GIM - Girovagando in Montagna in Trentino

ARGOMENTI MONTANARI => Racconti di montagna => Topic aperto da: piesospinto - 17/11/2017 15:15

Titolo: Il racconto di una valanga
Inserito da: piesospinto - 17/11/2017 15:15
Riporto qui la nostra esperienza con la Valanga, dai due punti di vista di chi sta sopra e chi sta sotto.

Ci ho messo un po' a metterla su carta. Ho cercato di essere il più preciso possibile nel racconto, ho cercato di non tralasciare nessun dettaglio. Non posso ovviamente garantire che tutti i pensieri che mi sono passati per la testa siano nell'ordine giusto.
Per quanto riguarda i tempi ho utilizzato gli orari delle chiamate sul cellulare e la traccia GPS (invero piuttosto confusa), ma naturalmente gli eventi intermedi (e soprattutto le sensazioni di chi stava sotto) sono posizionati in modo ragionevole ma non necessariamente preciso.

E' lo stesso che ho pubblicato su OverTheTop, in genere non scrivo la stessa cosa su due siti, ma forse in questo modo può servire come riflessione a più persone.

Scusate, è venuto un po' lungo.

Antefatto

La giornata, come da previsioni o addirittura prima del previsto, sta migliorando. Gli squarci di sereno sono sempre di più, il vento non è eccessivo. Stiamo salendo gli ultimi metri della nostra gita. Siamo sempre solo noi due, Nadia e Mauro, nessun altro in zona. Ho appena finito di fare alcune zete e sono arrivato su un poggio, dove abbiamo deciso che avremmo mangiato il panino prima di scendere.

         Sono sulla diagonale, riparto dopo aver fatto una foto a Mauro che sta finendo le zete. Sparisce dietro al risalto del poggio e poi lo rivedo sbucare.         

Mi affaccio al pendio (non pensate ad uno scalino, le pendenze sono comunque abbastanza dolci): Nadia sta salendo lungo la diagonale che arriva alle zete, non è troppo distante dalla prima inversione. Le faccio un urlo: “Vado a vedere poco più in là, c'è un bel sassone per il pranzo” - “Ok, mi risponde”. Mi giro e mi inoltro sul pianoro verso il sasso.

12:48 Zero minuti

         Non sono ancora arrivata alla prima zeta, sento come un botto, penso: “Che strano, un tuono proprio adesso che il cielo è ormai quasi sereno”. Non ho tempo di fare o pensare altro. Tutto si muove, sono già con la testa verso valle, la cosa è fulminea. Non ho l'impressione di essere stata urtata, travolta, spinta. Sono dentro e basta.
Sono sotto.
Spero solo che Mauro si sia voltato subito e stia vedendo dove sto andando.
         

Ho fatto non più di 20 metri dal bordo del poggio. Non so cosa mi fa voltare di scatto, non so se un rumore, non so se una sensazione a pelle. Non lo so. So solo che quando mi volto vedo una enorme cascata bianca oltre il poggio e su tutto il catino. Non romba, scroscia. Non fa polvere, sembra l'acqua bianca di una cascata. Una cascata con più di 200 metri di fronte.

         Capisco che tutto si sta muovendo, o meglio che io mi sto muovendo con il tutto, ma non so in che direzione. Cerco di muovere le braccia (penso di aver mollato subito i bastoncini), le gambe no, quelle sono già belle fisse con gli sci attaccati.         

“ca**o”, dico. Lo dico veramente, a voce non troppo alta, non lo penso solamente.
Non c'è alcun dubbio, Nadia è stata presa. Mi precipito verso il bordo del poggio. Quando guardo giù, ho un attimo di sconforto. Tutto il pendio scorre, tutta la conca sotto il pendio (cento metri sotto di me) è piena di neve che si muove, e la valanga ha superato il limite della conca e si è tuffata nel canalone sottostante. Probabilmente lo sta percorrendo tutto.
Di Nadia, manco a dirlo, nessuna traccia.

         Ho una mano non troppo lontana dalla faccia, credo; cerco di grattare la neve per fare un buco, ma per poco. Anche la mano è ormai cementata. Tutto si ferma.         

12:49 Un minuto.

