Il sentiero attrezzato di val ScuraLa recente nevicata in quota e la scarsa volontà di pestolare ancora neve, mi hanno suggerito un diversivo a bassa quota. Studiando le carte mi è caduto l’occhio sui ripidi e selvaggi versanti delle
Cime della Valsugana. Versanti a me totalmente ignoti e quindi particolarmente interessanti. Decido per il
sentiero attrezzato di Val Scura. So che quei versanti sono assai franosi: non è un’idea brillantissima percorrerli dopo i violenti nubifragi tra venerdi e sabato, che possono aver fatto franare i costoni instabili ma anche averne messi "in moto" degli altri. Decido di provare, poi sul posto si vedrà. Porto imbrago e casco.
Parcheggio all’albergo Vedova alle Lochere m 500, quindi mi inoltro lungo la strada asfaltata, dopo mezzo km al primo tornante si stacca una stradella (non ci sono indicazioni) che si inoltra nella
selvaggia Val Scura incassata tra le rocce e altissime pareti a picco. Dopo un altro km un grande cartello messo dalla Sat avvisa del percorso pericoloso.
La strada diventa presto sentiero che risale i pressi del greto del torrente, attraversandolo più volte. Iniziano i tratti attrezzati, abbastanza brevi e intervallati spesso da facili tratti di sentiero nel bosco. Sul percorso incombono selvaggi versanti, pinnacoli di roccia, ghiaioni e ripidissimi colatoi. Metto il casco, non si sa mai. La traccia percorre quindi un tratto di torrente dove con una serie di scalette si superano grossi macigni quindi si passa sul ripido versante orientale che si risale per sfasciumi nel bosco fitto con l’aiuto di funi e scalette di ferro. Superato questo tratto si percorre una valletta boscosa per arrivare ad una specie di poggio dove c’è una cavernetta con una sorgente d’acqua freschissima. Si prosegue ora in costa sul ripido versante trovando forse il passaggio più esposto: un breve traverso su roccia con cordino, dove però l’unico appoggio sono delle staffe infisse in parete. Si raggiunge quindi un colatoio ghiaioso e scivoloso, in parte franato, che però si supera bene grazie alle corde fisse. Seguono altri brevi tratti esposti, col sentiero in parte ancora franato, che si passano con attenzione senza grossi problemi grazie alle corde. Non ho messo l’imbrago ma forse avrei dovuto metterlo: se ti cade un sasso addosso e perdi la presa ciao... Ancora in costa o quasi si percorre una cengia ghiaiosa, si cala un po’ di quota e poi si risalgono infidi canalini franosi. Le corde comunque tolgono ogni impaccio nei tratti più pericolosi. Ci si affaccia quindi in un
grande e selvaggio anfiteatro roccioso con
una bella cascata. Sento il fischio caratteristico del camoscio, alzo lo sguardo e ne vedo un paio scappare su dei roccioni sopra la mia testa. Il sentiero ora corre pianeggiante verso la cascata, quindi cambia versante verso l’uscita. In mezzo alla conca c’è un macigno colossale grande coma una palazzina. Arrivo alla targa commemorativa del sentiero, intitolato all’alpinista Clemente Chiesa. Si cambia ancora versante, si transita sotto al macigno-palazzina e si prosegue dentro una piccola gola rocciosa con
un’altra bella cascata. Ancora si sale per mughi e finalmente si sbuca nel bosco. La salita è finita. Si percorre in piano la strada fino ad una radura dove si intercetta una strada forestale coi cartelli coi sentieri. Una delle idee iniziali era di poter rientrare col sentiero 202 ma la gamba è ancora buona e decido quindi di puntare a
Cima Vezzena m 1908, anche se il cartello con “2h 40” min mi provoca in vago scoramento. La forestale prosegue nel bosco con pendenza modesta, arrivo alla bella radura con la
Baita Sat del Cangi m 1398, quindi sempre seguendo la forestale per alcuni km si sbuca nei bellissimi
alpeggi sopra Malga Verle m 1500 circa. Di qui si prende il sentiero per Cima Vezzena che sale ripido e assolato per il crinale sud ovest.
Cima Vezzena, o Piz di Levico, m 1908 è assediata da un vociante gruppone di non so dove, bisogna fare la fila per la croce. Fin qui sono 1500 m di dislivello, non male per essere la prima uscita “seria” della stagione.
C’è il solito clamoroso panorama, esaltato da una giornata particolarmente limpida, una meraviglia. Dopo una discreta sosta per foto e breve rifocillo, torno indietro a Malga Cangi e quindi affronto la lunga discesa per il
Sentiero del Menador, facile e molto bello (ma dal fondo insidioso con fogliame scivoloso) e, credo, camminamento molto antico come si intuisce dalle vecchie massicciate, da un bel capitello affrescato lungo la via e da un casone che una vola era il “Dazio”. Ci sono anche
due comode sorgenti per rifornirsi d’acqua. L’ultimo tratto del percorso in basso che attraversa dei costoni franosi è stato sistemato molto bene con scale, ponticelli, barriere di contenimento.
Arrivato a S. Giuliana m 499, per pigrizia non guardo la carta e sbaglio strada allungando un po’ il traversone per tornare al parcheggio dove ho la macchina. Non che ce ne fosse bisogno, alla fine della giornata saranno 25 km per circa 1500 m di dislivello.
Ferrata Valscura e Cima Vezzena m 1908 at EveryTrail