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Gigi Telmon, una vita per la montagna

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Luigi "Gigi" Telmon

Luigi “Gigi” Telmon

Nato a Susa in provincia di Torino nel 1932, Luigi Telmon [1] ha dedicato la sua vita alla montagna. In particolare, lo studio delle valanghe é divenuto nel tempo una sorta  di «missione», con lo  scopo di salvare piú vite umane possibile tramite la conoscenza e l’informazione.

Chi scrive lo ha conosciuto parecchi anni fa, nel 2001, quando organizzammo insieme una “due giorni” divulgativa sulle valanghe per il newsgroup it.sport.montagna. Ricordo che, generosamente, volle venire assolutamente gratis e non accettò neppure un rimborso spese per la benzina e il soggiorno a Trento :).

Gigi, negli ultimi anni oltre al classico “trittico” per la sicurezza di Artva, pala e sonda, sono apparsi in commercio gli “zaini Airbag”. Sono strumenti validi? Quali sono pregi e difetti?

Ho sperimentato i primi esemplari di zaini “airbag” più di quarant’anni fa facendoli investire da una notevole valanga di lastroni generata dal crollo di una cornice, vincolati ad una zavorra di 80 Kg. La prova ha avuto luogo a confronto con identici manichini vincolati ad una funicella da valanga che, alla sua estremità libera, aveva un palloncino di circa 30 cm di diametro. I manichini con l’airbag sono rimasti a galla e si sono arrestati prima dell’arresto della valanga, dopo essere stati spinti all’esterno della stessa. I manichini con la funicella sono stati sepolti e rinvenuti velocemente, in fondo alla valanga, grazie al galleggiamento del palloncino e seguendo la funicella semisepolta. In quel periodo si stava cercando il modo di rendere più valido l’uso della funicella. L’avvento dell’airbag ha chiuso ogni sperimentazione con la funicella.
L’airbag di allora era un unico cuscino, sul retro dello zaino, che veniva gonfiato al momento del bisogno esercitando una trazione su una maniglia, posta anteriormente sullo spallaccio sinistro. Questa azionava una bombola in grado di gonfiare il pallone, riducendo il peso specifico del complesso corpo-pallone per consentirne il galleggiamento. Il fatto di avere il pallone sulla schiena, tuttavia, costringeva la parte più pesante del complesso (il corpo del travolto) a scivolare con la neve , con conseguente possibilità di traumi o di soffocamento per penetrazione di neve nelle vie respiratorie. Lo zaino aveva un peso abbastanza rilevante. Successivamente sono state apportate modifiche soprattutto volte a favorire lo scivolamento del corpo sulla neve, suddividendo il cuscino dorsale in due laterali, a parità di volume complessivo.

Pregi:

1. Galleggiamento assicurato.
2 Pronto reperimento da parte dei soccorritori grazie al colore vivace dei cuscini
3 Minor percorso durante il trascinamento nella neve
4. A differenza dell’ARTVa, che favorisce la ricerca, l’airbag favorisce il salvataggio della vita per effetto del galleggiamento sulla valanga.

Difetti:

1. Necessità di prontezza di riflessi per azionare le bombole al momento dell’inizio del travolgimento: in alternativa si può azionare l’apparecchio in caso di sospetto, ma poi occorre proseguire o con i palloni gonfi, o ricaricandoli poi con bombole di scorta (aumento del carico)
2. Peso relativamente ancora elevato
3. Possibilità di traumi durante lo scorrimento, specie se non sono stati aperti i laccioli degli sci per consentirne lo sgancio e non sono stati tolti i polsi dai laccioli dei bastoncini, per poterli abbandonare.
L’aver indossato l’airbag non esime dall’adottare tutti gli accorgimenti raccomandati allo scialpinista quando si inoltra su un pendio potenzialmente pericoloso, compresa la protezione delle vie respiratorie.

Gli Artva moderni digitali sembrano molto più facili da usare rispetto agli analogici di una volta. E’ davvero così?

