Rocce, neve e acqua nella conca valliva del vecchio mulino sul torrente Centa Gli amici e gli amori sono scesi in città, richiamati dagli impegni mondani, mentre io posso rimanere ancora un un paio di giorni a godermi la montagna, prima di tornare all'irrimediabile piattume nordico. Da qualche tempo avevo intenzione di attraversare l'
Altopiano di Lavarone per tutta la sua estensione. Non è certo un'escursione generosa nel soddisfare l'occhio assetato di panorami mozzafiato, data la natura carsica dei monti in questione, ma il fatto d'essere da solo mi permette di non dovermi preoccupare delle aspettative altrui. Inoltre, il legame affettivo con queste montagne è per me tanto forte da rendere irrilevante il grado di bellezza dell'ambiente circostante, che comunque, attraverso i fitti boschi, acquista un che di magico e fiabesco. Così, in data lunedì 5 Gennaio alle 8:30, parto da
Masetti (1157m) e percorro la strada che collega l'antico borgo al
biotopo di Malga Laghetto (1193m), dove lascio l'asfalto e mi inoltro per un breve tratto nel bosco che costeggia ad est il piccolo lago.
In partenza da Masetti (1157m), l'ambiente circostante e la tranquilla strada alla luce del primo mattino.Malga Laghetto (1193m): il laghetto ghiacciato e il sentiero che lo costeggia. Dopo qualche minuto di cammino, mi imbatto nell'
Avez del Prinzep, l'abete più grande d'Europa. Attorno ad esso è stata imbastita una zona pic-nic con dei bei tavoli in legno massiccio, ottima per gite domenicali con bambini annessi.
L'Avez del Prinzep, con i suoi 244 anni, 54m di altezza, 1,60m di diametro e 5,60m di circonferenza.La zona pic-nic che circonda l'abete bianco più grande d'Europa. Procedo oltre, sbuco dietro all'ex
Albergo Monterovere (1255m), da qualche tempo tristemente chiuso. Noto con piacere che nella valletta antistante, da alcune baite che avevo sempre visto chiuse, si alzano dei pennacchi di fumo, segno inequivocabile di un recente reinsediamento. Sopra di queste, svetta
Cima Vezzena (1908m), altresì conosciuta come
Spitz di Levico.
La vista verso est da Monterovere (1255m), sulla sinistra si staglia l'inconfondibile Cima Vezzena (1908m). Percorro un breve tratto di strada asfaltata che mi porta all'imboccatura del
sentiero 220 che mi porterà fino alla boscosa sommità del
Monte Cimone (1525m). Il sentiero comincia come tratturo poco pendente immerso nelle conifere, per poi ridursi ad una traccia tanto ben marcata e segnata, quanto assai più pendente.
La prima parte del sentiero 220. A quota
1441m effettuo una piccola deviazione sulla destra del sentiero per ammirare quel che giustamente è segnato come
Belvedere, un punto panoramico mantenuto ottimamente sui laghi di
Caldonazzo e
Levico, sulla
Valsugana e sui monti circostanti.
La vista dal Belvedere (1441m): da sinistra a destra si vedono il Gruppo del Brenta con sua Maestà Cima Tosa (3159m), la Marzola (1738m), i laghi di Caldonazzo e Levico, il Monte Fravort (2347m), Cima d'Asta (2847m), il Colle di Stanga (1532m) e Cima Vezzena (1908m). Dopo gli scatti di rito, mi rimetto in cammino ed in 40 minuti circa raggiungo la cima del
Monte Cimone (1525m), dove mi fermo per qualche istante soltanto, vista la scarsa panoramicità del punto. Da qui in poi la segnaletica si fa più scarsa, tanto che, per andare nella giusta direzione, dovrò per più volte fare il giro della cima. Voglio credere che una tale approssimazione nelle indicazioni (addirittura alberi che dovevano fare da segnale segati ed accatastati al suolo) sia dovuta alla stagione invernale e che prima della bella stagione venga data una sistemata generale.
L'ultima parte del sentiero 220 e la croce del Monte Cimone (1525m) vista da poco più in basso. Prima di scendere sul ripido versante ovest del Cimone, scendo un poco verso sud e mi fermo ad ammirare il fiabesco altopiano di Lavarone sotto il freddo sole invernale.
L'altopiano di Lavarone visto da poco sotto la cima del M.te Cimone. Oltre la Valdastico, da destra a sinistra si vedono: il massiccio della Vigolana col suo Cornetto (2060m), Cima Valdritta (2218m), il Col Santo (2112m) e il Col Santino (2122m), Cima Palon (2232m), la Costa d'Agra (1820m), il Monte Toraro (1897m), Cima Valbona (1864m), Monte Campomolon (1853m), Monte Melignone (1528m), lo Spitz di Tonezza (1694m) e, tutto a sinistra, il Monte Cengio (1354m). Sono le 10:40 circa quando mi avvio per il
sentiero 222 o del
Tamazòl, difficile da seguire scendendo dal Cimone fino a dopo il breve tratto di strada forestale proveniente da Slaghenaufi che io seguo verso nord per un breve tratto. Riprendo dunque a scendere rapidamente, il sentiero si stacca dal tratturo e scende a capofitto verso nord-ovest, diretto al
Col dele Albarele (620m).
Le caratteristiche salienti del sentiero 222, che collega la cima del Monte Cimone (1525m) al Col dele Albarele (620m). Il sentiero, per una ventina di minuti, si trasforma in una via ferrata. La natura carsica del luogo dà vita a visioni spaventose: la roccia, apparentemente solida, è in realtà un cumulo di sabbia compressa pronta a sbriciolarsi al comando degli agenti atmosferici. Avere la sensazione che dove cammini, da un momento all'altro, possa aprirsi una voragine come quella nella foto successiva
non è una bella sensazione!
