Primo tratto attrezzato sulla Bepi Zac, sull sfondo Cima Uomo m 3010L’Alta Via “Bepi Zac”, lungo la
dorsale di Costabella, è intitolata al noto alpinista fassano
Bepi Pellegrin, innamorato della natura e appassionato di storia locale, nonché titolare del rifugio di Passo delle Selle, il “
Bergvagabunden Hütte” (rifugio dedicato ai “vagabondi” della montagna), ora passato di mano al figlio Floriano. La ristrutturazione del
percorso di guerra, con grandiosi scenari panoramici che spaziano dalla Marmolada alle Pale di S. Martino, dal Sella al Sassolungo, dal Catinaccio al Latemar, è opera appassionata e meritoria di Livio Defrancesco, caposervizio presso gli impianti di risalita Costabella.
Costabella era un importante caposaldo difensivo del fronte austriaco nel settore della Marmolada. L’esercito italiano aveva conquistato Sasso Costabella e Cima Uomo: sfondando al Passo delle Selle, avrebbe potuto raggiungere agevolmente la Val di Fassa scardinando la linea difensiva austro-ungarica.
Su queste montagne si combattè aspramente dal giugno 1915 al novembre 1917. Gli austriaci erano bene appostati su Cima Bocche, Fango (poco oltre il Passo San Pellegrino) e sul sovrastante Passo Selle, ove costruirono un grande accampamento. In questo modo era impedita ogni possibilità di avanzata verso la Val di Fassa. Alterni attacchi e contrattacchi determinarono minimi spostamenti di confine, con rilievi che diventarono ora italiani, e dopo qualche giorno o poche ore, di nuovo austriaci, con continui bagni di sangue per conquistare pochi metri di rocce.
Nella primavera 1917 particolarmente duro fu il confronto per la conquista di Cima Costabella, persa dagli austriaci il 4 marzo e riconquistata il 16 dello stesso mese. Iniziarono successivamente da parte italiana, lavori di mina per far esplodere le posizioni difensive austriache, ma alla fine di ottobre gli italiani ritirarono ogni soldato sull' Isonzo e fra queste montagne, dopo tante pene, ritornò la pace e il silenzio.
Il percorso si snoda lungo il tormentato crinale di Costabella, tra camini, cenge, creste, cime, caverne, gallerie, in un lunare scenario di rocce dalle forme più strambe. In una specie di colossale “uovo”, i soldati italiani avevano ricavato
un osservatorio scavandolo all’interno, in cui oggi vi è una piccola ma
spaventevole mostra sugli orrori della guerra, con pannelli esplicativi con testi e foto piuttosto crude. Ovunque si possono vedere trincee, resti di baraccamenti, rottami, fortificazioni. Ho trovato anche, a pochi metri dal sentiero, un grosso frammento osseo, sperabilmente non umano, che si confondeva con le pietre bianche di un ghiaione.
Alcuni ricoveri sono stati ricostruiti, altri presentano i materiali originali del tempo con le travature di sostegno, qualche mobile, le brande, le pareti rivestite di legno. Entrando in questi miserabili e angusti ricoveri, dove gli uomini vivevano per mesi come topi sottoterra o dentro gallerie scavate nella roccia, non si può fare a meno di provare una stretta al cuore per le condizioni tremende in cui i soldati erano costretti a combattersi, specialmente l’inverno, a quasi 3000 metri di quota.
L’itinerario è lungo e, anche se considerato facile, non proprio banale, con
tratti anche molto esposti.
La Bepi Zac non è una vera via ferrata ma piuttosto un percorso attrezzato con cordini, fittoni, scale e passerelle in legno. Non è da prendere sottogamba, e
se si soffre di vertigini è meglio lasciar perdere. Il percorso è generalmente ben protetto, anche se inspiegabilmente ci sono
tratti insidiosi senza protezioni su costoni ripidi, col sentiero disagevole di ghiaino o pietrisco su fondo duro in cui è vietatissimo scivolare o inciampare. Nel caso, lo sfracellamento è garantito. Per fortuna sono tratti brevi.
Assolutamente consigliabile l’imbrago, che dà una grande tranquillità e sicurezza, e anche il casco. Non tanto per le pietre che possono cadere dall’alto (il percorso si svolge per lo più sulle creste) quanto per le numerose gallerie in cui si è costretti a passare, alcune a gattoni o quasi. Proprio nell’ultima, quando ero ormai in vista dell’uscita, ho dato un craniata pazzesca che mi fa ancora male. Può essere utile anche una pila per esplorare le numerose gallerie.
Noi abbiamo percorso la Bepi Zac in senso antiorario, partendo direttamente dal
Passo S. Pellegrino (con gli impianti è possibile risparmiarsi 1 oretta di cammino e portarsi in quota), e puntando alla
Forcella Ciadin, un erto ghiaione che si raggiunge dopo aver attraversato i
meravigliosi pascoli della Campagnaccia. Dalla forcella si mette l’imbrago e si inizia il percorso salendo per un camino grazie a dei grossi scaloni in legno. La lunga traversata, con continui saliscendi ma con dislivelli non imporanti, termina al Lastè Picol, a nord del rifugio, che si raggiunge dopo una ripida discesa. Si rientra quindi al passo in circa un’ora, anche qui con la possibilità di accorciare il percorso con un impianto.
Dislivello circa 1000 metri (considerati i saliscendi), lunghezza circa 13 km