Premetto che col S. Matteo avevo un conto aperto da diversi anni; ogni fine stagione mi ripromettevo d'affrontarlo e o per un motivo o per un altro la cosa veniva rimandata all'anno successivo. Il mio "chiodo" era la cresta sud con bivacco alla baracca btg. Ortles che avevo già intrapreso con la famiglia al completo diversi anni fa' e interrotto all'altezza del Villacorna.
Questo weekend m'ero ripromesso di riprendere in mano l'argomento ma il meteo dava sabato temporalato e l'idea di trovarmi al bivacco in condizioni di sovraffollamento non mi andava di certo, pertanto fidandomi delle previsioni ho spostato il tutto di 24h. Purtroppo Luisa non ne vuol sapere di ghiaccio e pertanto devo organizzare l'escursione in solitario cosa che ho fatto brillantemente ma che non rifarei. Il fatto d'essere attrezzati per un escursione in solitaria perdipiù con bivacco obbliga a portarsi un sacco di cianfusalie che alla fine rendono lo zaino pesante come un sacco di cemento. Ho dentro 50m. di corda da 9 mm., ramponi, quattro chiodi da ghiaccio, quattro rinvii con relativi moschettoni, un 8, un paio di moschettoni con ghiera, imbragatura completa, un paio di cordini, una fettuccia, picozza, bastoncini, 1,5 l. d'acqua, 3 etti di the solubile, 1 etto di prosciutto crudo, 2 etti di formaggio, 4 etti di cioccolato, 2 etti di melange di frutta secca, 3 nettarine, binocolo, macchina fotografica, giacca a vento, pile windstop, GPS, cartine, bussola, pile di ricambio ed altre minuterie; non l'ho pesato ma ritengo sia tra i 12 ed i 15 kg.
Parto dal rif. Berni alle 19,30 incrocio sullo scollinamento del crinale un pastore e mi trattengo una bella mezzoretta a parlare di binocoli, io gli faccio provare il mio lui il suo. Ha una cinquantina di pecore che stà cercando di far guadare il torrente ma dovrà attendere il mattino successivo perchè troppo ingrossato. Arrivo giusto prima dell'imbrunire a beccare il bivio tra via normale al S. Matteo e "Baracca Ortles" salgo ancora qualche centinaio di metri di quota prima di ricorrere alla frontale fidandomi dell'escursione fatta una quindicina d'anni prima. Al buio è tutta un'altra cosa... gli ometti ed i segni giocano brutti scherzi, più di una volta in mezzo alla sassaia prendo direzioni sbagliate ma per fortuna m'accorgo sempre in tempo anche se ne spreco in abbondanza. Ad un tratto la lampada riflette due occhietti vispi che mi osservano una ventina di metri più avanti; è sicuramente una volpe che si muove veloce e silenziosa purtoppo non riesco a vederla nella sua interezza ma la distanza tra le pupille mi fa' escludere animali di taglia diversa.
Alla fine arrivo al bivacco che sono le 22; sono abbastanza stanco e solo alora mi accorgo d'aver dissipato notevoli risorse. Avevo freddo, cosa che non mi era mai accaduta, mangio un po' di formaggio e prosciutto e mezza tavoletta di cioccolato. M'infilo sotto due coperte ed ancora tremo dal freddo, ho le mani gelate che per scaldarle le tengo sotto le ascelle, alla fine riesco a riprendere un po' di calore e passo la notte con continue fasi di sonno e sveglia. La mattina il termometro dell'orologio segna 3°C, il tempo è splendido, mangio qualcosa e parto. L'inizio è piacevole, il sentiero ben evidente ed agevole; questo fino al pizzo Vallumbrina con interessanti resti delle opere militari italiane della 1^WW. Da li in avanti il "sentiero" si snoda lungo la cresta fino alla base di C.ma Villacorna e relative anticime e gendarmi. Diventa intuitivo si segue una linea di salita in mezzo a sfasciumi più o meno friabili e scivolosi. Essere in due si andrebbe "di conserva", lo spigolo diventa a volte affilato e le pareti a destra ed a sinistra sono abbastanza ripide; il percorso a mio avviso presenta una difficoltà continua di 2° con almeno una paio di passaggi di 3°. Oltretutto la necessità, per mancanza di possibili alternative, obbliga a mantenere sempre il culmine della cresta con continue perdite di quota. Il panorama è comunque stupendo, un quadro a 360°, tutto l'Adamello compresi Carè Alto e Presanella, ditro il Brenta, ad SO il Bernina e NO le sagome massicce dell'Ortles e Gran Zebrù; davanti sto crestone che stà cominciando a stufarmi. Ritengo a prescindere dal quel che avverrà più avanti di non ripercorrerlo all'inverso. Dai e ridai arrivo al M.Mantello; anche qui uno sfaciume immane condito di tutti i residuati reticolati (alcuni manco ruggine), impressionante il quantitativo di coperte e teli da tenda che affiorano tra i massi. Non è finita perdo altri 100 m. di quota per ragiungere la sella con il S. Matteo. Sono