Tutto si è fermato, tutto è bianco, tutto è silenzioso.
Guardo verso le creste: il distacco è arrivato a pochi metri dalla cresta, non c'è sicuramente pericolo che scenda qualcos'altro.
E adesso che faccio? Istintivamente mi tolgo lo zaino, tiro fuori il cellulare, che è già acceso, dato che da un po' di tempo sto facendo prove di tracking col GPS, e controllo se ho campo. Sì, ne ho. Non sono invece sicuro che ne avrò una volta sceso più in basso. Chiamo il 118.
Dopo il secondo squillo, un risponditore automatico mi dice che gli operatori sono occupati, e che il primo libero mi risponderà a breve. Un attimo di buio. Ti do 20 secondi – penso - poi attacco. Nel frattempo estraggo l'ARVA e lo metto in ricerca. Ovviamente non aggancia il segnale, sono a più di 100 metri da dove si trovava Nadia.

         Non penso di urlare e chiedere aiuto. Mi viene subito in mente l'intervista fatta in questi giorni all'altoatesino che è sopravvissuto alla valanga che ha ucciso alcune persone in val d'Aosta. Diceva che era rimasto calmo, respirando il più tranquillamente possibile. Ecco, farò così, respirerò con calma. Tanto altro non posso fare.         

Pochi secondi e un'operatrice risponde.
Le vomito addosso in un fiato tutto quello che posso, c'è stata una valanga, c'è un sepolto, sono solo, inizio le operazioni di ricerca. Probabilmente tutte queste cose le urlo.

12:50 Due minuti..

Efficientissima. Calma. Non saprei che altro dire della donna all'altro capo del filo. Mi chiede subito se io sono in sicurezza, se ho l'ARVA e se la persona sepolta lo ha, mi chiede conferma della zona, del versante, della quota. Mi chiede delle condizioni meteo. Mi dice di lasciar libero il telefono.
La chiamata dura in tutto un minuto e mezzo.

12:51 Tre minuti...

Rimetto via il cellulare nel cappuccio dello zaino. Che inutile perdita di tempo, perchè l'ho fatto?
Mi dico: “Fai conto che sia un'esercitazione, vediamo quanto veloce sei”. Guardo l'ora sull'orologio, voglio sapere sempre quanto tempo è passato, ma quell'ora non me la ricorderò mai più. E neppure guarderò più l'orologio. Da questo momento entro in una specie di tunnel.

         Un'altra immagine: la risalita in emergenza dalle torbide acque del Garda, dopo un attacco di panico. Era il 1985, ero ancora alle prime armi, eravamo ad una ventina di metri di profondità, non si vedeva quasi niente quando improvvisamente sentii che non respiravo e decisi che volevo tornare all'aria. (N.d.r. Erano altri tempi, per chi ha qualche cognizione di immersioni subacquee ricordo che allora il secondo erogatore non esisteva, in pochi avevano il giubbotto ad assetto variabile, io ancora no.) Quella volta, mi aggrappai a Mauro e iniziai a pinneggiare verso l'alto. Salimmo di gran carriera, in un turbinio di bolle. Ecco, mi vedo in quel turbinio di bolle. Dopo una breve pausa in superficie, ritornammo giù: dovevamo scacciare subito i fantasmi.         

Inizio a scendere. Il pendio dove avevo fatto le zete lo posso scendere al volo, Nadia è sicuramente molto più sotto. Ho le pelli, gli scarponi molli, il tallone libero, l'ARVA ancora silenzioso in mano e i bastoncini nell'altra. Il primo tratto è abbastanza ripido, la neve scivolata a valle ha lasciato libero il fondo gelato. Stai attento, mi dico, non puoi permetterti di cadere.

12:52 Quattro minuti....

Non so come ho fatto a scendere senza ribaltarmi. Diagonali, inversioni, il tutto con le pelli, a tallone libero su neve gelata, senza usare i bastoncini e stando attento a non lasciarmi sfuggire qualche possibile traccia. Sono calmo, ma evidentemente anche pieno di adrenalina.
Sta di fatto che sto entrando nella zona dove si trovava Nadia. Inizio ad allargare le diagonali, anche se sono sicuramente ancora troppo in alto. So la quota a cui si trovava Nadia, anche se adesso, senza più il riferimento della traccia totalmente scomparsa nella valanga, tutto è diverso.

12:53 Cinque minuti.....

         Si alternano lampi di luce, momenti di buio. Probabilmente sono stata in stato di semiincoscienza per gran parte del tempo. Sicuramente è stato meglio così.         

Squilla il telefono. Devo fermarmi, togliermi lo zaino, tirar fuori il cellulare e rispondere. Sinceramente non ricordo molto di questa seconda chiamata. L'operatrice mi chiede conferma del fatto che sia in sicurezza, e vuole sapere del meteo, me lo chiede un paio di volte: “Ma il tempo com'è?” - “Sereno. Ci sono delle nuvole sulle creste intorno, ma qui c'è il sole”.