Quando ero alla sezione Studi della Scuola Militare Alpina di Aosta, ho avuto modo di sperimentare i primi apparecchi di ricerca, oltre quarant’anni fa, a cominciare dallo SKADI, il primo ricercatore giunto in Italia, portatomi da un ingegnere americano. Successivamente ne sono stati prodotti altri in Europa, in particolare lo ZELLWEGER e l’ AUTOPHON, la serie dei PEEPS e il REDAR. A seguito degli esperimenti ho optato per la frequenza di 457 kHz utilizzata dall’Autophon Barryvox, che dava le maggiori garanzie di intercettazione del segnale a distanza e di precisione di individuazione. Ho provveduto, quindi, a far realizzare un apparecchio in Italia per le Truppe Alpine con la stessa frequenza (FITRE RT 75). I primi esemplari furono di color kaki oliva e successivamente la produzione è stata realizzata in rosso anche per il pubblico.
Si trattava sempre di apparecchi analogici, compatibili con tutti gli apparecchi che utilizzavano la frequenza di 457 kHz. Il loro impiego era facile, veloce e preciso, a condizione di seguire precise norme di ricerca, possibili dopo un breve esercizio e ponendo la necessaria attenzione. Fidandomi della loro validità e robustezza ed adottando le necessarie procedure di ricerca, anche per ovviare ad interferenze con altri ricercatori in zona, gli ARTVa analogici non mi hanno mai dato problemi. Ho addirittura lanciato un FITRE su una pietraia e si è appena scalfitto l’involucro mantenendo inalterato il funzionamento.
Per ragioni … anagrafiche e a causa di un cambiamento di incarico di servizio, non ho potuto effettuare studi ed esperimenti sui nuovi modelli entrati in commercio ed in particolare sui digitali. Non posso quindi esprimere un giudizio obiettivo, non avendoli mai impiegati sul campo. Per le mie esigenze personali, andate via via scemando fino, ormai,  ad annullarsi, andavano benissimo gli analogici ed ho continuato ad usare quelli. Ritengo che il progresso tecnologico possa favorire l’impiego dei digitali, ma non sono in condizioni di esprimere un giudizio, per cui non so se la tecnologia moderna abbia dato più peso all’efficienza, alla robustezza ed alla facilità di impiego o alle leggi di mercato, visto il proliferare dei modelli. Resta il fatto che gli apparecchi, di qualsiasi tipo essi siano, nell’ambito di un gruppo, debbono, ovviamente,  essere sempre compatibili fra loro ed usati dopo una doverosa preparazione del personale.

Il costo degli apparecchi Artva é generalmente considerato elevato (anche se a ben vedere è assurdo che si spenda molto di più per gli sci, o per una giacca, che non per uno strumento che può salvare la vita) e alcuni rimandano l’acquisto, o considerano l’idea di comprare un Artva di seconda mano. E’ una buona idea?

Ritengo sia una cattiva idea risparmiare su un oggetto che può salvare la vita, propria o altrui: la vita non ha prezzo! Circa gli ARTVa di seconda mano credo che più gli apparecchi sono sofisticati, più la loro durata sia limitata (parere da inesperto in elettronica). Un apparecchio di seconda mano ritengo sia affidabile in relazione al motivo per cui viene venduto, all’affidabilità della persona che lo vende ed all’uso che ne è stato fatto. In ogni caso, non avendo la possibilità di acquistarne uno nuovo tra i più validi è meglio averne uno di seconda mano, di buon livello, che non avere niente o averne uno scarso e poco sicuro.

Anche quest’inverno una serie di incidenti ha funestato molte escursioni scialpinistiche. Non di rado le vittime erano considerate esperte e in taluni casi erano coinvolte addirittura guide alpine. Anche se c’è il detto che dice “la valanga non sa che sei esperto”, può darsi che a tradire sia un eccesso di sicurezza? O la valanga è spesso un fenomeno troppo complesso da prevedere, anche dagli esperti? 

