Nell’unico giorno decente delle mie ferie scelgo come mèta il sentiero attrezzato della Val Scura, con discesa lungo il Menador vecchio.
Esso sale lungo la valle correndo ora in destra ora in sinistra orografica, con alcuni passaggi del rio Bianco, che tiene magistralmente fede al suo nome. La quantità d’ acqua è notevole e ogni attraversamento è sempre delicato, da fare con attenzione, pena finire in ammollo fino alle mutande.
Eccone uno:
Il canto rombante dell’acqua è compagno fedele durante la salita. La Val Scura qui tanto scura non è, chiusa da alte e biancheggianti pareti calcaree.
Inizio della val Scura
Nebbie in Valsugana
Tratti quasi pianeggianti
si alternano a strappi ripidi che non concedono respiro. In questa prima parte il sentiero si immerge talvolta in boschi verdeggianti e ancora ben umidi.
Usciti dall’ultimo bosco, in sinistra orografica, un pendio ghiaioso estremamente ripido porta ad una selletta dove appaiono i primi infissi.
Si comincia. Indosso l’abito da cerimonia, infilo il casco, e proseguo. Il sentiero traversa il brullo fianco della montagna e scende per l’ennesimo guado del rio Bianco. Al di là, scale metalliche e cordini d’acciaio facilitano la salita anche se non ci sono né esposizione né strapiombi né verticalità.
Il sentiero si stacca ora dal torrente. Riprende il bosco, erto e scivoloso,
fino ad una radura aperta sotto appicchi vertiginosi. Qui, d’un tratto, il frastuono dell’acqua cessa del tutto: al suo posto un silenzio meraviglioso, e ve lo dice uno che di silenzi se ne intende.
Dopo uno strappetto, inizia la parte tecnicamente più impegnativa. Prima un traverso su staffe,
poi ancora una paretina con cavi metallici,
quindi scala, breve cengetta,
e doppia scala fino ad una piccola forcella.
Si scende per ripido colatoio, si passa un valloncello, si risale al di là con aiuto di cavi e una nuova doppia scala raggiunge una solitaria selletta.
Da qui si vede il guard-rail della provinciale, nel punto che mi pare si chiami "el bus de la vecia".
Appare in basso l’ampio e brullo catino dal quale il rio Bianco comincia la sua discesa verso la Valsugana. Luogo di selvaggia solitudine popolato da innumerevoli sassi.
Si scende su terreno ghiaioso, senza infissi, e si traversa in direzione della testata della valle. A sinistra ecco una prima bianchissima cascata verticale.
Qui spariscono anche i segnavia SAT. Dopo una breve perlustrazione, attraverso il torrente, risalgo i sassi e ritrovo il segnavia. Una paretina attrezzata porta a riattraversare per l’ultima volta l’acqua.
La salita finale nel bosco concede la suggestiva visione della seconda candida cascata, quella superiore.
Arrivato a Monterovere, mi dirigo alla baita del Cangi (SAT di Levico), dove in assoluta quiete e solitudine, mangio il mio panino con lo speck.
La discesa verso valle avviene sull’antico sentiero del Menador.
E' un percorso senza alcuna difficoltà, che scende sul fianco della montagna, lungo la val Pissavacca,
dove scorre un baldanzoso torrentello. Si passa da un capitello dedicato alla Vergine e “tatuato” dai soliti minchioni, il cui nome…
Più in basso si attraversa il torrente, che non è all’altezza del rio Bianco come portata, ma ha anch’esso con la sua dignità come creatore di cascate.
Si attraversa una terza volta per riportarsi in modo definitivo sul versante est della valle. Il sentiero scende con dolce dislivello
e abbandona decisamente la val Pissavacca portandosi verso est. In questo tratto si capisce la sua vera identità: strada militare, sostenuta in alcuni punti da poderosi muri di pietra squadrata. L’ultima parte in campo aperto taglia un vasto e bianco ghiaione.
Ponticello su canalone
Il bosco ceduo finale, con le case di s. Giuliana già in vista, mi porta all’asfalto. Passeggiata agreste alle Lochere da dove risalgo al primo tornante della SP di Monterovere e raggiungo l’auto.