“Le montagne sono tutte belle, ma la più bella è dove si nasce e dove si vive” diceva Augusto Girardelli, pioniere del turismo sul Monte Baldo, un uomo che ha affrontato sempre la vita con energica baldanza, a volte forse con un pizzico di incoscienza, però sempre sorretto dalla forza di una grande famiglia alle spalle. A 82 anni suonati ha un fisico asciutto che sprigiona ancora energia.
Augusto iniziò a lavorare prestissimo, come si usava a quei tempi, addirittura a 10 anni. Quelli erano anni duri e in famiglia servivano braccia. Ripeté tre volte la quinta elementare pur di non dover andare alla scuola di Mori che era troppo lontana! Ha fatto il malgaro (“el vachèr”, il vaccaro), il contadino, quindi si inventò albergatore e cuoco. In gioventù era una vera forza della natura, forte come un bue. Fu un ottimo atleta di sci di fondo e discesa: nel ’41, durante il servizio militare nel secondo Reggimento di Artiglieria Alpina, fu campione nazionale dei “giovani fascisti”. Nel 1948 comprò il vecchio Rifugio di S. Giacomo, senza luce elettrica ed acqua, e lo trasformò in albergo. Nel 1958 costruì un nuovo albergo e aprì la prima sciovia della zona.
Ma sull’Altopiano di Brentonico è conosciuto come “Quel dei zirmoi” (quello dei cirmoli). Trent’anni fa infatti si lanciò nella folle impresa di rimboschire da solo il Monte Altissimo di Nago. Una montagna che lui ha aveva sempre amato profondamente, fin quando da ragazzino vi saliva per le sue escursioni solitarie. Nel 1969 gli capitò il colpo di fortuna: seppe che Malga Pesna era in vendita, e con essa praticamente tutto il fianco est della montagna fino alla cima, oltre il Rifugio Damiano Chiesa. Un sogno! Si precipitò dal proprietario e dopo una rapida trattativa concluse l’affare all’insaputa della moglie Bruna, che quando lo venne a sapere si mise a piangere. “Non la voglio!” disse in lacrime pensando a tutti i patimenti già passati. Ma Augusto era testardo come un mulo. L’albergo ormai era avviato, andava avanti praticamente da solo grazie ai figli.
Sentiva ormai di avere una missione da compiere, la missione della sua vita: proteggere la sua montagna, custodirla, difenderla dalle intemperie e dalle valanghe. Iniziò a rimboschire, da solo. Quando raccontò delle sue intenzioni ad un ispettore forestale, questi gli ribatté quasi beffardo: “Te voi piantàr en bosc su quei quatro crozi?” (vuoi piantare un bosco su quelle quattro pietre?). In effetti all’epoca il fianco est dell’Altissimo era brullo e desolato, nell’inverno spazzato continuamente dai venti e dalle valanghe. Anche stavolta Augusto non si perse d’animo, continuò quasi come un forsennato la sua opera, piantando migliaia di alberi su un terreno magro, scavando col piccone e cercando dove c’era più terra, che però era sempre scarsa. Iniziò con larici, abeti e betulle.
Un giorno gli regalarono dei cirmoli, e lui si innamorò subito di questa splendida conifera d’alta montagna, forte ed elegante, anche se non era tipica della zona. Realizzò anche un grande vivaio per poter incrementare il numero di piantine per rimpiazzare quelle che non sopravvivevano. Ne piantò a migliaia, senza sosta, lavorando ogni volta che era possibile, anche di notte, con qualsiasi tempo. Andò a comprare i cirmoli perfino in Austria quando il suo vivaio si esaurì. Purtroppo una buona parte delle piante moriva per mancanza d’acqua. Decise allora di costruire un vascone sulla montagna nel quale convogliare l’acqua piovana, per placare la sete dei suoi alberi. Gli sperati contributi provinciali però non arrivavano, mentre la siccità continuava e le sue piante morivano una dopo l’altra. Decise di costruirlo da sé, a spese sue. Stese da solo tremila metri di canalizzazioni sul fianco scosceso della montagna per far arrivare l’acqua dove serviva, costruendo anche i pozzetti con le relative diramazioni. Quando il vascone fu terminato poté irrigare i suoi alberi: finalmente non morivano più di sete!
Intanto continuò ad acquistare i terreni vicini per ingrandire la proprietà. Comprò a caro prezzo anche l’appezzamento della “Sella” pur di poter completare il rimboschimento. Divenne così “l’uomo dei cirmoli”. Sull’altopiano tutti ormai lo conoscevano per la sua folle impresa. Dopo la diffidenza iniziale i paesani, che lo consideravano non del tutto sano di mente, presero a prenderlo in simpatia. Tanti ammiravano la sua caparbietà, la sua determinazione, la sua forza di volontà incrollabile. Ricevette degli aiuti, ed infine arrivarono anche i tanto sospirati contributi. Il suo sogno si concretizzò anno dopo anno.
Dopo trent’anni di lavoro, si calcola che abbia piantato circa mezzo milione di alberi su un’estensione superiore ai 100 ettari, gran parte dei quali sono ancora in vita e formano uno splendido bosco di cirmoli. Quando Augusto torna dalla montagna e qualcuno gli dice “Belli i tuoi cirmoli” lui ribatte pronto: “I nostri cirmoli!”. La montagna è sua ma lui la considera di tutti. Ad osservarlo meglio, somiglia lui stesso ad un cirmolo: alto, grande e fiero.
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