Spesso si ritiene esperto anche chi non lo è e, chi lo è, oltre all’esperienza deve essere anche dotato di prudenza, buon senso, e, se guida, non deve essere condizionato dalle esigenze, a volte insistenti, del cliente. La valanga è sicuramente un fenomeno estremamente complesso e diversificato, difficile da valutare anche da esperti, sia come fenomeno in sè, che come possibilità di localizzazione. Per fare una buona valutazione occorrono, una corretta interpretazione del bollettino, che necessariamente è estensivo, la conoscenza degli eventi meteonivologici che si sono susseguiti durante la stagione e le loro conseguenze, e, per quanto possibile, la conoscenza del terreno.
Inoltre sono necessarie valutazioni locali estemporanee mediante prove specifiche che comportano notevole impiego di tempo, energie ed elevata esperienza (ad es. esame stratigrafico, cuneo o blocco o trapezio di slittamento, sondaggi ecc.), cose non sempre possibili durante una gita.
Inoltre le prove sono puntiformi e valide in un intorno spesso molto limitato, per cui vengono normalmente trascurate durante una gita. Nelle discese in campo libero, inoltre, questo tipo di prove è praticamente impossibile ed una accurata valutazione deve essere fatta a priori. L’eccesso di sicurezza può essere anche una causa, ma io tendo a ritenerlo più un eccesso di presunzione o di superficialità. A volte prevale il senso del dovere e di sacrificio dei soccorritori che, spesso, pur consci del rischio che corrono, affrontano pericoli elevati al fine di trarre in salvo chi si è messo nei guai, anche a costo della vita.

Lo scialpinismo di una volta si praticava sostanzialmente in primavera, quando il manto è generalmente assestato e le valanghe “da caldo” sono in qualche modo più prevedibili. Oggi, alla prima nevicata invernale, orde di scialpinisti si lanciano sui pendii, non sempre con la necessaria preparazione. Ogni anno infatti si contano diverse vittime. Poiché è impensabile un “ritorno alle origini”, cosa si può fare?

L’assestamento del manto, in primavera è generalmente una realtà, tuttavia non bisogna trascurare il modo e le condizioni in cui questo assestamento è avvenuto. Ad esempio non bisogna trascurare il fatto che, sotto ad un manto ben assestato, sia presente la brina di fondo, quindi non solo “valanghe da caldo”. E’ molto difficile convincere gli scialpinisti a non fare uscite invernali, specie da quando le capacità tecniche sono migliorate, i materiali sono di più facile impiego e le piste battute sono molto affollate e con caratteristiche che soddisfano poco le esigenze di sci in libertà. Mi sono dedicato alla meteonivologia con approfonditi studi sia in Italia che in Francia e specialmente in Svizzera, paese che da più tempo si occupa dello studio dei fenomeni nivologici, quando alcuni incidenti mortali mi avevano commosso e scosso per la mancanza generale di conoscenza del fenomeno delle valanghe e delle conseguenti misure di sicurezza da adottare.
Da allora il mio primo scopo fu di cercare di preservare il più possibile la vita di chi, come me, per passione o per lavoro, praticava la montagna invernale. Ho perseguito questo scopo prima con una preparazione profonda e scrupolosa e poi cercando di divulgare il più ampiamente possibile le conoscenze acquisite con corsi, conferenze, scritti, ecc. in ogni ambiente interessato alla montagna. L’argomento fu, così, introdotto nei corsi per organizzazioni del C.A.I., Guide Alpine, Maestri di sci, Guardie Forestali, Organizzazioni Militari, Forze dell’Ordine ecc, allo scopo di diffondere conoscenze corrette sull’argomento.
Ho avuto qualche riscontro nel senso che più di una persona mi ha espressamente ringraziato per avergli fornito il modo di risparmiarsi una brutta avventura, anche se non si potrà mai sapere quante potenziali vite ha risparmiato, con il suo lavoro e la sua passione, quello sparuto gruppo di una decina di persone che facevano parte del primo Servizio Valanghe Italiano (SVI) del C.A.I.
Nel frattempo, però, la popolazione degli sciatori in campo libero è talmente aumentata che i risultati sembrano quasi inesistenti, anche se la conoscenza del fenomeno valanga si è diffusa a macchia d’olio. In realtà gli studi e l’attività del piccolo gruppo di appassionati che hanno dato vita al Servizio Valanghe Italiano del C.A.I., di cui mi onoro di aver fatto parte, hanno dato l’input per una grande diffusione della conoscenza del problema delle valanghe, da cui sono nati i Servizi Valanghe regionali riuniti nell’AINEVA, un Ufficio Valanghe alla Scuola Militare Alpina di Aosta, ed il Servizio Meteomont.
Prima degli anni sessanta si credeva ancora, come diceva il Carducci, che le valanghe tuonassero “rotolando per le selve croscianti”. Credo sia necessario continuare sulla strada della prevenzione, della conoscenza e della sensibilizzazione, poiché i risultati sono più che positivi, dal momento che il numero degli incidenti per stagione, nel complesso, non è aumentato rispetto all’elevatissimo incremento del numero dei praticanti dello scialpinismo.

