numero:
-Contrordine, ci sono degli sci. Non sono di nessuno di noi. Stiamo già facendo la ricerca con l’artva.
-Ok. Ti richiamo.
Forse il soccorritore ha aggiunto altro, non ricordo. Sono partita anch’io con l’artva in ricezione dal basso, nessun segnale, frustrante, ho gli sci ai piedi con le pelli, non li ho mai tolti, vado più forte che posso, faccio delle diagonali ascendenti, penso ai venti metri di portata utile, forse sto sbagliando, non ricevo nulla, un berretto nero mezzo sepolto, lo tiro fuori lo guardo, grossa testa, un ragazzo forse il proprietario, lo metto esattamente dove l’ho trovato, del ragazzo nemmeno l’ombra e nemmeno di un primo segnale. Tutto è silenzio, mi muovo in silenzio, cerco di ascoltare, di vedere. Sergio e Fernando a piedi fanno molta fatica, affondano, io progredisco meglio. Chiedo se hanno sentito niente, nulla e non hanno segnale. Mi domando dove siano finiti quei quattro che ho visto salire, possibile che non si siano accorti di nulla? Ecco si riaffacciano dall’alto, scendono, segnale finalmente, ma erano loro, falso allarme.
-Mettete tutti l’artva in ricezione!
Gli urliamo fra il nervoso e il frustrato.
Uno di loro capisce che è utile scendere sul fronte e lo bonifica dall’alto, ma nemmeno lui ha segnale fino in fondo. Io sono ormai a metà e visto che non c’è segnale è inutile che io continui a salire, chiunque sia sotto la neve, non aveva l’artva acceso, funzionante o non l’aveva affatto. Ricevo nel mentre la telefonata del soccorso, forse è già la seconda mentre vago a zig zag sui blocchi di neve in disordine, in ogni caso mi avvisa che l’elicottero è quasi pronto e noi? Noi non riceviamo nulla, nessun segnale su tutta la valanga, ma gli sci e il berretto non sono di nessuno qui. Rimetto il cellulare in tasca, impotente, una persona è sotto la neve lì e non mi capacito di come ci sia finita, forse ha fatto il salto di roccia dall’alto, ma l’avremmo vista cadere, o forse no?
Qualcuno urla di sondare la valanga, prendiamo le sonde. Sì, ma come facciamo in quell’enorme spazio, mi domando, mentre meccanicamente tiro fuori la sonda dallo zaino e cerco di bloccarla, ma è tanto che non la uso e quindi ci devo anche ragionare, cioè tiro il filo, poi incastro il nodo, così, arrotolo, giro, sì ce l’ho fatta.
Scende un altro sciatore, ecco un primo segnale, ma insomma, ma questi apparecchi li vogliamo metter tutti in ricezione? Lo si capisce che ci sono degli sci con tanto di pelli e non si vede il proprietario ma solo il suo berretto nero?
-Gli sci sono di un ragazzo, su al passo, li ha persi, li aveva in spalla. Sta bene, è su; mentre alcuni di noi viste le condizioni non hanno proseguito e sono tornati indietro, un piccolo gruppo ha deciso di continuare, a piedi per ridurre il rischio visto che c’era una cornice da vento, ma è venuto giù tutto e il ragazzo è stato trasportato un po’, ma per fortuna solo i suoi sci sono stati trascinati via oltre il salto di roccia.
Miracolato lui, c’era quasi da mandargli un accidente, richiamo immediatamente spiegando l’accaduto, ma il soccoritore mi domanda:
-Tu l’hai visto il ragazzo?
-No, io sono sotto il salto di roccia e non vedo su. Dicono che è su e che sta bene, è a piedi.
-Come scende?
Non saprei davvero come scende, forse è meglio che proprio non fosse salito così in alto penso un po’ indispettita, stanca ed infreddolita, ma è solo la reazione antistress di una esperienza che si avvia ad una felice conclusione per la salute di tutti.
-Sta arrivando l’elicottero con un’unità cinofila. Per favore, mi indichi tu la valanga, non vorremmo sbagliare valanga. Che colore hai la giacca?
-Verde, ho una maglia verde e i pantaloni marroni, sono sulla valanga, vi faccio il segnale Y, ci sono raffiche forti.
Non ho nemmeno rimesso il telefono in tasca che già ricevo la chiamata del soccorritore:
-L’elicottero è partito, in pochi minuti è lì da voi;
urlo di conseguenza:
-Arriva l’elicottero, mettetevi in sicurezza, gli zaini, le cose che volano, mettete via tutto!
