Vi racconto “brevemente” di questa super ravanata e di come alla fine in realtà sia difficile e costi saper rinunciare.
Di ritorno dal Nepal e già in partenza per la Cina, riesco a strappare al mio amico Luca una ravanata mortale; può solo venerdì e sabato, quindi richiesto un permesso al lavoro, alle 5 del mattino di venerdì ritrovo a VR nord, e via verso Santa Caterina Valfurva fino all' albergo dei Forni...dove la nostra intenzione è quella di salire fino al Monte Vioz, rimanere a dormire al bivacco invernale e il giorno seguente affrontare la traversata al San Matteo e poi ridiscendere alla macchina. Per il sabato mattina le previsioni meteo non erano delle migliori, ma confidando nel fatto che l'instabilità del tempo era prevista verso la tarda mattinata e nel fatto che non ci fosse una vera e propria perturbazione in arrivo, parto abbastanza fiducioso, il mio compare meno
, con la consapevolezza del fatto che, tempo inclemente, saremmo potuti comunque scendere per la via di salita senza affrontare l' intera traversata. Alle 10:00 circa arriviamo a Santa Caterina dove, ahimè, la strada è bloccata dai lavori in corso e una lunga fila di imprecatori, noi compresi,
si sta spazientendo aspettando che si liberi... Questo primo imprevisto ci fa ritardare di una buona ora, ma finalmente verso le 11, sotto un sole cocente, riusciamo a partire sci in spalla lungo la forestale che porta al grazioso rifugio Branca, terrazzo spettacolare sul ghiacciaio dei Forni. Qualche escursionista estivo con famiglia ci guarda con curiosità, rispondendo alle domande stupite dei propri bambini.
Dopo una buona coca al rifugio, soli, ci incamminiamo lungo l'infuocata morena sotto il sole di mezzogiorno e ben presto il rifugio scompare quando il sentiero si inerpica ripidamente verso sinistra a scavallare una sella di detriti e massi erratici che milioni e milioni di anni hanno reso una vera e propria montagna.
Alla quota di circa tremila metri, passando di fronte a mostruosi seracchi che sottolineano il grande cambio di pendenza, raggiungiamo la lingua del ghiacciaio che sale al Palon de la Mare. Qui dopo un pranzetto veloce e una rinfrescata con l'acqua di fusione che scorre copiosa, calziamo gli sci e con quella monotonia che rende lo sci così affascinante, riprendiamo la salita lungo un maestoso e docile pendio. Il sole brucia e le nuvole ogni tanto regalano un po' di ombra e vento, ma è veramente caldo e la fatica si fa sentire...in alcuni tratti fatti a "conca" la neve è marcia e quindi pericolosa perchè può nascondere l'insidia di un qualche crepaccio.... Dopo un ripido pendio, al cambio di pendenza procediamo legati, poichè sono visibili numerosi crepacci, fino a giungere a quella che è la spalla E-NE del Palon a quota 3500m e guardando oltre ci accorgiamo di essere saliti troppo, ora siamo sulla lingua che conduce al Palon quando avremmo dovuto scavallare a quota più bassa per un canalino roccioso per ritrovarci su quella parte di ghiacciaio che sale alla Linke e al Vioz. Dalla spalla è possibile scendere sul ghiacciaio sottostante solamente attraverso un ripido canale con esposizione a sud e neve marcia e pessima. Proviamo a cercare un passaggio sulla linea di crinale per cercare di perdere meno quota, ma non c'è verso e alla fine ci tocca affrontare il canale che ci porta via un bel po' di tempo, quota ed energie... Verso le tre del pomeriggio siamo sul ghiacciaio a nord del Vioz, a quota 3300 circa, un gigantesco pendio abbastanza piatto che con gli ultimi sforzi ci fa lambire prima cima Linke e poi infine la cima scoperta del Vioz. Grande soddisfazione, la nuvolosità pomeridiana anche se ci nasconde in parte l'immenso panorama, è addirittura preferita per il refrigerio agognato che porta con sè, ci guardiamo intorno prima di scendere a sud, verso Peio: non c'è nessuno, dopo il rifugio Branca non abbiamo incontrato anima viva, nè un animale, nè un corvaccio, nessuno. In piccolo e con l'umiltà di sciocchi uomini di città che vanno fuori porta, quasi con imbarazzo, immagino come un bambino le emozioni che hanno provato gli uomini in altri tempi durante le grandi e ignote traversate e ne assaggio un frammento. Anche il rifugio Vioz deve ancora aprire e quindi siamo completamente soli, dopo la breve discesa di roccette verso le cinque di sera saliamo all'accogliente e pulito locale invernale e dopo aver scaldato un po' la neve per fare acqua, fatto due battute e scaldato due tigelline con prosciutto e formaggio sul fornello
, schiacciamo fino alle otto uno tra i pisolini migliori della nostra vita....