In questi ultimi anni si è molto diffuso l’uso delle ciaspole: un’attività sportiva che, a differenza dello scialpinismo, è alla portata di tutti. Ma, proprio per questo, ci si chiede con quale consapevolezza del pericolo molti praticanti si avventurino sulle montagne innevate, spesso spinti dal facile entusiasmo per questi attrezzi che non richiedono alcuna conoscenza tecnica, mentre i rischi sono gli stessi di chi fa scialpinismo.

I problemi degli escursionisti muniti di racchette da neve sono analoghi a quelli degli scialpinisti, ma la popolazione di questi escursionisti, anche se generalmente segue itinerari più sicuri, è per la maggior parte priva di conoscenze in campo nivometeorologico. I media, anziché dilettarsi alla caccia dei fantasmi dopo ogni incidente, farebbero bene a fare attività di prevenzione, informandosi correttamente per poi diffondere le conoscenze necessarie per non far affrontare pericoli, a volte neppure immaginati, ai gitanti allettati dalla nuova moda delle racchette da neve (credo: in Trentino erano “ciaspe” diventate poi “ciaspole” dopo la diffusione della gara con le ciaspe: “La Ciaspolada“).
L’uso del neologismo si sta diffondendo ovunque come l’uso delle racchette: sarebbe bello se i produttori di questi materiali allegassero al materiale in vendita un manualetto informativo che sensibilizzasse l’acquirente sul pericolo delle valanghe con informazioni corrette per la conoscenza del fenomeno e del comportamento da tenere durante la gita e fornendo anche informazioni su dove rivolgersi per approfondire l’argomento. Non so, tuttavia, quanto i produttori ed i venditori di questi materiali apprezzerebbero questa idea.

Lo scialpinista vecchia maniera di solito veniva da una lunga gavetta e imparava con la pratica a riconoscere i vari tipi di neve e le situazioni più ricorrenti di pericolo. Il fatto di dover scendere con gli sci, lo induceva inoltre a studiare bene i percorsi, sia in salita che in discesa. Oggi gli impianti di risalita portano gli sciatori direttamente in quota. I cosiddetti freerider e snowboarder, spesso giovanissimi come dimostrano recenti incidenti, affrontano pendii e canaloni probabilmente con una consapevolezza approssimativa sulle condizioni della neve. Cosa ne pensi?

