foto Adam WelberVisto che non scrive nessuno in questo periodo, metto qui il raccontino che scrissi quando salii il
Monte Bianco, forse qualcuno è interessato a salirlo e può trarre qualche elemento utile dalla mia eserienza. Noi siamo saliti per la via normale sul versante francese.
Quel che segue non è tanto il racconto dell'impresa epica e irraggiungibile di Gianfranco Corradini, invalido senza una gamba sulla vetta del Monte Bianco, ma la mia personale, che nell'ormai lontano 1999, mi sono ritrovato a dover scalare il Tetto d'Europa praticamente senza un serio allenamento. Ero stato infatti ingaggiato come cameraman ufficiale dell'impresa di Corradini: portatori, muli, elicotteri? Maddeché. Ho dovuto fare tutto a pedagna! Per fortuna ho scelto un equipaggiamento non troppo pesante: niente cavalletto, una telecamera panasonic e numerose batterie con ricambio.
Ecco il resoconto di quelle due mitiche giornate...All'inizio di agosto iniziano le consultazioni frenetiche del meteo, per centrare la "finestra" di bel tempo, ci bastano due giorni. Siamo tutti messi in preallarme, ogni giorno è buono. Giovedì 12 agosto, di sera, arriva la chiamata: si parte domani alle 2 di mattina! (sticazz...)
Venerdi 13 agosto 1999, ore 2. Alle due la comitiva è da me a Trento, partiamo in auto in un viaggio lunghissimo ma essendo rintronati tutti di sonno, nessuno ci fa troppo caso.
Arrivo a Chamonix ore 7.30, e ricongiungimento con la nostra guida alpina che era già sul posto, il mitico e fortissimo Roberto Daz. Ci portiamo a St. Gervais Les Bains, dove c'è un trenino-cremagliera che sale fino a 2.300 metri sul versante ovest del massiccio del Monte Bianco.
Di qui attacchiamo il sentiero che porta al Rif. Tete Rousse a 3.167 metri: non ci fermiamo ma attacchiamo la bestiale parete di sassi e sfasciumi che s'inerpica fino al Ref. de l'Aig. Gouter, a ben 3.817 metri. Resisto benino fino a 3.000 metri. A 3.300 con mia grande meraviglia vedo delle farfalle che mi svolazzano intorno. Allucinazioni d'alta quota? Mah! Con la quota e la fatica, ognuno (siamo 8 in tutto) piglia il suo passo e ci disperdiamo rapidamente. Allucinazioni o no, complice il mio deplorevole allenamento, a 3400 comincio ad andare in crisi; accenni di crampi, una sete della madonna, le forze -e il fiato!- che calano a vista d'occhio. A quota 3.500 il mio altimetrino Casio va in "FULL", e subito dopo anche io. Scoppio come un palloncino insomma.
Sono improvvisamente senza forze, mi gira la testa, ho sonno, se ci fosse un letto mi ci butterei dentro. Provo a resistere ma niente, ogni 10 passi devo fermarmi e rifiatare. Arrivo faticosissimamente a 3.600, vedo il rifugio in cima a un picco roccioso che ci sovrasta, sembra lì a due passi ma saranno invece 200 metri di calvario. Mi devo fermare più volte, devo bere.
Riparto ma ri-crollo poco dopo, riparto ancora e ricrollo. Mi rifermo a mangiare qualcosa. Guadagno altri cento metri, 3.700, lo stramaledetto rifugio sembra vicino e allo stesso tempo stramaledettamente lontano. Gli ultimi duecento metri sono attrezzati, una specie di ferrata. Uno degli accompagnatori, il forte scialpinista Ivan Antiga, che nel frattempo era arrivato in cima apparentemente senza sforzo, scende a vedere come me la passo
Mi prende lo zaino per alleggerirmi. Mi gira la testa, poco dopo arriva Daz che mi aggancia una corda per sicurezza. Risalgo gli ultimi 100 metri di dislivello che mi separano dal rifugio con "l'aiuto morale" del mitico Daz che mi conforta; mi sento un po' rinfrancato, mi tornano un po' le forze grazie ai "beveroni" energetici e alle barrette di Muesli con cui mi sono ingozzato per recuperare
Quando arrivo in cima, ansimante come un mantice, scatta la foto di rito con applauso pietoso. Cacchio, 3.817 metri, è il mio record personale in Europa (in Sudamerica ero arrivato a 5500). Il precedente era il Cevedale, a 3.769, ma risalente a vent'anni fa, quello più recente l'anno prima, il Vioz a 3.600 e rotti. Mangiamo piuttosto in fretta, bisogna andare subito a nanna perché domani la sveglia è alle 1.30. Molti soffrono già la quota e non riescono a mangiare. A parte la stanchezza, sto benino, mangio ma con prudenza. Dopo cena, subito dentro il camerone-dependance a guadagnarsi un letto per la notte. Illusione. È tutto pieno, ci dobbiamo stringere l'un l'altro, otto in cinque posti
((
Comunque, oggi da 195 mt di Trento a 3800, alla faccia della climatizzazione...
