Autore Topic: Ravanage geologico (c'era una volta il west)  (Letto 22214 volte)

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Offline AGH

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Tutte le nostre uscite del corso di geologia sul terreno avevano due denominatori comuni: la montagna e il ravanage. E’ risaputo che la montagna è il luogo per eccellenza dove osservare fenomeni geologici. Ma se spesso questi si manifestano in modo spettacolare, talvolta occorre andare a cercare proprio un affioramento roccioso seminascosto dalla vegetazione, dove non passano né sentieri né strade. Ecco allora che subentra il ravanage.

Il professore titolare del corso, che qui chiameremo Bramati, era un grande esperto del muoversi fuori dai sentieri ed era solito organizzare esplorazioni tra boschi e burroni. Le sue spedizioni ricordavano talvolta la filmografia western: gli uomini che avanzano in lunga fila in mezzo a una natura selvaggia, le ragazze oggetto delle scontate ironie del capo, il doversi difendere dagli attacchi dei nativi (i contadini del posto, spesso ostili perché invadevi abusivamente i loro terreni) e degli animali (cani, cinghiali, vipere, muli imbizzarriti). Una leggenda metropolitana diceva che in gioventù, sorpreso da una fitta nevicata, il Bramati avesse trovato rifugio e ospitalità presso un casolare e che così avesse preso moglie, da vero uomo della frontiera.

Due erano le zone più battute dal Bramati: le Prealpi Lombarde e l’Appennino tra Alessandria e Piacenza. Se le Prealpi avevano l’aspetto di montagne severe, l’Appennino era però il nostro far west, con pochi sentieri invasi dalla vegetazione e nessuna segnaletica.

La prima regola delle escursioni del Bramati era che le regole fosse lui a farle, come Tex Willer. In cima c’era la puntualità: un ritardo di 5 minuti era tollerato, poi si partiva senza riguardo per nessuno. La seconda regola era altrettanto semplice: meno gente c’era, meglio si lavorava con gli altri. Per questo all’inizio il Bramati era autoritario e deciso, tanto da apparire poco cortese, e soprattutto con le ragazze ingigantiva le difficoltà. La terza regola era che non ti dovevi perdere. Prima ti spiegava le cartine IGM a tavolino, poi alla prima uscita sostava su un ponte all'inizio di un sentiero e diceva Ci siamo fermati in un punto dove spero che anche i meno svegli di voi abbiano capito dove siamo!. Da allora potevi anche sbagliare a riconoscere le rocce ma dovevi sempre sapere dove ti trovavi.

La prima volta alla partenza si radunava una folla eterogenea: c’era chi abitava in montagna ed era equipaggiato di tutto punto, c’erano gli sciatori che sfoggiavano la giacca a vento firmata, c’era chi invece arrivava con scarponcini da città. Uno che era già stato sotto le armi si presentò in mimetica, anfibi e barba lunga, arrivando a bordo di una lambretta che forse aveva fatto la guerra d’Africa: oggi lo avremmo detto un talebano, allora sembrava uscito direttamente da un romanzo di Beppe Fenoglio.

Il Bramati piazzava strategicamente la prima escursione d’inverno sulle Prealpi, in modo da farti trovare anche la neve. E subito ti portava a ravanare. Il tutto studiato per fiaccare l’entusiasmo di qualcuno. E allora su per un canalone invaso dalle sterpaglie, durante l’ora più calda, ti dovevi arrabattare tra un albero e l’altro, tra un masso e l’altro, aggrappandoti a qualunque cosa, facendo attenzione alle spine, mettendo i piedi senza scivolare sulla neve o su rocce instabili, chi veniva dalla montagna ti passava sopra, chi trascorreva il tempo libero seduto al bar imprecava come un turco.

La volta successiva ti portava in Appennino e ti rifilava i calanchi. Chi vive tra Alessandria e Bologna sa bene cosa siano i calanchi: pareti friabili denudate e incise dall’erosione. Professionalmente salire su per i calanchi non serviva a nulla ma poteva sempre azzerare la tua voglia di continuare. Naturalmente, secondo il Bramati, nei rari ciuffi d’erba ci potevano sempre essere le vipere in agguato, appena svegliate dal letargo invernale.

Ma oltre ai rettili potevamo aver a che far con altri animali: cani, cinghiali o altre sorprese. Una volta un gruppetto di persone era stato inviato a fare rilievi per conto proprio. Un tal Ugo Verdi era stato tacitamente designato come capo, perché aveva qualche anno in più di noi e aveva già fatto il militare. Dietro di lui camminava un’amica di nome Marinella. Ad un certo momento il gruppo incontrò un mulo. L’animale doveva essere imbufalito per i fatti suoi, perché diede subito l’impressione di caricare. Nel film Sfida a white buffalo Charles Bronson aspetta il bisonte a piè fermo. Non fu il caso del Verdi, che, una volta visto partire l’animale, tagliò immediatamente su per il pendio lungo la linea di massima pendenza gridando Scappa Marinella, scappa! Fatti pochi passi la bestia si stancò di inseguire e alla sera tutti lodarono l’eroico comportamento del Verdi che (non) si era frapposto tra la ragazza e il mulo per distrarlo e deviarne la corsa.

Ma se superavi le prime due - tre uscite era come aver passato una specie di esame. Eri abile e arruolato. Il Bramati diventava meno burbero, spesso apprezzava il tuo lavoro, moderava i termini anche quando gli fornivi tutte le ragioni per scomporsi. Alla fine del corso avevi imparato non solo a fare rilevamento geologico ma anche a muoverti in autonomia su terreno accidentato e ad orientarti. Insomma, avevi imparato a ravanare.

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by Andrea62
2 marzo 2003
dal newsgroup it.sport.montagna
« Ultima modifica: 12/04/2013 15:02 da AGH »
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