12:54 Sei minuti......

Ho l'impressione che l'operatrice voglia mettermi in contatto con i soccorritori, la chiamata è aperta, sento altre voci maschili. Un paio di minuti e sono di nuovo solo col mio ARVA, ancora muto. Anzi, non proprio muto, emette un brusio, una specie di rumore bianco molto tenue. Il display mostra sempre il simbolino del fulminetto, segno che non sta sentendo nulla.
Riprendo a scendere a zig zag. Questa volta però il telefono lo metto in tasca.
 
12:55 Sette minuti.......

BIP! BIP! Aggancio il segnale. Freccetta e numeri, non ricordo quanti metri.
Sono quasi stordito dal suono: aspetto un attimo che la freccia si stabilizzi, come mi aspettavo punta ancora verso valle. Il pendio ormai si è addolcito, non ho problemi a scivolare con le pelli, la superficie della valanga è uniforme. Parto come un missile seguendo la freccia, in diagonale.
Mi fa curvare verso valle, la mia velocità aumenta, i metri calano, poi, d'un tratto, l'ARTVA impazzisce, dà numeri e direzioni a caso.
Cretino che sono, sto andando troppo veloce, devo dargli tempo. Mi fermo, aspetto, la freccia e la distanza si stabilizzano. Mi riavvio nella direzione opposta, mi rendo conto che devo tornare indietro. Sono praticamente in piano, per fortuna.

12:56 Otto minuti........

Ma che strano, l'ARVA emette un allarme. Cavolo, penso del tutto irrazionalmente, non è che adesso me la perde? Mi sta dicendo che ho sbagliato qualcosa? Boh, andiamo avanti.

Ci sono vicino, meno di tre metri, non c'è più l'indicazione della direzione ma quella delle due frecce alto-basso, devo iniziare la ricerca fine. Che faccio, tolgo gli sci oppure no? No, non li tolgo, sono comodo così. Inizio ad avanzare.

12:57 Nove minuti.........

Spento. L'ARVA si è spento. O, meglio, non cerca più. Si è riacceso il led lampeggiante rosso. Un attimo di smarrimento, poi mi do del cretino per l'ennesima volta. Ecco cos'era l'allarme di prima! Il passaggio automatico alla modalità di trasmissione dopo 8 minuti! Triplo click e, dopo un attimo di indecisione, mi conferma che sono in zona di ricerca fine. Ho perso di nuovo secondi preziosi.
Proseguo, sto attento a mantenere l'allineamento dell'ARVA, ma mi dimentico completamente di tenerlo il più vicino possibile al suolo. Avanti... stop... indietro... stop... destra... stop... ... ...

1,3 metri. Questo è il minimo che riesco a fare con l'ARVA. E' ragionevole? E' ancora troppo?
Mi verrebbe la tentazione di continuare a fare il pendolo per ridurre il maledetto numero. Penso che se veramente Nadia si trova a 1,3 metri sotto la neve non ce la farò mai ad arrivare in tempo. Rimuovo subito il pensiero: “Ricordati, è un'esercitazione, un minimo è un minimo, non lo si può abbassare ancora. Il difficile è passato”.
E invece da qui in avanti, servirà molto più raziocinio, le prove che ho fatto si sono sempre fermate al termine della ricerca fine. La sonda? Solo qualche volta per vedere quanta neve c'è o per avere un'idea sommaria della consistenza degli strati di neve, in genere in cima, in una bella giornata di sole, tanto per far qualcosa di diverso. La pala? Quella sì, l'ho usata spesso, per scavare delle belle e comode panche nella neve o per costruire rudimentali ripari dal vento.

12:58 Dieci minuti..........

Di appoggiare l'ARVA al suolo non se ne parla, è ancora legato con l'elastico al suo fodero, forse passa anche dietro alla bretella dei pantaloni, e l'ho estratto dal collo del pile.
Metto un bastoncino sul punto di minimo, tolgo gli sci, li lancio lontani, tolgo lo zaino, tiro fuori l'astuccio della sonda, ne apro la piccola cerniera (mannaggia sarebbe meno estetico ma più pratico lasciarla nello zaino senza fodera, vero?), estraggo la sonda, la monto, non so come, al primo colpo. Il cavetto si tende e la vite di arresto fa subito il suo lavoro.

12:59 Undici minuti...........