E’ uno dei problemi legati alla velocità del progresso tecnologico che ritengo difficile da risolvere. Informare questi giovani, entusiasti e spericolati, come è normale a questa età, è molto difficile. L’unico ambiente in cui possono essere contattati per essere informati, penso possa essere la scuola delle zone vocate alla montagna: le lezioni di geografia o di scienze potrebbero essere il sito più idoneo, non dico per fornire approfondite conoscenze ma, quanto meno, per sensibilizzare i ragazzi sul problema in modo da indurli ad informarsi. Ovviamente previa informazione corretta dei docenti: altro difficile preblema, se questi non sono interessati alla montagna.

Il pericolo delle valanghe può essere meglio affrontato con una migliore conoscenza, prevenzione e formazione, magari iniziando fin dalle scuole. Mi sembra che qualcosa in questo senso si stia facendo, almeno qui in Trentino, con esercitazioni e lezioni impartite da componenti del Soccorso Alpino. E’ abbastanza? Cosa si potrebbe fare maggiormente?

Mi hai preceduto con la stessa idea dello sfruttamento dell’organizzazione scolastica. Ricordo che al Passo del Tonale molti ragazzi delle scuole del Trentino, a turno, trascorrevano un breve periodo ospiti di una casa della Provincia ed io, come altri specialisti in altre materie relative alla montagna, andavamo a tenere lezioni ed esercitazioni ad ogni turno. L’interesse dei ragazzi era altissimo e ricordo come si divertivano, ad esempio, nelle esercitazioni di ricerca con l’ARTVa. Non so se questo venga ancora fatto, ma ritengo sia una strada giusta per sensibilizzare i ragazzi sui pericoli della montagna e sul mistero delle valanghe. Altra esperienza l’ho fatta con la provincia di Bolzano che realizzava un periodico per ragazzi in cui tenevo una rubrica sui pericoli della montagna e sulle valanghe. Anche questa mi sembra una buona cosa , ma non so se, attualmente, venga ancora realizzato qualche cosa di simile.

Gli studi hanno dimostrato che dopo appena 15 minuti dal seppellimento, le probabilità di sopravvivenza del travolto calano drasticamente, perciò è essenziale “l’autosoccorso” immediato dei superstiti. Secondo te quanti sono sufficientemente preparati per affrontare questa drammatica evenienza?

Non posso giudicare quale sia la preparazione alla ricerca con l’ARTVa ed al disseppellimento dell’infortunato da parte degli escursionisti attuali. So che molti scialpinisti che fanno capo ad organizzazioni tipo sezioni del C.A.I. spesso si riuniscono per fare esercitazioni, ma non so quale preparazione abbiano quelli che si limitano ad acquistare il materiale su suggerimento dei commessi o degli amici. L’autosoccorso comincia molto prima dell’uso dell’apparecchio, in quanto deve, per avere qualche probabilità di successo, essere preceduto, durante la gita, da precise norme di comportamento del gruppo atte a far sì che, in caso di evento valanghivo, qualcuno del gruppo non ne sia coinvolto in modo da poter iniziare subito la ricerca dei compagni travolti.
Tutto ciò necessita di una preparazione a monte. E’ ovvio che se tutto il gruppo viene sepolto, le probabilità di sopravvivenza sono estremamente limitate, per non dire nulle, in quanto il tempo di intervento delle squadre di soccorso organizzato è quasi sempre superiore al tempo della maggior probabilità di sopravvivenza. In tal caso l’uso dell’ARTVa serve sopprattutto ai soccorritori per trovare più rapidamente dei morti.

Talvolta si ha l’impressione che alcuni considerino l’Artva come una specie di amuleto, mentre invece, dimmi se sbaglio, dovrebbe essere considerato davvero come “l’ultima spiaggia” per avere una qualche possibilità di salvarsi, perché la valanga spesso ti uccide durante il travolgimento. 

