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e dal larcher al cevedale quanto hai impiegato per avere un idea?
Stupenda ascensione e che bel tempo hai trovato, Nantes...temerario per aver osato da solo questa traversata per ghiacciaio...anche su un itinerario come questo, malgrado la stagione indubbiamente buona, io rimango sempre a favore della cordata. Sarebbe stato ancor meglio per te se spezzavi il giro in due giorni per goderti più che altro una notte al biv. Colombo...
Infatti, AGH, quello che mi colpisce di Nantes, oltre alle qualità atletiche, ma di atleti in giro ce ne sono, è la tranquillità mentale che occorre per fare certe robe in solitaria. Notevole, davvero.
... Metti poi che caschi in un crepo e sei magari anche in braghe corte??? (nantes avevi i pant lunghi?). Metti che finisci in un buco, magari non ferito ma costretto a passarci la notte... a quelle quote si rischia davvero grosso...
.... la tranquillità mentale che occorre per fare certe robe in solitaria...
Malga mare – Larcher (2602m) 7.00 – 8.00 + 630m
Quando faccio questi percorsi, anche se non sembra, sono sempre attrezzatissimo; pantaloni lunghi e copripantaloni, pile, giacca termica, guanti, passamontagna, telo termico, ramponi, piccozza e 10 m di corda
La tranquillità è data da una serie di fattori, innanzitutto sono 35 anni che vado in montagna, negli anni 70-80 arrampicavo su vie classiche; poi conosco molto bene i miei limiti e andando da solo non devo confrontarmi con nessuno sulla scelta dell’itinerario o sul fatto di decidere se proseguire o meno; quando vedo davanti a me il percorso da fare provo quasi curiosità per quel che potrei trovare, se valuto che non posso proseguire cerco passaggi alternativi o al limite vie di ritirata; poi la velocità ha una parte importante, non tanto come prestazione quanto nel fatto che so di poter tornare indietro o tagliare per una ritirata in tempi rapidi.Poi la montagna stessa mi da un senso di serenità, mi sento a casa, quando devo fare un passaggio esposto o impegnativo focalizzo solo quel particolare senza considerare l’intero contesto in cui mi trovo.
Quando faccio questi percorsi, anche se non sembra, sono sempre attrezzatissimo; pantaloni lunghi e copripantaloni, pile, giacca termica, guanti, passamontagna, telo termico, ramponi, piccozza e 10 m di corda.La tranquillità è data da una serie di fattori, innanzitutto sono 35 anni che vado in montagna, negli anni 70-80 arrampicavo su vie classiche; poi conosco molto bene i miei limiti e andando da solo non devo confrontarmi con nessuno sulla scelta dell’itinerario o sul fatto di decidere se proseguire o meno; quando vedo davanti a me il percorso da fare provo quasi curiosità per quel che potrei trovare, se valuto che non posso proseguire cerco passaggi alternativi o al limite vie di ritirata; poi la velocità ha una parte importante, non tanto come prestazione quanto nel fatto che so di poter tornare indietro o tagliare per una ritirata in tempi rapidi.Poi la montagna stessa mi da un senso di serenità, mi sento a casa, quando devo fare un passaggio esposto o impegnativo focalizzo solo quel particolare senza considerare l’intero contesto in cui mi trovo.Posso dirti i tempi anche se sono molto soggettivi e dipendono anche dal terreno;
Non avevo dubbi sul fatto che fossi attrezzato, su quel terreno si deve assolutamente esserlo. Pensando al mio vissuto alpino per gli itinerari più diversi, condivido pienamente con TurboNantes che l'esperienza è molto importante. Io son cresciuto così, andando via e basta. Le teorie me le son fatte insegnare e ho continuato ad impararne di nuove da quelli più esperti di me, il fisico me lo son rinforzato andando via per anni in modo assiduo e mantenendomi sempre "in tiro"...ma non è mai bastato, perché le terre alte mi han sempre presentato comunque mille sfaccettate e situazioni dove mi son trovato a dover autonomamente decidere cosa e come fare in una determinato momento. Ma forse è proprio questo il bello, l'incognita del non-prevedibile. Quella variabile che da valle non sempre puoi metter a preventivo su un tavolino, da una guida o da una cartina, e che ti costringe a decidere di norma con la tua testolina...ma sul campo, senza ripensamenti. Il nocciolo quindi, non lo vedo nella arbitraria scelta personale di andare in solitaria per itinerari più o meno difficili, quanto nel esser consapevoli che esiste sempre e comunque un cosiddetto IMPREVEDIBILE. Lo si deve accettare soprattutto nel caso si vada via da soli. Così pure io ho fatto tante volte e continuerò probabilmente a farlo, perché andare in montagna è essenzialmente ...esperienza e decisione. Io vado per monti da soli 25 anni, posso però dire che non son pochi per come li ho vissuti io, ossia a livello - come dice qualcuno - di malattia. Ma la sicurezza, che a me tanto piace, è importante. Ed è un dato inconfutabile che non sempre l'esperienza può risolvere ed annullare l'imprevedibile di una salita. E neppur il saper di esser molto veloci, anche se tutto questo offre indubbiamente una maggior sicurezza e una certa serenità che porta a decidere nel modo migliore. Però un sassolino che cade, un crepaccio magistralmente coperto col "colore giusto", una masso che stava lì da chissà quanti anni che al improvviso decide di cedere al nostro passaggio, un malore fisico, una banale storta alla caviglia, un passaggio obbligato in cui non ci si sente di osare....e chi più ne ha, più ne metta...o no?!! Tutte esperienze che posson capitare soprattutto a chi va via con maggior frequenza, anche al più esperto, al più veloce ed al più temerario. Non calcolabili eventi, dicevo. Se sei in compagnia, forse ci si dà anche una mano...e magari te la cavi. Se sei da solo, te la devi invece saper risolvere...e in certe condizioni, non sempre è così scontato...
sintetizzando... è piu' sicuro andar via in due, ma, qualche volta, andar via da soli senza essere sicuri di tornare, è piu' eccitante...