Pochissimo tempo e sento il rumore dell’elicottero, rosso, l’elicottero del soccorso, si staglia nel cielo azzurro delle ore dodici, sono arrivati i soccorsi, li vedo. Forse ora non serve più, sono tutti tranquilli, è più uno show, il mistero degli sci è svelato, stanno tutti bene, ma io sono lì, una statua sulla valanga, impalata a Y con le braccia aperte in aria, un guanto in una mano a guisa di manica del vento, ma chissà se il pilota lo vedeva. Una raffica mi sferza arrivando forte alle mie spalle, ma questa volta sono preparata e non casco giù. L’elicottero arriva dall’alto e per atterrare seleziona proprio l’area più pianeggiante alla base del fronte. Scende la squadra, tutti vestiti di rosso, fra loro anche il cane, si allontanano dall’elicottero ed un ragazzo si avvicina, li aggiorna vedo. Io sono molto più su, ancora sulla valanga, in ‘maglietta’ con il guanto in mano.
Il soccorso è arrivato, lo stanno già mettendo al corrente, giù ci sono anche Fernando, Nicola e Sergio, la coppia travolta, altri scialpinisti, la situazione è sotto controllo, lo era già, ma ora lo è per la mia mente che ha finito anche l’ultimo compito di indicazione per l’elicottero. Ho freddo, sono stanca, cerco la giacca nello zaino, ho la sonda piantata lì, la recupero, la smonto, cerco di reinserire l’artva nella custodia, è in ricezione, non ci stà perchè nel Barrivox la linguetta che sporge quando è in ricezione non consente di riporlo nell’alloggiamento di plastica dura da usare durante l’attività, lo rimetto in trasmissione, tolgo le pelli, me le metto sotto la giacca davanti, le tengo sempre al caldo, lo faccio meccanicamente, ripongo, sistemo tutta l’attrezzatura per la discesa e scendo, la mia mente ancora altrove.
Sarebbe bello poter mettere la colonna sonora a questo momento, come in un film americano in cui tutto è risolto per il meglio e l’eroe, provato ed un po’ acciaccato, generalmente con un po’ di sangue sulla faccia e gli abiti lacerati strategicamente, ma non troppo, cammina verso i suoi compagni di disavventure, si abbracciano e poi tutti insieme, con una ripresa a grandangolo camminano nel sole verso un futuro migliore: evviva!
Io mi limito a fare delle foto mentre scendo, ma mi sposto rapidamente perchè il soccorritore con il cane che annusa ovunque, è già partito verso l’alto per bonificare la valanga, per sicurezza, per fare una passeggiata sulle ciaspole dicono ridendo alcuni, in un’atmosfera ormai sdrammatizzata. L’elicottero ora lo vedo bene, saluto chi è lì, ringrazio non so chi, ma forse tutti come sono solita fare e mi dirigo verso la selletta da cui ero arrivata almeno un’ora prima. Vedo che gli altri sono già scesi, eccoli arroccati in attesa in un punto meno ventoso, mentre c’è gente che ancora sale, con gli sci e due ciaspolatori improbabili su quel pendio parecchio ripido dove non si sprofonda affatto, il gossip della valanga dal rifugio Fuciade sale, cosa avete visto? Ormai c’è poco da vedere, è arrivato già anche il ragazzo a piedi a recuperare i suoi sci ed è meglio tornare indietro, perchè dove è caduta una valanga, dice la storica regola, in giornata puoi aspettartene un’altra.
A quel punto, quando gli eroi abbandonano il set, andranno al bar a bere una birra, mentre io a casa vengo attanagliata dai sensi di colpa e mentre scorro le foto mi domando se ho fatto tutto bene, ma soprattutto avrò fatto tutto il necessario?