Come ho già detto, spesso il materiale viene acquistato su suggerimento di commessi od amici e, talvolta, portato al seguito proprio come amuleto: a volte nello zaino, a volte addirittura spento. Comunque non è più l’ultima spiaggia per avere qualche probabilità di salvarsi. L’uso corretto consente sì il rapido ritrovamento da parte dei compagni, se qualcuno resta fuori dalla valanga, ma non impedisce il seppellimento, con i conseguenti traumi e, a volte, i molto lunghi tempi di scavo ed estrazione. Anche questa operazione necessita di procedure ben definite per cui occorre essere preparati senza lasciarsi sopraffare dall’affanno e dall’emotività. Attualmente la maggior probabilità di salvezza ritengo sia data dall’uso dello zaino Airbag, in quanto consente il galleggiamento sulla neve, limita i traumi da seppellimento, consente una rapida individuazione da parte dei soccorritori e, anche se l’infortunato fosse nell’impossibilità di reagire, per cause varie, consente tempi di sopravvivenza compatibili anche con i tempi del soccorso organizzato. Se il peso, ancora relativamente elevato, lo rende poco gradito agli scialpinisti che salgono a piedi, può essere un toccasana per chi usa mezzi vari di risalita e corre rischi solo nella fase di discesa.

Ora qualche spunto un po’ polemico :). Capita di osservare bollettini online di province confinanti che riportano un grado di pericolo differente della stessa zona. Questa differenza di valutazione corre esattamente lungo il confine provinciale e lascia molto perplessi. Mi è stato spiegato che questo può essere determinato dal fatto che i vari bollettini, redatti da ogni provincia, non sono stilati nello stesso orario. Non si potrebbe uniformare la diramazione dei bollettini per renderli più omogenei e quindi attendibili?

Il grado di pericolo indicato dai bollettini di Province o Regioni confinanti, non può riferirsi alla stessa zona, ma ad un intorno suggerito al redattore dalla localizzazione, e quindi dai dati, dei campi di rilevamento del proprio settore. Il confine amministrativo delle Regioni o Province non ha che un valore indicativo dell’Ente che emette il bollettino. La valutazione per la realizzazione dei bollettini viene fatta sulla base delle osservazioni pervenute giornalmente, alla stessa ora, dai campi di rilevamento sistemati nella zona di competenza. Non è il momento della redazione del bollettino che fa testo, ma il momento del rilevamento dei dati sui campi.
La posizione di questi varia da zona a zona per cui, non essendo possibile raffittire i campi in modo abnorme, è giocoforza, mediare i risultati in relazione alle esigenze dell’Ente che emette il bollettino, che non potrà mai dare informazioni puntiformi, ma riferite ad un intorno piuttosto vasto. Sta all’utilizzatore interpretare correttamente il bollettino in relazione alla località in cui vuole andare e, se si trova in località di confine della competenza della redazione dei bollettini, mediare tra le due edizioni. Per questo i bollettini devono ritenersi solo orientativi e l’escursionista, acquisite le informazioni a carattere generale, deve anche fare una propria valutazione sul posto. Nell’ambito delle organizzazioni dell’AINEVA la nomativa per i rilevamenti e la redazione dei bollettini è comune.

Si organizzano spesso interessanti e qualificati convegni sulla sicurezza in montagna e contro il rischio di valanghe, però fatalmente riservati a pochi addetti ai lavori perché si svolgono magari in località lontane centinaia di chilometri dalle città e della durata di uno o più giorni. Come mai non si sfrutta internet per divulgare e magari trasmettere in streaming queste giornate ad un pubblico più ampio? Perché questi convegni non sono resi disponibili online dopo il loro svolgimento? Ho fatto queste domande ad un esperto che partecipava a questi convegni e mi è stato risposto che sì, sarebbe una bella idea ma non si può perché… i relatori sono gelosi! E’ un peccato che non si possa fare divulgazione attraverso un mezzo così potente come la rete ma si preferisca fare questi convegni tra “pochi intimi”. Cosa ne pensi?

