Otto anni fa ho deciso di abitare a Piné, un altopiano bellissimo tra laghi e montagne, alle porte del mio amato Lagorai. Mi sembrava di aver trovato un piccolo paradiso terrestre. In questi anni però ho potuto assistere con dolore ad una distruzione sistematica del paesaggio che ha quasi dell’incredibile. Una lunga serie di interventi scellerati ha devastato e sta devastando le bellezze del Pinetano un po’ ovunque.
Le rive del Lago di Serraia, la “perla dell’Altopiano”, sono state progressivamente disboscate: il piccolo ma magnifico parco di grandi alberi di oltre mezzo secolo della riva meridionale è stato raso al suolo per fare una insulsa spianata di porfido senza un filo d’ombra. Anche le bellissime piante che ombreggiavano la terrazza alberata con vista sull’Imbarcadero, uno degli scorci più suggestivi, sono state abbattute per fare posto… ad una rotatoria!
Il Lago di Serraia da 4 anni è ridotto ad un cantiere perenne che si presenta puntualmente ad ogni estate nel suo massimo squallore: mi chiedo come facciano a venire ancora i turisti, a passeggiare sul lungolago senza più un albero, tra ruspe, camion, reti di plastica, mucchi di ghiaia e inferriate. Un “harakiri” turistico che lascia stupefatti. Ma coloro che vivono di turismo sull’Altopiano non hanno nulla da dire? Ho parlato con alcuni villeggianti che sono tornati dopo qualche anno di assenza, erano ammutoliti, sconvolti dalla distruzione del lungolago: “Era così bello prima, ma perché?” chiedevano sconfortati. Il cosiddetto Servizio Provinciale del ripristino ambientale e valorizzazione della natura“ (sic!) si è accanito anche sulla sponda sud orientale, riempita addirittura di macigni per creare una demenziale scogliera che non c’entra nulla col contesto, ed è orrenda non solo alla vista ma anche pericolosa coi suoi sassi affilati. Ma perché? Qualcuno doveva smaltire degli inerti? Ma è una spiaggia o una discarica? O forse non si sapeva come spendere tutti i quasi 600.000 euro dell’opera pattizia?
Poco a monte del Lido sono stati tagliati i maestosi abeti sulla riva che donavano ombra e frescura in una zona del lago tra le più belle. Al loro posto è stata realizzata una banale spiaggetta con ghiaino che ovviamente non usa nessuno: chi si fa cuocere il cranio in estate sotto il sole? Anche il bel bosco spontaneo del biotopo della riva orientale, dove la sera era possibile ammirare i caprioli che scendevano sulla riva protetti dalla vegetazione, è stato in gran parte tagliato, come il canneto, sconvolgendo inutilmente un habitat prezioso per la fauna.
Altri squarci nel bosco sono stati aperti a nordest del lago, gabellati anch’essi come “riqualificazione ambientale”, locuzione sinistra che è ormai diventata sinonimo di scempio sicuro. Un turista, osservando sconsolato lo sterminio di alberi sul costone, mi ha chiesto se stavano costruendo una pista da sci! Ora è in progetto un’assurda colata di cemento proprio sul lungolago, per fare il mostro edilizio della nuova biblioteca sovracomunale.
Questo massacro sistematico del paesaggio pinetano purtroppo non è limitato al lago di Serraia ma è diffuso un po’ ovunque. I meravigliosi boschi di Piné sono spesso uno sfacelo dove regna l’incuria più assoluta: ci sono schianti che nessuno rimuove da anni, anche sui sentieri. Eppure, a pochi metri da centinaia di alberi crollati o secchi, si continua a tagliare come forsennati alberi maestosi e sanissimi di 50-60 anni, meglio ancora se vicino a strade e forestali, dove la legna è più “comoda” e quindi costa meno. Si porta via il legno pregiato e si lasciano sul posto montagne di ramaglie e il legname di scarto che rendono impraticabili le zone esboscate, che nel giro di un paio d’anni sono invase da rovi e cespugli.
Anche la piccola pineta di fronte allo Chalet della Mot è stata inutilmente massacrata: i grandi alberi di oltre cinquant’anni che ingentilivano il paesaggio sono stati abbattuti, il vento ha poi completato l’opera sradicando gli alberi superstiti grazie ai varchi aperti nella vegetazione. Geniale! Quella che era una delle più belle strade del Trentino tra Valt e Baselga, un angolo di “Canada” con boschi lussureggianti dove i turisti si fermavano volentieri al fresco o andavano per funghi, non esiste più: è stata desertificata da disboschi a più riprese. Ora è ridotta ad uno squallido stradone dove spicca per bruttura la spettrale voragine nel bosco dove sono state riversate le tonnellate di fango della frana di Campolongo.