La montagna carsica va in pezzi. Dopo il tratto attrezzato, qualche minuto tra le
albarele dell'omonimo colle e trovo un altro bel tavolo dove posso consumare un paio di panini e riposarmi per mezz'oretta.
Riparto verso le 13:00 e scendo fino al bivio col
sentiero 219, che altro non è che l'antichissima
Strada della Val Careta. So che il sentiero è chiuso da anni, ma non ne conosco le condizioni personalmente, per cui decido di tentare nonostante l'inagibilità dello stesso e mi dirigo verso sud. La vecchia strada mi porta ad un capitello dedicato a S. Antonio a quota 710m, dove campeggiano vari segnali e reti circa la pericolosità del tratto successivo. "Tentar non nuoce" penso, mentre oltrepasso le barriere.
La prima parte della Strada della Val Careta e gli avvertimenti della SAT. Il sentiero è palesemente in disuso da anni, presenta molti punti franati e le uniche tracce di esseri viventi sono le orme e gli escrementi (in quantità industriali!) di camoscio. Molti chiodi sulle pareti, ma pochissimo cordino. Alcuni dei chiodi vengono via se tirati, la montagna è friabile come un frollino. A farmi compagnia ci sono pietruzze di varia dimensione che cadono dall'alto.
Il sentiero 219, ormai in disuso da anni. Dopo circa un'ora, tuttavia, la mia speranza di raggiungere l'altopiano per questo percorso viene meno: d'improvviso, infatti, appare dinanzi ai miei occhi quello che temevo ma pregavo di non incontrare, una gigantesca frana che ha letteralmente spazzato via la traccia e reso invalicabile il passaggio. Anche le tracce di camoscio si interrompono. Giusto prima della cadente struttura un tempo adibita al cambio dei cavalli, a metà strada, quota 835m. Non rimane altro che tornare indietro.
L'antico cambio dei cavalli (ex Osteria alla Stanga 835m), non più raggiungibile da questa parte del sentiero a causa di una imponente frana. In circa 40 minuti ritorno al capitello e scendo per il 219 percorso nel verso opposto fino a quota 577m, dove prendo sulla sinistra un tratturo che mi porta ad
Aonè (525m). Il malumore del sentiero interrotto viene rapidamente sostituito dall'ilarità del nome della frazione. Per la successiva mezz'ora, forse in preda a deliri causati dalla solitudine, articolo
Aoné in tutti gli accenti e in qualsiasi contesto. Ah, la filologia vernacolare!
Per un breve tratto percorro la
SP108 fino a
Maso Paldàofi (563m). Di lì giro a sinistra e mi immetto sul
sentiero 217, che inizialmente costeggia il
Torrente Centa, rendendo questo ripiego decisamente degno della scelta iniziale, se non superiore per la poetica bellezza. Per tutto il primo tratto, prima di inerpicarsi sul versante nord della
Valle del Centa, il sentiero è corredato di tavole e cartelli che illustrano caratteri della flora e della storia locale. Mi ripropongo di tornarci in estate, con più tempo, per leggerli uno ad uno. Una nota di merito va all'amministrazione comunale, il
Parco Fluviale del Torrente Centa è uno scrigno di sorprese.
Il Torrente Centa attorno alle 15:00. Come si vede, il sentiero è in realtà un tratturo ben curato e pianeggiante. L'incanto, come sempre, dura troppo poco: proseguo relativamente in piano costeggiando il letto del torrente fino al vecchio mulino. Nel guadare il torrente, un sasso su cui carico il peso del corpo si sposta quel tanto che basta per far sì che il mio piede destro finisca in acqua. Le pedule, per quanto buone, nulla possono se usate come
palombari ortopedici. Ergo, ho il piede zuppo. Ma la ripidezza del tratto a venire renderà l'umido sentire quasi benefico. Divina provvidenza!
Le rovine del vecchio mulino, quota 644m. Infatti, senza alcuna gradualità, il sentiero si inerpica dietro al mulino e poi su verso Lanzino, una via ancora più antica della Val Careta (le prime notizie su questo percorso risalgono al 1192), che in un'ora circa, oltre a farmi vedere molti santi e certe Madonne, mi porta su di quasi 500m attraverso scenari che mi incantano e mi impongono di fermarmi e scattare qualche foto nonostante la stanchezza e l'incombente oscurità.
L'ardito architetto che è la Natura. Nel salire incrocio un altro bel capitello dedicato a S. Antonio ed una croce di cemento. A quota 1000m, la pendenza torna a livelli più umani. Accelero il passo, il tramonto è ormai inoltrato.
La ripidità del sent. 217 e le meraviglie dell'inverno. Da notare che, nel torrente nella terza foto, sotto lo spesso strato di ghiaccio si sentiva un deciso scrosciare di acqua corrente. Finalmente, coi piedi doloranti e le riserve d'acqua al minimo, sbuco sulla famigerata Strada della Val Careta, che in una manciata di minuti mi porta poco prima di
Lanzino (1178m), frazione di Lavarone. In mezzo chilometro raggiungo la contrada, dove mi disseto alla fontana di
acqua di sorgente non controllata ed aspetto i familiari che di lì a poco arrivano e mi portano a casa.
Lanzino (1178m) e la fontana di contrada. Mi sono tolto una bella soddisfazione: frequento l'altopiano da quando sono nato ed è stato un po' come qualcosa tra me ed esso, un po' di tempo trascorso con uno dei miei più vecchi e cari Amici.
Lunghezza percorso (senza deviazione per sent.219):
17,3kmDislivello:
1200m circa sia in salita che in discesaTempo impiegato:
9h30minIn allegato la traccia del percorso in formato kml.