Sarebbe una cosa utile ed interessante. Non so perché non venga realizzata: forse per mancanza di iniziativa da parte degli organizzatori. L’ipotesi della gelosia dei relatori mi spaventa e non ci credo. I miei compagni del primo SVI ed io ci eravamo assunti, a cominciare dagli anni sessanta del secolo scorso, proprio come missione morale, la divulgazione delle conoscenze che avevamo acquisito e lo abbiamo fatto sempre, sia pur con i mezzi di allora, con tutte le nostre forze ed il nostro entusiasmo e siamo riusciti a diffondere, praticamente in tutto il Paese, a macchia d’olio, l’esistenza del problema valanghe e dei modi di affrontarle.
In Internet, ora, si trova di tutto ed anche le informazioni utili: bisogna saperle discernere con un minimo di preparazione tecnica a monte. La gelosia dei relatori è, comunque, mal riposta in quanto gli eventuali relatori gelosi non hanno competenza per accampare diritti sulle conoscenze che hanno acquisito da chi li ha preceduti. Se, poi, si fanno convegni su qualche cosa di nuovo, ben vengano, ma penso che lo scopo di questi debba essere proprio la divulgazione delle conoscenze. Per questo non c’è niente di meglio che Internet ed è anche utile l’opera, questa volta meritoria, dei media, se le informazioni non vengono travisate, come purtroppo succede spesso, per incompetenza.

Negli anni recenti abbiamo visto che in caso di incidenti di valanghe qualche amministratore locale arriva addirittura a vietare lo scialpinismo tout court sul proprio territorio. Oppure scattano le denunce, con evidente intento deterrente o punitivo, nei confronti di chi ha provocato la valanga, anche se non ha provocato ferimenti o danni. Gli impiantisti dal canto loro arrivano a vietare la pratica del fuoripista nel loro comprensorio, neanche la montagna fosse di loro proprietà! Altri invocano invece una sorta di patentino, o il possesso obbligatorio dell’Artva (senza considerare la capacità di usarlo). Cosa pensi di queste misure?

Il divieto di praticare lo scialpinismo mi sembra un’assurdità da incompetenti: sarebbe come dire di vietare il paracadutismo perché il paracadute potrebbe non aprirsi, o l’arrampicata in roccia perché potrebbe uscire un chiodo o staccarsi un appiglio eccetera. Il fatto è che i media influenzano talmente a sproposito l’opinione pubblica che gli amministratori temono ripercussioni su di loro a seguito di assurde ricerche di responsabilità a tutti i costi, cosa che sembra diventata di moda.
Quanto al provocare la valanga esistono norme di legge sul distacco di valanghe in relazione a varie modalità di distacco: Codice Penale Titolo VI Capo I – Dei delitti contro l’incolumità pubblica art. 426, Legge n° 353 del 24/12/2003. L’art. 17 di quest’ultima, in particolare, al comma 2 recita: “I soggetti che praticano lo sci-alpinismo devono munirsi, laddove per le condizioni climatiche e della neve, sussistano evidenti condizioni di rischio di valanghe, di appositi sistemi elettronici per garantire un idoneo intervento di soccorso”. E’ palese l’imperfezione del testo: secondo la legge L’ARTVa deve essere portato dove esistono evidenti condizioni di “rischio” di valanghe. Dal momento che la valanga è una trappola nascosta, il “rischio” non è quasi mai evidente e, dove è evidente, mi auguro che nessuno ci vada, neppure con l’ARTVa, anche se oggi non ne sono più tanto sicuro. Chi stabilisce, inoltre, che in un determinato punto il “rischio” è evidente?
In sostanza, per la legge, non occorrerebbe portare sempre l’ARTVa, ma solo quando il “rischio” è evidente. In realtà, senza bisogno di fare leggi inutili ed imperfette, basterebbe il buon senso e la raccomandazione dei tecnici che suggeriscono di portarlo sempre, acceso in trasmissione fin dall’inizio della gita, dopo averne ben appreso l’impiego e dopo aver fatto i previsti controlli collettivi di corretto funzionamento. Ho messo tra virgolette la parola “rischio”, in quanto il termine, in questo caso, non è corretto. Il rischio è quello che corre chi affronta un pericolo; nella legge, quindi, non dovrebbe essere usato il termine “rischio”, ma “pericolo”. E se i sistemi non sono elettronici come l’Airbag? La legge sarebbe superata? Personalmente suggerisco, comunque, di portare sempre l’ARTVa, acceso, ovviamente in trasmissione, fin dall’inizio della gita, anche se si indossa l’Airbag: può sempre succedere un malfunzionamento o la necessità di soccorrere qualcuno e il peso in più è trascurabile. L’Airbag, di per sè è sufficiente a garantire elevate condizioni di sicurezza, superiori a quelle dell’ARTVa, anche in caso di condizioni di “rischio” evidente, tuttavia la legge prescrive il sistema elettronico.
Un grado di pericolo anche basso, infine, non preclude l’eventualità di incappare comunque in una valanga, altro che “evidenti condizioni di rischio”! Quanto al patentino, viviamo in un Paese dove le barzellette e le idiozie sono molto diffuse.