Sabato 14 agosto Ref. de l'Aig. Gouter m. 3.817Alle 1.15 (una e quindici!!!) i fastidiosi cicalini degli orologi rompono il silenzio nel buio del camerone. Alzarsi, lavativi! Inizia la laboriosa vestizione alla luce delle lampade frontali tra una marea di zaini, scarponi spaiati, calzettoni, piccozze, ramponi e caschi ammassati nell'atrio. Appena messo il naso fuori, l'orrore: un ventaccio tremendo sferza i lamieroni del rifugio e fa "ululare" le scalette e le passerelle di metallo. Freddo cane, qualcuno annuncia trionfante la temperatura: 20 gradi sottozero! Qualcuno scurisce in volto: 20 sotto qui, figuriamoci in cima... C'è chi non ha chiuso occhio per la quota, chi accusa nausee e mal di testa feroci. Facciamo colazione rapidamente, una ragazza che ci accompagna non riesce a mangiare e bere nulla per la forte nausea. Io ho dormito quasi come un sasso (non foss'altro perché il giorno prima avevo dormito appena 3 ore) ma in compenso avevo un discreto mal di testa. Mi passano un Aulin.
Partiamo in 3 cordate distinte: una col mitico Daz e l'attrettanto mitico Corradini, che s'appresta a salire il Bianco senza una gamba e con il solo aiuto delle stampelle! L'altra col cameraman (me medesimo, aiutato dai fortissimi Giulio e Ivan), un'altra di appoggio.
Imbacuccati come palombari usciamo e rimontiamo quasi al buio un costone ripidissimo di neve e, d'improvviso, ci si apre un paesaggio fiabesco: una lunga fila di lucine, le lampade frontali, sono in fila indiana lungo i giganteschi costoni scuri del Monte Bianco, il Tetto d'Europa. Là in basso, le luci del fondovalle. Vediamo le comete solcare i cieli quasi al rallentatore, in una volta stellata così nitida che pare perfino finta... Un colpo d'occhio da non dimenticare...
Interrogativi angoscianti mi attanagliano: resisterò al freddo? All'alta quota? Alla fatica dopo lo sforzo di ieri? Avrò altri disturbi? Al rifugio, la sera prima, sui disturbi della quota ne avevano raccontate di tutti i colori: svenimenti, nausee, tachicardie, infarti, emboli ...
Stranamente mi sento benino, l'Aulin mi ha fatto sparire il mal di testa in cinque minuti. Ci avviamo lungo la traccia che si inerpica su un costone, scoprendo sbalorditi dentro a dei buchi nella neve... delle tende! (BRRR!). Mano a mano che saliamo cerco di calcolare mentalmente la quota guadagnata guardando ogni tanto il rifugio sotto di noi.
Ecco, siamo a 3.900, procediamo in lunghe file indiane su delle discrete rampe... Qualcuno annuncia il superamento dei 4.000 metri. Altro record personale! A 4.100 metri arriviamo sul crinale investito da venti impetuosi. Piedi a mani cominciano subito a gelare. Ci si vede a malapena, turbini di neve come migliaia di aghi scagliati in faccia ci costringono a procedere col capo chino, in silenzio, come penitenti...
