Autore Topic: [PALE DI SAN LUCANO] Trekking di 2gg al Biv. Bedin  (Letto 24228 volte)

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Offline Matteo Nicolin

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ATTENZIONE: l'itinerario è stato temporaneamente compromesso dall'incendio e dall'Uragano Vaia dell'autunno 2018, informarsi della percorribilità presso i locali o scrivendo alla pagina Facebook Valle di San Lucano - Taibon - Dolomiti.

Grazie a valledisanlucano.it per la segnalazione.





Il biv. Bedin (2210m) poco dopo il temporale. Sulla destra le Cime (2296m).

GIORNO 1 - da Forno di Val al biv. Bedin - 5km ca, 1650D+, 6h

La sveglia suona ben prima dell'alba di lunedì 13 agosto e sancisce l'inizio della prima escursione di più giorni dell'estate 2018. Non ricordo bene l'ora a cui l'allarme interruppe il nostro sonno leggero, so solo che alle 6 di mattina stiamo già marciando con lo zaino in spalla. Vogliamo raggiungere il bivacco Bedin (2210m), che molti dicono essere il bivacco più bello dell'intera area dolomitica, attraverso il Boral della Besausega.
In tasca ho una buona relazione del Somari Team (aggiornata al 2012), che ci siamo studiati la sera prima. Il percorso si preannuncia impegnativo sotto diversi punti di vista, ma lo reputiamo comunque alla nostra portata, in più sembra ben collocarsi nel molto graduale incremento di difficoltà che in futuro ci permetterà – si spera – di raggiungere alcune vette che da tempo formano la linea dell'orizzonte dei nostri sogni alpinistici.
Dopo aver parcheggiato, raggiungiamo a piedi il limitare dell'abitato di Forno di Val (659m), frazione di Taibon Agordino, dove troviamo sulla destra il sentiero 765, che dapprima sale relativamente tranquillo verso una vecchia cava, ma nel giro di breve tempo si impenna verticale, lasciando la stradina sassosa in favore del sottobosco. È uno tsunami di sudore, sono le 6:30 circa ma già l'aria è indorata dalle fiammate del sole di ferragosto. Le fronde del bosco e la quota modesta (siamo ancora sotto i 1000m s.l.m.) poco o nulla possono contro la rabbia di quest'estate sempre più cocente, che di qui a qualche settimana brucerà anche il versante su cui ora noi arrancando coliamo.
Fortunatamente, dopo poco più di un'ora, la traccia aggira la montagna e si sviluppa lungo il versante ovest, che fino a mezzogiorno rimarrà all'ombra.


Quando il bosco si dirada, a sud ovest si stagliano i contrafforti dell'Agner (2872m).

Mi rendo conto mentre scrivo che sto operando una semplificazione inevitabile nei confronti del percorso che sto qui riportando, in parte a causa del tempo che è passato tra quei giorni d'estate e oggi, in parte proprio per la natura stessa del percorso: potrei in effetti riassumere buona parte di questo itinerario con una sonora bestemmia e risultare fedele alla sua essenza bastarda e impennata. Ma nella mia testa il 765 mi fa gli sberleffi, in una sequenza orgiastica di "istantanee" dove rincontro canalini infidi, guazzabugli di felci e rovi, incroci incestuosi tra questi due, pullulii di zecche, ossa lustre della carne che sostenevano… E ragni, tanti, enormi e variopinti ragni. Sulla traccia. Al punto che io e Daniele ci diamo ripetutamente il cambio ad aprire la via, perché dopo una manciata di minuti trovandosi le bestiole in faccia o sulle braccia la lucidità inizia a vacillare.



La traccia prosegue e dalle gobbe dei Piloi (1416m) si cala all'interno del Boral della Besausega, dapprima lungo le cenge da cui decollano lastre di roccia verticali, per poi raggiungere il Boral vero e proprio: valledisanlucano.it ci insegna che nel Ladino Locale Boral significa appunto "grande canalone valanghivo" (cit. in corsivo). Complimenti, definizione azzeccata in pieno.
In effetti, nelle relazioni da noi consultate prima di partire, si menzionava anche il fatto che il Boral si potesse facilmente riempire di neve e che data l'esposizione praticamente nulla impiegasse molto tempo a smaltirla. Noi troveremo un po' di neve solo tra poco, ma siamo partiti relativamente tranquilli perché queste sono settimane di fuoco – in senso letterale!
Quello che era un vallone si stringe sempre più, mentre le immense pareti che sostengono Prima (a est) e Seconda Pala (a ovest) si fanno più vicine. Il cielo diventa una esile striscia grigio-azzurra tra le guglie, mentre l'ambiente si fa più scuro e brullo… Eccolo, dunque, il cuore del Boral!


