Una stella sul bivacco
Sono giunto al bivacco scendendo direttamente dalla cima che lo sovrasta. Una piacevole scivolata e facili curve su un firn perfetto mi hanno condotto prima alla forcella e poi, con una tranquilla traversata in falsopiano, al poggio dove sorge il bivacco.
Le poderose nevicate di febbraio hanno regalato un ottimo innevamento a questi giorni di marzo. Le cime sono candide e tutto è ancora ben coperto. Davanti al bivacco la neve forma un pavimento regolare, battuto più dal vento che dalle poche tracce di sci e ciaspole che mi hanno preceduto.
Non ho incontrato alcuna persona durante questa giornata di sole prepotente che mi ha arrostito il viso. Sono in perfetta solitudine, con ancora alcune ore di luce e di sole, al cui calore riposerò le stanche ossa e asciugherò i panni.
Da questo balcone che domina tutta la catena e le sue cime, il panorama è spettacolare e invita lo sguardo alla valle ancora inondata dal sole. Tutt’attorno un silenzio che dà una grande pace.
La piccola costruzione è accogliente e ben fornita. Non ha molti posti, solo sei cuccette, ma in compenso il bivacco, appartato e solitario, non è molto frequentato. Ha un magnifico focolare con “fiamma a vista”, più una discreta dotazione di legna, che non scialacquerò. Mi gusterò, però, il fuoco della sera, questo è certo.
Svuoto lo zaino e sistemo con ordine le mie cose. Occupo la cuccetta bassa. Pregusto già la solitudine della serata e mi dico che starò un po’ ad osservare le stelle di quella che sarà una notte meravigliosa e indimenticabile.
Ho sognato a lungo questa uscita di due giorni in solitaria con gli sci e mi sono guadagnato il “pass” con grande diplomazia e somma pazienza. La facilità e la sicurezza dell’escursione, la stabilità del tempo, il rischio valanghe a livello 1 e la solenne promessa di non derogare dal programma con le mie solite varianti in corso d’opera, mi hanno aperto la strada e sono finalmente partito. Eccomi qua, al sole, sulla panca fuori dal bivacco. Il telefono prende benone e chiamo a casa per far sapere che tutto è andato nel migliore dei modi: neve, cima, sciata, bivacco.
Gli sci e i bastoncini sono appoggiati all’esterno ed un autoscatto assieme ai miei attrezzi è d’obbligo. Rientro per vedere se è possibile mangiare qualcosa di caldo. Mentre sto rovistando nella credenza, il vano della porta aperta si oscura ed appare uno sconosciuto. Il mio primo moto è di stizza per la notte che dovrò condividere con un estraneo. Sicuramente, arrivando a quest’ora, si fermerà a pernottare al bivacco.
Ci salutiamo e facciamo subito conoscenza. E’ un ciaspolatore, viene dalla “bassa”. Dalla “bassa”? Dalla valle, dalla pianura, dal sud? L’accento della sua parlata non mi lascia indovinare nulla. Non indago oltre. Lui dispone le sue cose nella cuccetta sopra alla mia e gli chiedo se vuol dormire sotto. Nessun problema, e aggiunge che è abituato a dormire in alto.
Usciamo a sederci sulla panca, godendoci il sole.
Parlo un po’ di me, della mia escursione e gli dico in tono scherzoso che ho dovuto lavorare di fioretto con moglie e figlie per poter partire. Pure lui conferma di aver avuto bisogno di un permesso speciale, anzi, “specialissimo”, per salire quassù con le sue amate ciaspole. E’ un tipo simpatico, che parla volentieri e che si ascolta con piacere. Eppure qualcosa di lui mi sfugge, ha un che di incerto e strano. Mi dice pure che si era pregustato da tempo una nottata in questo bivacco e che è felice per la mia compagnia. Ci guardiamo e sorridiamo assieme: forse lui capisce che io invece non la pensavo così.
Poi cominciamo a guardare il panorama. Io, che mi ritengo un buon conoscitore di queste zone, faccio sfoggio di erudizione geografica. Indico le cime, i cocuzzoli, le forcelle, i versanti di salita, i pendii valangosi. Gli passo il binocolo, individuo le malghe e le strade forestali che le raggiungono. Anche lui non se la cava male, conosce bene i luoghi e mi parla dei sentieri che tra le rocce salgono verso il cielo, delle vette nascoste in mezzo alle nuvole, delle pareti che si perdono là dove l’immensità sfugge all’occhio umano. E’ ben strano, ‘sto tipo. Ha lo sguardo e la mente rivolti in alto, tra cielo e nuvole, passeggia nel sole, come volando libero nell’infinito.
Io invece navigo basso, resto sulla roccia, nell’erba dei pendii, sui sassi dei sentieri, di bosco in bosco e di malga in malga. Abbasso lo sguardo al fondovalle e indico il paese giù in fondo, dove l’ultimo sole abbandona i tetti delle case. Gli narro un paio di aneddoti che riguardano quel paese. Poi risalgo su fino alle prime malghe. Lui è sempre tra nuvole e cielo, sempre con le mani alte e l’indice all’aria. Cerco di tirarmelo un po’ dalla mia parte e gli faccio notare tante belle cime che sono fattibili anche con le ciaspole, senza difficoltà e senza pericoli. Ancora mi guarda, sorride ed i suoi occhi sono lucenti e il sorriso ha una dolcezza per me sconosciuta. Restiamo così a parlare per un bel po’ di montagna, come vecchi amici.