Si mette male: le forze calano rapidamente anche perché i miei compagni di cordata vanno troppo forte per i mei gusti. Si mettono davanti a "trainarmi" un po'. Ma è peggio: perché invece che salire col mio passo vengo continuamente "strattonato" in avanti, obbligandomi a rompere il ritmo e a fare quindi più fatica. Ma i due "muli" davanti non sentono ragioni e continuano a tirare come treni.
Arriviamo finalmente ai 4.360 metri del bivacco Vallot, uno squallido cubicolo aggrappato su un roccione dove fanno tappa praticamente tutte le cordate, sia in salita che in discesa. Dentro è uno schifo: vomito per terra, immondizie, puzza d'urina micidiale e, last but not least, una ressa da metropolitana di Tokyo nell'ora di punta. Ci rifocilliamo alla meno peggio, ci scaldiamo un po', mangiamo qualcosa e buttiamo giù i soliti beveroni energetici.
Io sono ridotto a uno straccetto. Mi stravacco su un cumulo di zaini per dilaniare tosto uno schifosissimo muesli...
"Non mangiare sdraiato" mi fa il capo-guida "ti rimane sullo stomaco". Mi tiro su faticosamente, seduto. Sento che mi si è allentato uno scarpone, ma non ho nessuna voglia di togliere il rampone, la ghetta, riallacciare le stringhe e rimettere tutto ecc. La mia piletta frontale ha esalato, anche lei, l'ultimo respiro. Ci rivestiamo da palombrari e mezz'ora dopo siamo di nuovo fuori, al gelo della bufera.
Sto un po' meglio, ma le prime rampe mi stroncano di nuovo. Devo continuamente fermare i miei due compagni per rifiatare. Mi dicono di stringere i denti, di fare passi corti eccetera. "Andate tutti affanculo" mi verrebbe da gridargli in un momento di scoramento. Mi manca completamente il fiato, altro che stringere i denti! Allora me ne frego, e quando voglio fermarmi mi pianto con le gambe e li inchiodo tutt'e due finché non decido io quando si riparte. Proseguiamo così, con decine di "stop and go", ma è l'unico modo per non scoppiare, anche se "i due muli" davanti mordono il freno. Loro sono troppo forti e hanno un passo che io non mi posso permettere.
Siamo a 4.400, il vento non accenna a diminuire anzi, e' l'ora peggiore. Sta albeggiando e il freddo è micidiale. Spettacolare il sorgere del sole, che con le sue lame di luce illumina le guglie incredibili dell'Aguille Du Midi. Aumenta il vento, il paesaggio sembra sempre più un girone dantesco coi "dannati" che vagano nell'inferno bianco della bufera. Non sento più le dita delle mani: devo fermarmi spesso e far vorticare le braccia per fa affluire un po' di sangue. Facciamo pochissime riprese, fermarsi in quelle condizioni e' un'impresa. Non si vede quasi niente, la neve ti punge la faccia e gli occhi, le mani sono doloranti per il freddo...
Lavorare in questa situazione è davvero pesante: dobbiamo precedere la cordata di Corradini, trovare il posto per fermarsi e prepararci per la ripresa: giù gli zaini, via gli occhiali, via i guanti, fuori la camera, piazzarsi bene, fuori le batterie, collegare il cavo di alimentazione, pronti via ecc, il tutto cercando di non ballare troppo per la stanchezza e soprattutto per le sventate. Le batterie che Ivan tiene in un apposito marsupio sotto la giacca, al riparo dal freddo, perdono energia a vista d'occhio. Sono terrorizzato dalla prospettiva di arrivare in cima senza batterie.
Tutta la faccenda delle riprese funziona grosso modo così: noi si va avanti, poi quando la cordata di Corradini arriva facciamo la ripresa. Ma non è che poi loro stanno lì ad aspettare noialtri, vanno avanti col loro passo e se ne fregano. Noi dobbiamo rimettere a posto le nostre cose in fretta e furia, ripartire, raggiungere la cordata e superarla di nuovo e sopravanzarla di almeno 50 metri per rifare la ripresa del nuovo passaggio. Ma a quella quota, cristo, mica è facile! Ne abbiamo piene le scatole (io perlomeno) a salire, figuriamoci a fare "l'elastico" ad oltre 4.000 metri!