le 13 mangio qualcosa, ho quasi esaurito l'acqua che reintegro con un po' di neve fresca e faccio una granita di Thé alla pesca. Indosso i ramponi e proseguo fino ad intercettare la via normale (la salita lungo il costone sud del S. Matteo la reputo decisamente impegnativa e masochista) non ho ancora deciso se scendere al Gavia o proseguire, sono abbastanza deluso dal tempo perso lungo la via, mi mancano circa 300 m. di dislivello. Passo dopo passo mi rinfranco e prendo a salire; divento più ottimista vedendo che orologio ed altimetro vanno d'accordo con la tabella dei tempi. Il crepaccio sommitale passando a sinistra è completamente chiuso e si sale quindi fino al canalino tra le roccette. La pendenza è considerevole ma la neve ghiacciata tiene bene, io mi tengo tutto a sinistra dove posso godere dell'appoggio "morale" della roccia, intanto convengo che per la discesa sarà meglio mettere mano alla corda. Infatti in cima al canalino c'è un bel chiodo "datato" con occhiello ed ancora meglio sulla destra c'è uno spit con tanto di cordino che uso alla bisogna per uscirne fuori e superare le roccette finali. Ora lo sguardo spazia sul sottostante ghiacciaio dei Forni e relativo rifugio; sulla neve ghiacciata noto abbastanza incredulo quelle che sembrano tracce di sci; mi mancano meno di cento metri per arrivare alla cima. All'inizio la traccia è abbastanza evidente ma all'atto finale sparisce sulla parete ghiacciata a 45° che affronto non senza qualche perplessità e timore; sulla parete affiora il ghiaccio nero che spesso si stacca "a bolla" sotto i colpi della picozza. Per proseguire con una certa sicurezza dovrei averne due in modo d'aver sempre tre punti fissi anzichè due. Lo sforzo per mantenere alta la concentrazione è superiore a quello fisico comunque elevato per piantare profondamente le punte nel ghiaccio, a volte sono costretto a scalinare con la picozza per creare uno spiazzo per il piede intero e non essere sempre sulle punte dei ramponi. Mi mancano ancora una ventina di metri per uscire dalla poco piacevole situazione; una scivolata verso sud finirebbe tra i massi staccati da sopra, verso nord i crepacciati pendii dei Forni sembrano tante bocche spalancate che aspettano il boccone. Poco più a sinistra un crepaccetto sale a zig zag; mi sposto fino a cacciarci un rampone sullo spigolo; è fatta da li fino alla cima diventa una cosa molto più facile ed in breve sono in vetta. Rapido ragionamento: e adesso come ritorno indietro? Vabbè 50 m. di corda mi consentirebbero di farlo a patto di ripetere il tratto tre volte per riprendere l'attrezzatura. Mi si chiude lo stomaco al pensiero. Davanti verso il Giumella un invitante pianoro innevato mi da il suggerimento; daltronde era un'altro mio chiodo fisso fare l'attraversata Gavia Pejo. Sulla cima il telefono finalmente prende il segnale; telefono a casa per avvisare della variazione di programma nonchè per chiedere l'appoggio logistico per riprendele l'auto lasciata al Gavia. Comincio la lunga discesa; all'altezza del Giumella incrocio due alpinisti che stanno facendo le trecici cime ma che scenderanno al Forni quindi proseguo per l'itinerario programmato. Al Meneghello tolgo i ramponi metre passano altri tre alpinisti sule tracce dei primi due. La discesa dal Meneghello alla vedretta degli Orsi è da panico; inizialmente due o tre ometti sembrano smentire la difficoltà del pezzo ma in breve mi trovo a "sciare" in mezzo a sabbia, ghiaia, sassi di diverse dimensioni che gareggiano a chi arriva prima i fondo. Consiglio a chi lo affronta di tenersi più a sinistra possibile e non scendere direttamente sotto al bivacco. Anche questa è andata; sono di nuovo sul ghiaccio e non occorrono i ramponi, è praticamente un gran plateau che prosegue tra infiniti rivoli d'aqua ed anche quando non è più in superficie lo si ritrova sotto uno strato di sassi e rocce ben oltre il suo limite naturale. Dal S.Matteo al Celentino sono oltre 2000 m. dislivello, evito la descrizione di una discesa ormai monotona tratti di sfaciumi intervallati da sassaie e piacevoli pascoli, gli scarponi da ghiacciaio diventano dei forni ed i piedi "bollono" al loro interno arrivo al Fontanino che sono le 20,30; Luisa è "sull'incazzato" dobbiamo ancora mangiare e riprendere l'auto al Gavia che poi sarà l'unica cosa che riusciamo a fare .... arriviamo a casa alle 2 di questa mattina Luisa mi promette di rompermi le gambe se andrò ancora da solo in montagna! Mi ama tanto
P.S. appena mi riordino metterò un po' di foto; nessuno sa' come funziona l'autoscatto della Canon SX120?