Quel che resta del nevaio del Boral della Besausega e il percorso che lo supera (che nella foto a sinistra è pure visibile).

Mi rendo conto del silenzio che ci circonda mentre siamo fermi per metterci il caschetto, a circa 3h30 dalla partenza. A occhio pare impossibile che il percorso non vada a morire ai piedi di una qualche muraglia verticale, visto che pare inerpicarsi in seno alla montagna fin sotto alla Prima Pala.
Ripartiamo, attenti a non sbagliare "strada", incontrando qualche tratto di fune metallica. Il 765 sale tra le rocce e i ghiaini traditori per un poco, poi si esaurisce su dei ripidissimi piani d'erba e mugaie, a est. Ingenuamente sospiriamo di sollievo, ma qui la situazione è ancora più difficile: camminiamo su scivolosissime cornici erbose e davvero all'apparenza poco percorse. Un'ombrosa umidità, simile a quella incontrata più in basso, ci riporta nell'inferno dell'aracnofobico (vedi sopra), al che siamo nuovamente costretti a darci periodicamente il cambio per non perdere la testa.
Fortunatamente il sole è sempre più alto e il sentiero si riporta in quota ed esposto a sud: diciamo finalmente addio (o arrivederci?) a quello che per noi è stato il Boral dei Ragni.


Il tratto terminale del Boral.

L'erba si asciuga, sopraggiunge un fresco venticello, siamo ormai attorno ai 1800m di quota quando gli spazi si rifanno ampi e saliamo tra pur sempre scoscesi prati e qualche sparuta macchia boschiva. Sono circa le 11:30, da qui il 765 mantiene la sua severa pendenza ma in un contesto più arioso e meno opprimente. Le gambe faticano, ma è una fatica leggera perché non schiacciata dal peso di una situazione mentalmente probante. Il tempo scorre a grandi balzi tra canaloni, tratti attrezzati, rapidi e sempre più densi banchi di nuvole.


I caratteristici kòl, alveoli e nicchie nella roccia, tipici di queste montagne.
A destra, Daniele appeso al cavo, qui come in altri punti decisamente superfluo.

Avanziamo ormai nella nebbia, guadagnando le ultime decine di metri di dislivello. Verso ora di pranzo, le rocce scompaiono da sotto le mani lasciando posto all'erba d'alpeggio. Questa volta sono io davanti e per primo vedo la sagoma del bivacco Bedin (2210m) nel bianco lattiginoso e nel vento ormai sferzante. Oltre al bivacco non si vede nulla, ma sono felice e appagato, o forse in questo momento io non sono per niente interessato a qualsiasi cosa non sia quella casupola rossa.


Il nostro primo incontro col bivacco Bedin (2210m).

Nonostante le imposte chiuse, una volta aperta la porta ci troviamo davanti due facce giovani e un po' sorprese che sgranocchiano qualcosa al tavolo. Si tratta di due ragazzi di Agordo, che sono saliti correndo per l'altro lato del sentiero 765, che non presenta alcun tipo di difficoltà. Chiacchieriamo un poco mentre prepariamo e consumiamo il pranzo. Approfitto grato di parte della scorta di tè solubile presente nella dispensa del bivacco per incamerare un po' di zuccheri. Nel frattempo il tempo fuori da sempre più chiari segni d'instabilità, al che i due giovani reputano saggio levare i tacchi, tornando per la via da cui sono venuti. Prima o forse dopo la loro partenza, qui la mia memoria si fa più sfocata, giungono al bivacco due coppie sempre dal tratto settentrionale del 765... Fortuna che è lunedì! Io e Dani, da bravi orsi (va bene due giovani atleti, ma due coppie cominciano a essere un po' eccessive) andiamo alla ricerca della sorgente d'acqua dove rifornire le nostre borracce, che troviamo sulla destra a circa un quarto d'ora oltre il bivacco, sempre lungo il sentiero. Ma, colmo dei colmi, incrociamo una comitiva di quattro ragazzi che sta salendo armata di tutto punto e ci chiede se vanno bene per il Bedin. Ostrega, andé ben sì, andé benón!!!
Una volta fatto il pieno torniamo al bivacco e lo troviamo intasato d'umanità. Ma sono tutti (più o meno) rispettosi e tranquilli, per cui rinfoderiamo gli ispidi aculei, prendiamo i sacchi a pelo e li stendiamo su due dei nove letti che il bivacco offre (o forse li avevamo già messi? memoria canaglia) e ci buttiamo giù. Nel frattempo fuori tira un gran vento, che di lì a poco ci porta l'acqua e i fulmini. Qualcun altro si stende, chi parla lo fa sottovoce. Forse ho dormito, se Dani ha dormito chiedetelo a lui.