Saliamo ancora su rampe micidiali, tutte in cresta, col vento di traverso che ci fa sbandare pericolosamente... Arriviamo a 4.500, 4.600; ancora ducento metri di calvario, la cima è lassù, ormai vicina... Col cavolo! Solo duecento metri di dislivello, ma sembrano aumentare ad ogni passo invece che diminuire. Superiamo molte cordate ferme, ansimanti anche loro come mantici... Resto senza fiato parecchie volte anch'io, devo fermarmi a respirare piegato in due sui bastoncini. Non posso farlo col naso, come mi consigliano (setto deviato), e allora devo fare iperventilazione con l'arietta fresca a 30 sotto zero. Non oso pensare ai miei poveri polmoni...
Arriviamo sull'ultima rampa a 4.700 metri, dai cacchio che ci siamo!!! Stringo i denti, le chiappe, tutto. Avanti, porco mondo! Avanti passo dopo passo, mezzo scarpone alla volta... (ora so, nel mio piccolo, cosa devono provare quelli che salgono l'Everest
Dopo circa un secolo il crinale comincia a spianare e alzo la testa: siamo in vetta ca**o! Alle ore 7.30 precise calpestiamo la cima: 4.810 metri!!! Siamo sul Tetto d'Europa! Panorama grandioso ma non c'è tempo per guardarsi attorno, bisogna fare la ripresa dell'arrivo. Troviamo la posizione meno esposta e ci prepariamo.
Dopo circa un quarto d'ora di attesa e di sofferenza per il vento e il gelo bestiale, arriva finalmente la cordata di Corradini. Anche lui è bello cotto, ma ce l'ha fatta anche stavolta. Giù il cappello, sul Monte Bianco senza una gamba! È stato divertente vedere lo sbalordimento degli altri alpinisti quando l'hanno visto arrivare in cima con le stampelle (delle speciali stampelle con due rotelloni chiodati), mentre erano intenti a stringersi le mani e a darsi pacche sulle spalle. Sono rimasti tutti a bocca aperta, e molti di quelli che credevano d'aver compiuto un'impresa si sono improvvisamente vergognati come ladri...
Facciamo le riprese alla meno peggio, col vento che ci sbatte a destra e sinistra, le nevischiate violente in faccia, corde che volano dapperutto, le mani che non le senti più... Fatte le foto di rito e via, leviamo le tende prima di congelare definitivamente! Tutt'intorno brutti nuvoloni neri incombono minacciosi. Farsi bloccare lassù col maltempo significa davvero rischiare la pelle. Scendiamo velocemente di quota. Quando arriviamo al bivacco-cesso, il Vallot, cala il vento e spunta fuori il sole, fanc! Ci riposiamo un po' e rifiatiamo. Tiro fuori il bottiglione d'acqua dallo zaino: incredibile, ci sono dentro i ghiaccioli! Il tempo continua a cambiare, ma non promette nulla di buono. Dopo alcune ore di marcia rientriamo al rif. Aig. Du Gouter a quota 3.800. Beviamo un tè, mangiucchiamo qualcosa. Quindi di nuovo in marcia. Dobbiamo scendere a 2.300 metri per pigliare l'ultima corsa del trenino che ci porterà a St. Gervais, alle 18.00. Quando arriviamo a 3.300 metri, dove c'è il famoso "canalino della morte" (una decina di morti all'anno!), c'è un ferito.
Una ragazza è stata travolta da delle pietre. Pare grave, ci sono tre elicotteri che ci svolazzano intorno. Non abbiamo tempo per assistere al recupero. Passiamo rapidamente, uno alla volta, il canalino, guardando spesso in alto che non arrivino sassi e altri oggettini poco gradevoli. Attraversiamo indenni il canalino della morte, alle 17.30 dopo un'altra bella scalcagnata siamo finalmente al trenino. Dopo un'ora di cremagliera siamo finalmente in paese, pigliamo le macchine e scendiamo a Chamonix, distrutti. Ci fermiamo a mangiare qualcosa. Alle ore 10 circa ci rimettiamo in moto per il rientro alla base. Alle 4.00 di mattina arriviamo a Trento. Dormirò come un sasso fino alle 2 del pomeriggio
Venerdi 13 agosto 1999