E adesso? E se pestando in giro comprimo la neve sulla sua faccia e la soffoco? O le monto sulla gabbia toracica? Beh, non posso mica volare.
La prima sondata arriva oltre i tre metri. Porca miseria, quanto è fonda, non ce la farò mai. Ma no, sono uno scemo, a cosa serve andare fino a tre metri se l'ARVA ne ha indicati 1,3? Nadia sarà al massimo a 1,3. Le successive sondate le fermo a due metri.
Non sondo a spirale, non mi viene in mente. Ho in mente l'immagine tipica del gruppo di persone che in parallelo procede con la ricerca.
Faccio una prima riga, 6 o 7 buchi, più o meno fino ad un metro a destra e uno a sinistra rispetto al minimo. Niente. Pianto i due bastoncini come riferimento agli estremi della prima riga, non vorrei risondare dove ho già cercato.

         Un altro attimo di coscienza, un altro ricordo, un altra immagine. Vedo mia mamma. Non un episodio in particolare. Solo l'immagine. O forse non la vedo, la percepisco e basta.         

13:00 Dodici minuti............

Mi sposto in avanti, inizio la seconda riga. La sonda si ferma subito su qualcosa di morbido sul secondo segmento, 50-60 cm, non di più. L'ho presa!
Dovrei risondare per capire la direzione? Non lo so, ma non lo faccio. Al diavolo, 50 cm si scavano in un attimo, mi dico. Il terreno è piano, io ricordo solo che si dovrebbe scavare a valle della sonda...

Torno vado allo zaino, tiro fuori la pala. Anzi, tiro fuori la sacca di tela in cui tengo la pala. Il nodo che ferma il cordino che la tiene chiusa non si apre immediatamente, ovviamente. Anche qui, porca miseria, cosa costerebbe tenere la pala direttamente nello zaino?

13:01 Tredici minuti.............

Ho una pala con il manico incernierato con tre segmenti e due snodi. Per aprirla bisogna estendere il manico con cura, altrimenti uno snodo si può incastrare nel fermo. Una volta esteso, si deve avvitare il fermo: un paio di giri. Il tutto sempre con i guanti addosso: l'ultima cosa che voglio è ritrovarmi la pala calda e incrostata di neve. Avrei comunque preferito una cosa più veloce.

Inizio finalmente a scavare. La neve è morbida e consistente, si scava facile. Quattro, cinque, sei,  dieci palate abbondanti e vedo apparire qualcosa di blu e grigio. E' lo zaino. Non capisco da che parte è girato, ma sicuramente quella che vedo non è la parte posteriore. Questa è proprio una bella notizia.

13:02 Quattordici minuti..............

Sposto lo scavo lateralmente verso sinistra, procedo con più attenzione. Sono fortunato, molto fortunato. Rosso! E' una spalla! A questo punto so in che direzione andare. Mollo la pala e parto con le mani.

Capelli, orecchio, stanghetta degli occhiali, naso, arrivo alla bocca.

13:03 Quindici minuti...............

Scavo un piccolo incavo davanti alla bocca. “Eeeeeeeeeeeeeeeeh ... eeeeeeeeeeeeeeh ... eeeeeeeeeeeh” Una specie di rantolo – belato.
“Mi senti? Nadia, mi senti?”
“Eeeeeeeeeeeeeeeeh ... eeeeeeeeeeeeeeh ...”
“Urla, urla quanto vuoi, sono qui, brava”

Libero meglio la faccia in modo che altra neve non le cada sulla bocca. Sembra respirare bene, continua a belare. Lo spazio tra la faccia e gli occhiali è pieno di neve, le libero gli occhi.
“Respira, respira, brava...”

         “...... Respira, ...... respira .... respira  “: sono queste le prime parole che sento. Respiro, respiro.         

13:04 Sedici minuti................

Riprendo la pala e scavo nella zona del torace, in modo che riesca a respirare. Inizio a vedere come è messa: il braccio destro è piegato, la mano è all'altezza della faccia, ma a una vetina di centimetri dalla bocca.
La testa è rivolta a valle, il corpo sembra disposto orizzontalmente, appena piegato in avanti.
Scavo e chiamo, chiamo e scavo, un po' con la pala e un po' con le mani.

13:05 Diciassette minuti.................

“Mi senti? Riesci a sentirmi?”
Smette di rantolare e mi risponde. Parla subito in modo estremamente normale e calmo
“Sì, ti sento”
Respiri bene? Come sono messe le gambe? Le senti? Hai male da qualche parte? Qualcosa che tira?
“Non ho male, ok, va bene”
“Dove hai l'altro braccio?”
“E' in alto, sotto. Forse”

13:06 Diciotto minuti..................