Mi alzo dalla branda verso le 16:00, fuori non si sentono più rumore, schianti e sibili. Apro la porta e mi affaccio su quello che fino ad adesso non avevo realizzato: siamo su un'isola erbosa che galleggia su un mare di nuvole, oltre cui sbucano altri celebri atolli. Il sole trafigge la coltre di nubi e si va a conficcare nella roccia che si accende, è il mare di nuvole che scorre attorno a noi o stiamo navigando a bordo di questo panettone erboso?

Mi allontano e mi prendo un po' di tempo per guardare, fotografare, pensare. A pensarci bene non credo d'esserci riuscito, a pensare.


Isola o vascello? Vela o scudo? Civetta.




Il bivacco e i prati su cui poggia, lambiti dal sole che sfonda i cavalloni delle nubi.


L'Agner.


(clicca per ingrandire) Da sinistra a destra, la Civetta e la Moiazza.


La stessa vista, ma da dietro il bivacco.


Più o meno la stessa vista, ma da dentro il bivacco.

Una menzione speciale va davvero al bivacco: come avrete già capito, non si tratta del tradizionale punto di ricovero a botte né di una semplice baitina, ma si compone di due moduli: una "camerata", dove sono alloggiati i 9 posti letto, e lo spazio comune, che ha una sorta di veranda con 4 finestroni che danno sulla conca agordina e sui monti che la circondano. Davvero uno dei più belli che mi sia capitato di visitare.

Per cena ci facciamo una minestra e chiacchieriamo con i presenti, passiamo una bella serata in compagnia, avvolti dall'intimità unica e irripetibile che si crea in queste occasioni. Non ricordo un singolo nome dei ragazzi presenti quella sera (me li avranno detti?), ma siamo stati buoni amici per qualche ora. Daniele e io siamo andati a letto relativamente presto, lasciando gli altri a festeggiare al lume di candela. La mattina seguente, li conoscevamo appena.


GIORNO 2 - dal biv. Bedin a Forno di Val per la conca agordina - 22km ca, 1600D- ca, 6h



Come si dice, colazione con vista.

Verso le 5:30 suona la sveglia e, facendo piano per non svegliare chi ancora dorme, facciamo colazione e ci apprestiamo a partire. C'è il sole, ma sono anche presenti pesanti velature. Ragioniamo su cosa convenga di più: nella relazione del Somari Team menzionano la possibilità di scendere per il Viaz Drio la Spala, ma si tratta appunto di un Viaz, traccia difficile e soprattutto non segnata, sconsigliata in caso di maltempo. Visto il l'intenso temporale del giorno prima, unito alla ben più intensa (a livello soprattutto psicologico) esperienza di ascesa, decidiamo di scendere per il sentiero 765. Ci avviamo dopo un breve saluto ai "coinquilini", partendo più o meno alla stessa ora del giorno precedente.
La traccia ben segnata mena a forcella Besausega (2131m), da cui si gode di una meravigliosa vista, poi scende fino ai boschi attorno alla Malga d'Ambrosogn (1700m), a cui arriviamo dopo poco più di un'ora di cammino. Lungo la via, prima di perdere di quota, alcuni scorci mi ricordano le aeree cenge delle nostre montagne di casa, le Piccole Dolomiti, ancor più specificamente rivedo certi orridi del Pasubio…


A sinistra: viste quasi familiari per dei vicentini. A destra: salamandre, se non sbaglio.


Rivediamo il Boral attraversato il giorno precedente dalla forcella Besausega (2131m)






La Costa Palazza, la Marmolada, le Pale di San Martino.


Malga d'Ambrosogn (1700m).

Dalla malga abbandoniamo il 765 e prendiamo il sentiero 764, che scende lungo la valle del Torcol. In un'ora e un quarto circa entriamo nella piccola contrada di Pradimezzo (873m).


A sinistra: in vista della conca agordina, in particolare di Cencenighe. A destra: un ponte lungo il sentiero 764.