Lo spazio liberato dalle “fastidiose” pinete è poi puntualmente occupato dalla ferraglia e dai teli di plastica delle serre per le coltivazioni di fragole, che avanzano ovunque ad imbruttire ogni angolo di paesaggio. Le fragole “trentine” sono coltivate fuori terra, infilate direttamente nei sacchetti di terriccio e fertilizzanti provenienti dall’Olanda: l’incantevole frazione di Prada, un tempo nota per i suoi prati ameni, è ormai circondata dalle serre, in un paesaggio desolante con chilometri di teli, montagne di sacchetti di plastica lungo le strade di campagna, cumuli di terriccio esausto, pali di ferro, tubazioni di plastica, rottami vari.
La misconosciuta forra del Rio Negro nei pressi, che sarebbe una fantastica attrazione turistica a pochi chilometri da Baselga, è degradata ad una discarica: nel torrente ci sono bidoni, plastiche varie, perfino copertoni di camion e centrifughe di lavatrici. Le serre assediano perfino il celebre “Laghestel”, il primo biotopo del Trentino che fu istituito, evidentemente con lungimiranza d’altri tempi, nel lontano 1971 proprio dal Comune di Baselga di Piné.
Un naturalista mi ha detto che il 90% delle specie tipiche di palude è andato perduto a causa del carico antropico circostante. Ovviamente non ce l’ho con chi coltiva le serre arrotondando l’economia famigliare, ma possibile che l’ambiente non sia minimamente considerato da nessuno, men che meno dall’amministrazione? Ultimo scempio in ordine di tempo: la magnifica pineta del Doss dela Mot, attraversata da uno splendido sentiero che conduceva ai ruderi del misterioso e antichissimo castelliere (tra i più antichi del Trentino), è stata sventrata dall’Asuc di Miola con un terrificante disbosco per “cambio di coltura”. Si farà un’area agricola “di pregio” (sic) per gli allevatori. La meravigliosa passeggiata, le postazioni di tiro con l’arco e il sentiero coi cartelli realizzati dagli scolari di una scuola media che illustravano la suggestiva “leggenda medievale di Jacopino”, sono stati travolti e rasi al suolo senza tanti complimenti.
Pare che l’amministrazione pinetana abbia pensato un folle progetto per “ricreare il paesaggio degli anni ‘20”: cioè tagliare il bosco per fare prati. Ma che senso ha sconvolgere il territorio per ricreare quei paesaggi artificiali che erano la conseguenza di una società agricola che oggi è scomparsa da un secolo? C’è poi questa specie di ossessione, questo luogo comune ripetuto a pappagallo da molti anziani ma anche da qualche giovane che ha orecchiato il concetto, del “bosco che ti entra in casa” o che “si mangia i pascoli”. Ma se il bosco avanza e si riprende i suoi spazi naturali, questo accade proprio perché i pascoli sono stati abbandonati! Distruggere il bosco vagheggiando un improbabile ritorno alla pastorizia -ma di chi?- è non solo illusorio ma anche senza senso.
Forse sarebbe il caso di riflettere anche sui contributi per fare nuovi allevamenti di dimensioni “padane” che vanno a gonfiare ulteriori diseconomie senza possibilità di ritorno, esattamente come per gli impianti di sci. Imprese che stanno in piedi finché ci sono i finanziamenti pubblici. Nel frattempo si consuma territorio, si distrugge paesaggio. A beneficio di chi?
Piné sta distruggendo alacremente quello che è (era?) il suo bene più prezioso: il paesaggio e l’ambiente. Sorge allora spontanea una domanda: si è deciso forse di rinunciare al turismo? Si può certamente decidere di tagliare le pinete per fare serre, capannoni, cave, discariche di inerti eccetera. Ma in un piccolo territorio come quello pinetano non si può mettere tutto e il contrario di tutto: il biotopo e le serre delle fragole, le pinete e le cave di porfido, i capannoni e le passeggiate. Continuare a devastare il paesaggio e l’ambiente, somiglia molto a chi sega ostinatamente il ramo su cui è seduto.
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