Devo per forza allargare la buca per proseguire, ma adesso è facile, vado di buona lena. Ogni tanto la avviso che le potrebbe cadere un po' di neve sulla faccia, ha una mano libera può coprirsi.

13:07 Diciannove minuti...................
13:08 Venti minuti....................

Tiro fuori il cellulare, vorrei avvisare il 118 che ho ritrovato il travolto, ma lì nella conca non ho campo. Non prendo in considerazione l'ipotesi di lasciare Nadia per andare a cercare il segnale.

13:09 Ventun minuti.....................
13:10 Ventidue minuti......................

Scavo, scavo e ancora scavo, un po' con le mani un po' con la pala. Adesso un po' di mal di schiena inizia a farsi sentire, ma mi posso anche fermare un attimo a prendere fiato. Raggiungo il primo scarpone e sgancio l'attacco, tiro fuori lo sci. La prima gamba si libera subito, per la seconda dovrò allargare di un bel po' la buca.

13:12 Ventitre minuti.......................
13:13 Ventiquattro minuti........................

Anche con entrambe le gambe libere, Nadia è ancora bloccata da un unico braccio sotto la neve. Devo scavare ancora.
Alla fine esce anche il braccio. E' libera.
Piano piano aiuto Nadia a togliersi lo zaino e a mettersi seduta nella buca.
E' zuppa, sembra stia abbastanza bene, ma comunque non la voglio muovere troppo.
Ha freddo, per fortuna però aveva indosso almeno il pile leggero, i guanti e la calzamaglia sotto i pantaloni. Abbiamo anche il ricambio di vestiario e il telo termico di alluminio, ma non è il momento di cambiarsi, ancora.

13:14 Venticinque minuti.........................

In lontananza sentiamo il rumore dell'elicottero, sta risalendo da sotto lungo il canalone sotto di noi. Lo vedo arrivare, mi alzo, faccio il segno Y con le braccia. Si avvicina, inizia il turbine di neve. Mi accuccio dietro a Nadia e la proteggo con la giacca a vento per ripararla dal vento, e aspettiamo che avvenga l'atterraggio...

Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: AGH - 17/11/2017 15:57
Bellissimo racconto, emozionante, molto istruttivo e che fa riflettere... E il seguito?

Inviato dal mio LG-H815 utilizzando Tapatalk

Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: piesospinto - 17/11/2017 16:40
E il seguito?
Beh, il seguito non fa parte della storia della valanga, qui teoricamente c'era il lieto fine. Invece la storia è proseguita in modo da oscurare completamente questa parte, è stata già raccontata e tutti ne hanno letto: "Campiglio, precipita un elicottero del 118"...
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: pianmasan - 17/11/2017 17:46
Un racconto emozionante con un finale lieto, per fortuna! Da elogiare il tuo comportamento, specialmente considerando che "sotto" c'era la tua altra metà del cielo.
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: AGH - 17/11/2017 18:58
Beh, il seguito non fa parte della storia della valanga, qui teoricamente c'era il lieto fine. Invece la storia è proseguita in modo da oscurare completamente questa parte, è stata già raccontata e tutti ne hanno letto: "Campiglio, precipita un elicottero del 118"...

ah sì ora ricordo!
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: Succi - 17/11/2017 19:33
 Cavoli...hai fatto bene a riportare questa testimonianza.fa molto riflettere.vi ringrazio veramente per la condivisione,non facile.
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: miki - 17/11/2017 20:02
Cacchio... Anch'io insacchetto tutto.. :-\

Premetto che io ho un arva vecchio come Noè e di modelli più moderni non ne conosco il funzionamento.. Ma il passaggio automatico alla modalità di trasmissione a che serve? non sarebbe forse meglio non averlo o se possibile disinserirlo? Nel naturale stato di agitazione in cui ci si trova in quei momenti non è cosa facile ricordarsi che un certo suono preavvisa lo spegnimento..
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: AGH - 17/11/2017 20:54
Cacchio... Anch'io insacchetto tutto.. :-\

Premetto che io ho un arva vecchio come Noè e di modelli più moderni non ne conosco il funzionamento.. Ma il passaggio automatico alla modalità di trasmissione a che serve? non sarebbe forse meglio non averlo o se possibile disinserirlo? Nel naturale stato di agitazione in cui ci si trova in quei momenti non è cosa facile ricordarsi che un certo suono preavvisa lo spegnimento..