La sera ci scaldiamo un risotto disidratato, parliamo rigorosamente di montagna, dei progetti per il giorno successivo: avevamo addocchiato una discesa ripida dalla pala nord di Punta Cadini, sogni ad occhi aperti, ci godiamo il silenzio e il tramonto, che prepotente entra dalla finestra del grazioso locale. All’improvviso si alza un vento impetuoso, che ricorda le frane e le valanghe e anche il terremoto. Un vento che ci ricorda che siamo appollaiati su un crinale in alta montagna, che sembra voler sradicar le rocce, ma comunque, come se fossimo in realtà finalmente tornati a casa nostra, dopo poco sprofondiamo senza fatica in un sereno sonno ristoratore. La sveglia è alle quattro e mezza, guardiamo fuori dalla finestra, il cielo è velato, nel primo chiarore del mattino decisamente plumbeo. Non facciamo in tempo a mangiare qualche biscotto che il vento ricomincia a tuonare e in pochi minuti, tutto il cielo si copre di grigio e in poco tempo le rocce scoperte del rifugio, la stessa finestra del bivacco, diventano bianche di grossi fiocchi di neve che soffia furibonda tutto intorno al rifugio. Ci rendiamo conto che le nostre velleità di traversate e discese ripide con gli sci sfumano immediatamente, anche perchè il meteo aveva previsto un peggioramento a partire dalla tarda mattinata e in parte l’avevamo messo d’acconto, anche se non ci aspettavamo una bufera di neve in piena regola alle cinque del mattino. Fatto sta che già la sera avevamo traguardato con la bussola la via di rientro, per l’evenienza di venir sorpresi dalla nebbia o dal maltempo, ma in questo caso le condizioni erano proibitive anche solo per muoversi. Il vento soffia troppo forte. Aspettiamo. In realtà è quasi piacevole, quasi come se fossimo davanti al camino. In fondo non siamo REALMENTE in pericolo e senza via di fuga, anche il ghiacciaio attraversato non è particolarmente pericoloso, non presenta punti ostici da attraversare né zone terribilmente crepacciate, si tratta solo di imboccare il passaggio giusto che porta da un bacino all’altro scavallando il crinale, quello che all’andata abbiamo accuratamente saltato. Dopo circa una mezz’ora il vento si placa anche se non smette di nevicare, ma decidiamo comunque di partire. Sono le sei, risaliamo al monte Vioz per le roccette ormai tutte imbiancate, e poi scendiamo verso il docile ghiacciaio seguendo dapprima le nostre tracce del giorno precedente e poi, una volta che queste si sono perse tra neve e vento, la traguardatura della bussola, mano a mano che ci allontaniamo dalla cresta rocciosa, la visibilità diminuisce e ben presto non vediamo più nulla; derapando scendiamo nel più totale whiteout, avendo avuto l’oculatezza di prendere le coordinate per eventualmente dovere risalire... Dopo poco ci accorgiamo che il pendio sul quale stiamo scendendo è troppo ripido, lo capiamo solo perchè la neve alzata dalla derapata rotola giù, nel grigio, molto velocemente. Dobbiamo risalire, ci rendiamo conto che non sarà facile scendere e ancora meno trovare il passaggio, siamo inzuppati dalla neve bagnata, e anche se non ci sentiamo in pericolo e non lo siamo, e abbiamo pensato che probabilmente il passaggio l’avremmo trovato, ci siamo chiesti quanto ci sarebbe voluto e se avevamo voglia di vagare per ore nel ghiacciaio sotto la neve con tutti i rischi connessi, considerato anche il fatto che il meteo prevedeva un peggioramento nel corso della giornata e quindi era inutile aspettare per un miglioramento. Infine, saggiamente, decidiamo di risalire al Vioz e di seguire il sentiero estivo che scende a Peio. Questo significa scendere con gli scarponi da sci e gli sci in spalla per 2200m di dislivello e poi dover abbandonare la macchina a una settantina di km di distanza con due passi di montagna, il Tonale e il Gavia, da dover affrontare chissà come per tornare a riprenderla. Detto fatto. Non è tardi e sotto i 2800 metri il tempo e la visibilità un po’ migliorano, la discesa sul sentiero innevato e ghiacciato tra neve e pioggia è abbastanza straziante, ma una volta giunti al Doss dei Cembri, ci rincuora la gentilezza del rifugista dell’omonimo rifugio che ci accompagna in fuoristrada fino alla cabinovia, che a Dio piacendo era funzionante e che prendiamo al volo, per un risparmio netto di 1000m di discesa! E così siamo a Peio e son solo le dieci della mattina....non vi racconto dell’odissea affrontata per recuperare la macchina, considerato che non esistono mezzi pubblici che attraversano dal Tonale al Gavia, infine arriverò a casa alle nove di sera dopo pìù di otto ore passate in strada, ma la beffa più grande di tutte è che dopo poche ore il tempo era volto al bello... alla faccia delle previsioni....