Lentamente il sole si nasconde dietro la cima alle spalle del bivacco. La luce si fa morbida e lieve, appaiono le prime ombre. L’aria è frizzante e una bava di brezza spira di tanto in tanto.
Il mio compagno appoggia le ciaspole e i bastoncini a fianco dei miei sci e rientriamo.
E’ diventato taciturno, è “l’ora che volge al desìo” e forse un velo di nostalgia lo prende. Anch’io resto in silenzio. Ho rinunciato al cibo caldo, ma accendiamo ugualmente il fuoco, così, per creare un po’ di atmosfera.
Sbocconcello il mio panino e un frutto. Il mio compagno non mangia. Quasi a prevenire la mia domanda mi dice che fa sempre così, anche quando va in montagna. Si è abituato a mangiare molto e bene prima di partire, poi ne può fare quasi a meno. Mi parla di certe barrette superenergetiche, che gli danno una forza particolare. Per me, che vado ancora a panini con lo speck, l’argomento sarebbe interessante, ma lui cambia discorso e nuovamente parliamo di monti e neve, di cime e forcelle, di malghe e strade forestali.
Intanto è scesa la notte. A poco a poco le nostre parole svaniscono e si perdono nel buio. Ce ne stiamo davanti al fuoco, assorti nei nostri pensieri, e il guizzare delle fiamme si riflette vivido sui nostri volti. Anche così, in silenzio, è un bel momento di compagnia, alla faccia della solitudine! Da qualche parte, forse sul tetto, la brezza scuote una lamiera con un vibrare metallico ricorrente che fa duetto con il crepitare delle fiamme. Solo questi rumori rompono il silenzio.
All’improvviso il mio compagno comincia a intonare sommessamente un canto di montagna, il più famoso, il canto di noi montanari. Ha una bella voce baritonale che sale senza difficoltà verso le note più alte. Io cerco di seguirlo con la mia, che è più profonda. D’un tratto mi ricordo di qualcosa. Vado a frugare nel mio zaino e trovo quello che cercavo. Davanti al fuoco, che sembra non voler morire e scoppietta ancora allegramente, inizia così un memorabile concerto per voce solista ed armonica. Canto dopo canto la voce diventa sempre più gagliarda e si colora di un timbro particolare, straordinario ed incantevole. La melodia che si spande nella piccola stanza del bivacco mi fa pensare al libero correre del vento e un moto di commozione sorge dentro di me mentre soffio nel mio strumento. Un piccolo e antico sogno della mia vita si sta avverando!
Quando i miei polmoni sono esausti e vuoti, il concerto ha termine ed usciamo ad ammirare la notte. Ad est leva quietamente la luna che si spande sulla neve, bianco mare immobile e scintillante. Le cime appaiono come muti giganti e il loro candore dona alla notte una luce tenue e incantata. Meraviglioso è il cielo tempestato di stelle, immenso e pur così vicino. In questi istanti mi sento veramente “figlio” di queste montagne.
Si va a nanna. Mi distendo nella cuccetta, mando un pensiero alla mia signora e al mio Signore e dopo aver augurato la buona notte, cerco di addormentarmi, operazione per me sempre complicata. Di sopra nessun movimento, nessun rumore, non uno stiracchiamento, un colpetto di tosse, un raschio di voce,... nulla. Silenzio. Deve dormire già come un sasso, l’amico! Beato lui! Ma anch’io, complici la fatica, il sole e la bella serata davanti al fuoco, non ho nemmeno il tempo di avvertire un po’ di nostalgia di casa e piombo in un sonno profondo, senza sogni.
Alla mia ora, verso le quattro e mezzo, mi risveglio e poco dopo sono in piedi. Buio assoluto. Il fuoco nella stufa è morto. Freschetto. Indosso la felpa e con movimenti leggerissimi per non disturbare il mio compagno, esco nuovamente per guardare il cielo.
Che splendore! La volta celeste è un tappeto di migliaia di stelle tremolanti. La luna è caduta oltre le cime a ovest e ne rimane il bagliore diffuso sulle alte e solitarie creste. Lontano, lontanissimo, a oriente, un chiarore appena accennato preannuncia un’altra gran giornata di sole.
L’aria è pungente, meglio tornare dentro. Quando sto per varcare la soglia, mi accorgo che ciaspole e bastoncini non ci sono più. Distinguo nel buio i miei sci e i miei bastoncini ma non c’è altro Oh bella! Che sia andato a farsi una notturna sotto la luna? Possibile? Entro a controllare. Allungo timidamente la mano verso la cuccetta sopra la mia: è vuota. Materasso freddo e intatto, coperta ripiegata in fondo alla cuccetta. Qui non ci ha dormito nessuno!
Cerco la frontale, la calzo e accendo. Sono solo! Mi assale un certo scoramento e mi aggiro smarrito nel bivacco. Se n’è andato, così, senza dire nulla, senza salutare! Qualcosa di strano c’era…
Sul tavolo sta aperto il libro delle firme. Pure firmato ha, prima di andarsene!
Leggo l’ultima frase: “La montagna è l’abbraccio di un amico ed il fuoco di un bivacco condiviso”. Capisco tutto in un attimo. Spengo la frontale ed esco fuori nel buio.
La brezza della notte s’è posata: grande silenzio e profonda quiete. Mentre i pensieri volano in alto oltre il firmamento, i miei occhi contemplano ancora una volta la stupefacente bellezza del cielo stellato. In quel momento, alta sopra il bivacco difronte a me, una stella per alcuni istanti sfavilla tra le infinite sue sorelle.
(in ricordo dell'amico Mau)