Nivologia e valanghe di Luigi Telmon

[1] Nato a Susa in provincia di Torino nel 1932, Luigi Telmon ha vissuto la sua giovinezza a Bardonecchia, dove ha iniziato ad amare la montagna. Quindi è entrato nell’esercito nel Corpo degli Alpini, dove ha accumulato negli anni un’enorme esperienza. La sua preparazione e passione per la montagna è testimoniata da una impressionante serie di qualifiche: istruttore militare scelto di sci ed alpinismo, esperto militare di neve e valanghe, paracadutista, pilota civile, maestro di sci FISI, esperto valanghe del Servizio Valanghe Italiano del C.A.I., istruttore nazionale della Federazione Italiana Sicurezza Piste da Sci (F.I.S.P.S.); istruttore nazionale di nivologia e valanghe del S.V.I.-C.A.I.
E’ laureato in scienze strategiche all’Università di Torino e insignito dell’onoreficenza di Cavaliere al merito della Repubblica. Come comandante del Plotone Alpini Paracadutisti della Brigata Alpina Orobica a Merano (BZ), ha svolto attività sciistica e alpinistica nei gruppi montuosi dell’Ortles – Cevedale (sulla cui vedretta ha effettuato un lancio col suo reparto, mai più ripetuto), delle Alpi Venoste, del Brenta, dell’Adamello-Presanella e delle Dolomiti Orientali.
Successivamente, con l’incarico di Istruttore di sci e di alpinismo alla Scuola Militare Alpina di AOSTA (S.M.Alp.), ha approfondito la conoscenza delle Alpi dal Piemonte alle Dolomiti. Ha operato nei gruppi del Weissmies e del M. Bianco durante periodi di addestramento trascorsi rispettivamente alla Scuola di Montagna dell’Esercito Elvetico di Andermatt ed alla Scuola di Alta Montagna francese di Chamonix. Assegnato alla Sezione Studi della S.M.Alp., ha posto le basi per la realizzazione dell’attuale Servizio Meteomont e si è dedicato all’ammodernamento dei materiali e delle tecniche nell’ambito delle Truppe Alpine.
In tale campo ha collaborato anche con la Commissione Materiali e Tecniche del C.A.I. ed ai lavori dell’U.I.A.A. (Union Internationale des Associations d’Alpinisme) per l’omologazione di materiali alpinistici. In particolare ha sperimentato i primi ARTVa facendone realizzare un modello per le Truppe Alpine poi diffuso anche in ambiente civile. Per la sua lunga esperienza e gli anni di studio sulle valanghe è considerato tra i maggiori esperti in Italia. Attualmente, lasciata l’attività meteonivologica e alpinistica, vive a Vigo di Fassa (TN) dove, nella piacevole condizione di pensionato, si cura dell’orto e del giardino. 

Autore: Agh

Content manager portali turismo e montagna, fotografo, cameraman

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