serve che se per sfiga vieni travolto mentre stai cercando un compagno, dopo un tot di tempo (quanto? non lo so...) in cui è immobile si commuta in trasmissione. Quello che mi pare strano è che si sia commutato da solo durante la ricerca e quindi in movimento...
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: danj - 17/11/2017 20:57
Il racconto è veramente avvincente e ben scritto, l'emozione è senz'altro ampliata dal fatto che in realtà il "racconto" non è di fantasia o trovato sui giornale o tra le tante pagine sul web. E' senz'altro istruttivo sul fatto che in genere si pensa che certi eventi succedano solo agli altri....
Però, povera Nadia! Suo malgrado protagonista di una giornata veramente indimenticabile.... meno male che siamo qui a raccontarla, si dice dalle mie parti!
Ciao!
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: piesospinto - 17/11/2017 22:18
serve che se per sfiga vieni travolto mentre stai cercando un compagno, dopo un tot di tempo (quanto? non lo so...) in cui è immobile si commuta in trasmissione. Quello che mi pare strano è che si sia commutato da solo durante la ricerca e quindi in movimento...
L'ARVA (almeno il mio, ma credo sia un comportamento comune) commuta in automatico dopo 8 minuti che l'hai messo in ricerca, indipendentemente dal movimento. Poco prima (dovrebbero essere 30 secondi) emette l'allarme. Basta schiacciare il tasto e lui 'capisce' che non sei sepolto e rimane in ricerca. Dovrebbe essere un comportamento automatico di chi ricerca (uno dei tanti comportamenti automatici), è anche semplice perchè hai l'ARVA in mano e ti costa zero tempo schiacciare, ma io non sono mai arrivato ad 8 minuti in ricerche di prova, e non l'avevo mai sperimentato - come tante altre cose.
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: yakopuz - 18/11/2017 00:56
Grazie Mauro e Nadia per avere voluto e trovato la forza di condividere momenti cosi intimi e drammatici. Mi ha toccato profondamente il vostro racconto. Ho rivissuto quello che mi è successo a Serodoli, non lontano da dove eravate voi, più di quindici anni fa. Purtroppo non a lieto fine. Non ho ancora trovato la forza di racccontalo se non a pochi amici.
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: piesospinto - 18/11/2017 20:02
Accidenti yakopuz, mi vengono i brividi!
Nemmeno io penso sarei riuscito a raccontare e men che meno a scrivere l'accaduto se l'esito della mia vicenda non fosse stato positivo.
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: AGH - 19/11/2017 08:01
Questi post fanno capire, credo, quanto il confine tra una giornata spensierata e di gioia in montagna e la tragedia sia, a volte,  molto sottile :(

Grazie anche a te Jako per la condivisione
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: edel - 19/11/2017 19:25

Credo non sia stato facile raccontare un'esperienza così drammatica che, ringraziando il cielo, non è finita in tragedia. Bravi per esserci riusciti e grazie per averla condivisa. 
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: Xtreme - 21/11/2017 18:10
Brividi!!

Da scialpinista mi rendo conto che avrei fatto tutti i tuoi errori o anche di più
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: Jader - 22/11/2017 16:36
Letto tutto d’un fiato...emozionante e istruttivo!
Sicuramente ce stata fortuna ma anche la tua preparazione è stata fondamentale!
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: simonegirar - 22/11/2017 22:13
Intanto grazie per la condivisione, queste testimonianze sono importantassime per capire che l'esperienza aiuta, ma non fa miracoli.

Sono d'accordo con jader, la preparazione a priori aiuta molto, anche se la tecnologia ha dei limiti, per chi sceglie questo tipo di sport/svago, mii pare il minimo l'ARVA, pala e sonda, e per sentito dire in una serata SAT dalle mie parti, da una guida alpina, sarebbe bene prepararsi anzitempo con un'esercitazione minima, anche senza neve, per avere memoria del funzionamento ed approccio alla ricerca, poi per carità, quando ha sotto chi ami, adrenalina mi pare il minimo...... :o .

Non ho seguito la notizia dell'elicottero, e non ho capito se era caduto sul serio o meno.

Poi mi sono perso qualcosa o il numero adesso da fare è il 112?

Ciao a tutti, buonanotte, e un grazie per la testimonianza di tutti e due, aiutano e servono.


Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: piesospinto - 23/11/2017 18:25
Letto tutto d’un fiato...emozionante e istruttivo!
Sicuramente ce stata fortuna ma anche la tua preparazione è stata fondamentale!
Più che di preparazione direi che è stata capacità di mantenere una calma sufficiente.
Sono in materia un perfetto dilettante, che al massimo fa una prova ARVA all'anno, ma ovviamente in condizioni ideali. Inoltre le prove finiscono col ritrovamento strumentale, mai che si faccia sondaggio e scavo (ma quest'anno rimedierò). Quindi non posso lontanamente dire di essere preparato.
Integrando anche quanto osservato da simonegirar e Xtreme, posso dire che solo mettendo insieme a posteriori tutti i pezzi di quanto accaduto mi sono reso conto di un paio di cose:
- che tante piccole perdite di tempo (che siano dovute ad errori o no) assommate fanno perdere complessivamente tanto tempo
- che comunque, ritardi o no, il tempo necessario a raggiungere e liberare la bocca di una persona è tantissimo.

E quindi sì, sono convinto che nel mio caso c'è stata anche fortuna, e non poca.
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: AGH - 23/11/2017 20:27
Io ho smesso quasi del tutto di fare scialpinismo negli ultimi anni perché ho paura di farmi male e perché mi sono reso conto che di valanghe non ne so abbastanza. Questo peraltro l'avevo capito da un corso che io stesso avevo organizzato parecchi anni fa, con l'esperto di valanghe Gigi Telmon, che ci fece due giorni di lezione molti istruttivi (uno di teoria e uno di pratica). Ci fece capire  insomma, anche a quelli che si credevano più "esperti" perché da anni andavano in montagna, quanto poco in realtà ne sapessimo.

Riguardo l'Artva, pala e sonda, è vitale saperli usare a menadito e tenersi costantemente allenati, perché in caso di travolgimento di un compagno/a lo shock emotivo è fortissimo, e solo una grande pratica permette di fare le operazioni di autosoccorso "in automatico" e con la massima efficienza, senza farsi travolgere dal panico.

Sottolineo inoltre che l'autosalvataggio con artva, pala e sonda, è davvero l'ultima spiaggia perché non di rado la valanga ti uccide sul colpo.
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: Jader - 14/02/2018 17:50
Sabato scorso ho vissuto anche io quest’esperienza.

Questa testimoninza, come le altre, vuole solo essere un racconto che puó, magari direttamente o indirettamente salvare la pellaccia a qualcun’altro come sono riuscito a salvare la mia, grazie si agli insegnamenti pratici raccolti “sul campo”, ma anche a quelli teorici raccolti online.
Mi trovavo con due amici a salire il Vajo Battisti, un couloir innevato nel gruppo Tre Croci sulle Piccole Dolomiti. L’idea iniziale era di salire il “Dell’Acqua”, limitrofo e piu semplice ma poi, ci siamo fatti prendere da alcune circostanze scegliendo il Battisti.

Il Vajo in questione ha una pendenza limitata ( 55° Circa) salvo il tratto finale, che lo rende così ostico sono due stretti canalini di III+ su misto (salvo enormi innevamenti) e le continue scariche da destra dove ci strapiomba sopra cima Tre Croci. Questa via conta parecchi brutti episodi tra cui uno mortale nel 2004.

Tornando a noi..ha nevicato parecchio, ma purtroppo le temperature ormai tendono ad esser alte e la neve fatica a gelare, il rischio valanghe su tutto il SuperGruppo è classificato moderato. Partiamo prima che albeggi in maniera da esser sulla cima prima delle 10 ma notiamo che la neve non è gelata, non è farinosa ma nemmeno buona per affondarvi i ramponi. Notiamo una cordata di due francesi che batte traccia a 10 minuti da noi sul Battisti, mentre sul “Dell’Acqua” non ce nessuno, optiamo quindi per seguire i cugini d’oltralpe.

Si affonda ma la traccia è buona e la neve non fa assolutamente presumere a valanghe sotto i nostri piedi. Nonostante si fatichi saliamo slegati e ci godiamo qualche cascatina di neve da cima Tre Croci.
Al secondo dei due canalini (3/4 del percorso) arriva una prima scarica che schiviamo sia noi che i francesi, forse un piccolo distacco dalla sella terminale. Acceleriamo e ci dividiamo, i francesi scelgono un colatoio a  80° , noi la via normale con meno impenno, scende una scarica piu abbondante, prende il nostro terzo di cordata seppellendogli braccio e gamba destra. Lo liberiamo ma sale adrenalina e paura.