Rivedo i fatti: potevo partire subito con l’artva in ricezione, ma non c’eravamo che noi su quel pendio, o forse no? Potevo aiutare a scavare, ma erano già in tre mi dico. Potevo arrivare fino in cima al fronte con l’artva in ricezione, ma aveva già verificato l’assenza di segnale l’altro ragazzo, l’avevo visto scendere con gli sci a zig zag con l’artva in mano fino a raggiungermi ed arrivare al fondo, era più veloce di me, avrei potuto fare anch’io più rapidamente, ma lui era in discesa, senza pelli, è ovvio che andasse più forte di uno in salita. Avrei dovuto sondare la valanga, ma se si è detto che non era più necessario perchè gli sci erano di uno su che li aveva persi, non si è visto cadere nessuno, eravamo tutti sani e salvi. Forse, allora, all’inizio di tutto, quando ero immobile a guardar cadere la neve dal salto di roccia, a vedere due sciatori inghiottiti, vederne sparire una sotto la massa bianca che avanzava inesorabile, forse, avrei dovuto scappare, spostarmi, ma così non avrei più visto dove erano gli altri travolti e, poi, nessuno di noi si è mosso, perchè sembrava innoquo. Si poteva, dunque, evitare di disturbare il soccorso alpino?
Penso di aver fatto bene a chiamare, premesso il fatto che noi avevamo una visuale ridotta del pendio, sotto il salto di roccia e non potevamo immaginare, ne vedere che la valanga era stata provocata da un gruppo di scialpinisti ‘appiedati per rischiare meno’ ma che potevano esser rimasti coinvolti a nostra insaputa, il soccorso è abituato a gestire queste situazioni, mentre per me era la prima volta, quantomeno per davvero e non in simulazione. Ho riportato sopra solo alcune delle domande che mi sono state poste, ma vi assicuro che ogni domanda era mirata a capire cosa era successo e cosa stava succedendo. Il gentilissimo Vigilio, capostazione del soccorso alpino di Moena, mi ha ritelefonato più volte per chiedere e darmi aggiornamenti, tenendo costantemente sotto controllo la situazione.
I consigli che mi sento di dare dopo quest’esperienza, in aggiunta ai soliti di prevenzione e autosoccorso che conosciamo (e che è difficile riuscire ad applicare lucidamente), è di montare e smontare spesso la propria attrezzatura, di non tenere pala e sonda in un punto remoto inaccessibile dello zaino, perchè è meglio che, quando arriva l’elicottero, il suo contenuto non sia sparso sulla neve perchè abbiamo estratto la pala; di provare a scavare, non è semplice ed immediato come sembra, di approntare un cordino fisso sulla pala per mettersela a tracolla, perchè Sergio che non l’aveva, trovava più difficoltà a camminare sulla valanga con la pala in mano; di tenere il cellulare a portata di mano, in una tasca dei pantaloni magari lontano dall’artva, perchè averlo lì mi ha aiutato molto a chiamare e rispondere tempestivamente e a sentire la vibrazione, visto che, lo squillo, era impossibile sentirlo con il vento. Consigliano che, chi chiama il soccorso con il cellulare, non sia impegnato nella ricerca artva per evitare interferenze fra i due apparecchi. Infine, in questa occasione, malgrado tutto quello che è scritto sui manuali, ho notato che ognuno ha agito in armonia con gli altri senza che ci fosse una mente superiore o capogita a dare gli ordini, ma ricevendo gli aggiornamenti via via, chi aveva l’idea migliore la gridava oppure la eseguiva informando gli altri. Le situazioni sono ogni volta diverse ed io non ci tengo a sperimentarne molte dal vero per diventare esperta, ma sicuramente continuerò a simulare questi eventi e ad esercitarmi nelle azioni per scongiurare errori che potrebbero risultare fatali.
Attendo sicuramente le vostre impressioni del ‘senno di poi’, i consigli degli esperti, di come avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto, di come avreste fatto voi, del perchè abbiamo fatto in un modo piuttosto che in un altro, le vostre dissertazioni su analisi tecniche e nivometeo a posteriori, i gossip sulle conseguenze per i ‘cattivi’ provocatori di valanga e tutto quello che vorreste dire e che non avete mai detto. Scriveteci a newsletter@caifirenze.it oppure direttamente in redazione a alpinismofiorentino@gmail.com .
Con Nicola e suo figlio abbiamo raggiunto il Passo delle Cirelle e le Cime Cadine il sabato successivo.
Sergio che mi aveva implorata per tutta la settimana precedente di fare una prova artva con sondaggio e disseppellimento dello zaino sepolto, è stato evidentemente accontentato. Ringrazio Fernando e la sua andatura da vescica sanguinante, perchè, se fossimo andati più veloci, la valanga ci avrebbe preso in pieno sotto il salto di roccia, o, chissà, forse l’avremmo provocata proprio noi…
Nel post successivo "Quello che mi ricordo" di Sergio Chiappi
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