In arrivo all'abitato di Pradimezzo (873m), sovrastato dalla Palaza Alta (2255m).

Da qui scendiamo fino al lago di Cencenighe e cerchiamo senza successo di seguire dapprima il torrente Cordevole, poi alcune tracce segnate sulla cartina che dovrebbero portarci alla parte finale del Viaz Drio la Spala e quindi a Taibon, regalandoci circa 6.5km e 800 metri di dislivello positivo extra. Infine, rassegnati di fronte all'ennesima traccia che muore in un canalone, ridiscendiamo e ci avviamo lungo la vecchia strada che ridiscende la valle agordina alla sinistra orografica del torrente.


Daniele scornato di fronte al canalone che non porta da nessuna parte.
In fondo la strada nuova e quella vecchia (la più bassa), che di lì a poco percorreremo.

Arriviamo verso mezzogiorno e mezzo a Taibon Agordino, nel frattempo ha ripreso a piovigginare. In alto riusciamo comunque a vedere la Prima Pala, che vista da qui sembra una scura stilettata rocciosa che si staglia affilata verso il cielo plumbeo, ma che ora sappiamo essere muraglia protettiva del paradiso segreto agli occhi che poggia alla sua sommità.


A sinistra: l'arrivo a Taibon, all'imboccatura della valle di San Lucano. A destra: le due Pale e la spaccatura del Boral, che ieri ci inghiottiva.

Se già nel primo giorno mi sono sentito catapultato nell'arco di poche ore da un mondo all'altro (dagli scenari selvaggi, inospitali e quasi amazzonici del Boral alle atmosfere romantiche della piana del Bedin), il secondo giorno non ha fatto altro che acuire questo sentimento. È stata un'escursione estremamente varia nei paesaggi, negli stili di andare per monti, nelle situazioni meteorologiche che ci hanno accompagnato. Siamo passati dalla solitudine più totale al "sovraffollamento" più volte. Abbiamo camminato su terra, ghiaia, roccia, erba, persino asfalto. Il tutto nell'arco di poco più di 30 ore. Davvero un distillato iper-concentrato di Pale di San Lucano e di Dolomiti Bellunesi in generale.
Montiamo in macchina e ci fermiamo poco più a valle per mangiare una pizza. Nel ristorante c'è una televisione con un telegiornale che riporta il crollo del ponte Morandi a Genova, avvenuto poco meno di due ore prima. Di lì a qualche ora partiremo per un concerto in Svezia con il nostro gruppo.
Questi due giorni in montagna sono forse volati via un po' troppo rapidamente.


--




Normalmente allego anche il tracciato GPS all'articolo. Questa volta non lo farò per due ragioni: 1) il primo giorno è stato come se non avessi il logger con me, dato che il Boral fa da schermatura a qualsiasi tipo di segnale telefonico/GPS. 2) nel secondo giorno è inclusa una ravanata extra davvero poco utile.
« Ultima modifica: 18/02/2019 00:37 da Matteo Nicolin »
Matteo Nicolin

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Re:[PALE DI SAN LUCANO] Trekking di 2gg al Biv. Bedin
« Risposta #1 il: 18/02/2019 09:51 »
Bellissimo anche questo giro, complimenti!!!
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Offline SPIDI

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Re:[PALE DI SAN LUCANO] Trekking di 2gg al Biv. Bedin
« Risposta #2 il: 27/02/2019 18:51 »
Bellissimo giro complimenti per la tenacia, la resistenza ai ragni......e per le belle fotto  :)
Bisogna andare dove pochi sono andati per vedere   
ciò che pochi hanno visto

Offline Matteo Nicolin

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Re:[PALE DI SAN LUCANO] Trekking di 2gg al Biv. Bedin
« Risposta #3 il: 03/03/2019 02:57 »
Grazie ragazzi, mi fa piacere che vi sia piaciuto! :)

Bellissimo giro complimenti per la tenacia, la resistenza ai ragni......e per le belle fotto  :)

Bellissimo anche questo giro, complimenti!!!
Matteo Nicolin

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Offline jegger

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Re:[PALE DI SAN LUCANO] Trekking di 2gg al Biv. Bedin
« Risposta #4 il: 08/03/2019 09:10 »
Bellissimo questo giro. Peccato non si sappia in che condizioni sarà quest'anno causa incendio/vento.

In valle S.Lucano sono stato una sola volta ma è il posto che più mi è rimasto nel cuore.