 Siamo quasi a 5m dalla sella, i francesi gia sulla fine del vajo ci dicono che dall’altro versante (sud, la via prevista per il ritorno) si sprofonda gia fino alla vita a causa del forte sola che ha mollato la neve piu del previsto. Optiamo per rientrare dal vajo quindi ma procediamo lenti e legati. Al secondo canalino ( quello che già ci aveva fatto vedere una valanga poco prima)  arriva una bella scarica ma riusciamo a proteggerci ancora una volta. Siamo al primo canalino, 40’ dal rifugio. Scendo per primo e una volta sceso mi slego per preparare una sosta per un cambio guanti. Mi giro verso i miei due compari raccomandandogli di muoversi quando sento un’altra volta quel maledetto rumore..arriva come un proiettile una scarica sollevata quasi un metro da terra dal salto fatto probabilmente dalla cima, incasso il collo tra le spalle e pianto i picconi proteggendomi tra le rocce laterali del canalino, consapevole che i miei amici c’erano in mezzo. Mi arrivano quintali di neve in faccia, sento una fitta tremenda dietro il ginocchio, scorgo a monte che i miei amici non ci sono piu e a valle nemmeno. La portata è almeno 5 volte le precedenti. Nel frattempo continuo a prendere neve a palate ancorato alle picche e vedo una testa nel vallone che spunta mentre fluttua verso il basso. La scarica termina. Spuntano entrambi e  nonostante le mie urla non riescono a sentirmi  né a vedermi… Ed iniziano a scavare come dei forsennati nella neve.  Finalmente riesco a farmi udire e ironicamente gli chiedo se avevano altri modi meno eccentrici per superarmi.

 La scarica è passata ma il pericolo no… Devo raggiungere gli altri due che sono volati giù per oltre 200 m mentre loro si controllano se hanno tutte le ossa a posto io… Cado a terra con dei crampi furibondi alle gambe. Mi faccio forza e controllo dove sentivo la fitta dietro il ginocchio… Due ramponate sicuramente da suturare procurate da ramponi dei miei compagni mentre facevano le capriole in mezzo alla neve, Una è particolarmente dolorosa avvicina al nervo.  Li raggiungo… Ci abbracciamo e iniziamo a scendere slegati e in velocità…! Arriviamo al rifugio provati e raccontiamo l’accaduto, troviamo i francesi che anche loro non sono messi bene… Hanno dei forti congelamenti a mani e piedi è uno dei due ha un principio di ipoglicemia risolve con acqua e zucchero. Io penso solo a birra, tanta birra e ai bigoli al ragù di cervo.

 A parte le due ramponate e qualche botta ci abbiamo rimesso solo un Gore-Tex completamente tagliato, una piccozza e la Gopro,  asportata unitamente all’aggancio in silicone dal mio casco ( non so se conoscete la cementazione che si fa tra l’aggancio e il casco di una  Gopro,  giusto per capire con che violenza è stata investita la camera).

Ho avvertito oltre ai rifugisti il CNSAS e RRM che rimanga traccia dell’accaduto ( E che comunque siano a conoscenza che se trovano una piccozza e una gopro sul vajo non appartengono a dei dispersi) ma abbiamo volutamente evitato di pubblicizzare l’incidente sia per non dare preoccupazioni a casa e sia per evitare le solite polemiche di alpinisti da tastiera su gruppi Facebook e compagnia bella.

Da una breve analisi fatta anche con una guida alpina presente sul posto sembrerebbe si sia staccata una grossa cornice dalla cima.

So che è nato per lo sci alpinismo ma sto valutando seriamente di comprare uno zaino abs facendo spesso ascese di queste tipo.
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: Xtreme - 14/02/2018 18:23
Però....che brutta esperienza, per fortuna è andata bene. Per domenica scorsa avevamo pensato di fare il vajo dell'acqua con un amico, visto che dal Carega erano arrivate buone notizie, poi però abbiamo dirottato per le Dolomiti.

L'abs non so quanto possa aiutare in un vajo, galleggi ma rischi di andare contro le rocce
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: piesospinto - 15/02/2018 09:52
Accidenti Jader, gran brutta esperienza anche la tua.
Grazie della condivisione.
Bene essere qui a raccontarcele, sono esperienze che fanno crescere.
Titolo: Re:Il racconto di una valanga
Inserito da: AGH - 15/02/2018 19:05
Grazie per la condivisione della (brutta) esperienza. Penso possa essere utile a molti a considerare quanto può essere sottile, a volte, il confine tra la l'escursione spensierata e il dramma :(