Girovagandoblog

Escursioni in Trentino – il blog del forum girovagandoinmontagna.it

Agosto 18, 2017
di Agh
2 commenti

Orsi, quel che resta dell’orrore

Un giorno forse proveremo ribrezzo per quel che abbiamo fatto all’orsa KJ2

Anche ieri a Radio24 il governatore Rossi ha sproloquiato su quanto siamo fighi noi trentini nella cura dell’ambiente e degli animali, vantando il fatto che il Trentino è l’unica provincia alpina italiana dove ci sono gli orsi.

Gli orsi nella fossa di cemento di Sardagna (TN) sono rimasti fino al 1966

Ma siamo davvero così fighi noi trentini? Gli orsi autoctoni erano faticosamente sopravvissuti, ridotti in pochi esemplari, nonostante lo sterminio e la persecuzione non tanto differenti che altrove, eppure li abbiamo lasciati tranquillamente estinguere. Un tardivo ripopolamento (progetto Life Ursus) è stato affrontato sostanzialmente come una operazione di marketing. Finita male. Anzi malissimo: un disastro di immagine che sarà molto difficile da recuperare. Se andiamo indietro nel tempo, la sensibilità ambientale era anche peggiore. Fino al 1977 in Piazza Dante a Trento viveva rinchiusa in un gabbione di pochi metri un’aquila, la tristemente famosa “Bepina”. In città sono stati reclusi orsi fino al 1994. Nel sobborgo di Sardagna altri due orsi sono rimasti rinchiusi in una fossa di cemento armato fino al 1996 (non nell’Ottocento!). Ora la “Busa degli Orsi” è stata ristrutturata spendendo quasi centomila euro come sede di “eventi” e concerti, recitano entusiasti i comunicati stampa: ovviamente non una parola sugli animali che hanno vissuto in quel luogo anni di prigionia e sofferenza. Uno fu anche fucilato in gabbia perché era divenuto troppo aggressivo col compagno (1965). Oggi si direbbe che era problematico, ma la soluzione del problema allora è stata la stessa di oggi: una bella pallottola.

Altri orsi in gabbia erano a Riva del Garda e a Rovereto. Quest’ultimo morì nel 1977 e dall’autopsia fu individuata la causa della morte: un’ulcera perforata provocata da un grumo di carta stagnola nello stomaco, formatosi dagli involucri delle caramelle che i visitatori gli buttavano e di cui era ghiotto.

Alcuni esperti targati Pat hanno sostenuto che è stato giusto uccidere KJ2 perché imprigionarla sarebbe stato come torturarla. Eppure abbiamo a tutt’oggi un orso recluso nella buca malsana del Santuario di San Romedio per il sollazzo dei turisti, e altri nelle cosiddette aree faunistiche (Spormaggiore), che sono aree più grandi di una gabbia, ma pur sempre di prigioni si tratta. Per un animale che in natura si sposta decine di km al giorno, dev’essere un’esperienza terribile.

Altri orsi sono stati rinchiusi nel lager di Casteller (uno tutt’ora), una specie di Guantanamo per orsi in salsa trentina, alle porte del capoluogo. Questi orsi dunque possono essere torturati, con la scusa magari che sono nati in cattività o che dove stavano prima stavano peggio. Come siamo generosi noi trentini. Nessun esperto spende una parola, neppure di pietà, per lo sfruttamento della sofferenza degli animali ad uso turistico.

Col passare degli anni tuttavia, grazie a dio, la coscienza ambientale collettiva è migliorata: oggi non sarebbe più possibile tenere un’aquila o degli orsi in gabbia in città. Buona parte dei trentini reagirebbe con sdegno a questo orrore.

Mi piace pensare, anche se non mi illudo troppo, che tra 20 o 30 anni si proverà lo stesso orrore per l’assassinio deliberato di un’orsa che ha avuto il solo torto di difendere i suoi cuccioli.

Giugno 30, 2017
di Agh
0 commenti

Salita al Cimon del Latemar m 2846 per “direttissima” versante sud

Cimon del Latemar direttissima sud

Senza sentieri o tracce una bella ravanata salendo il Cimon per la verticale sud. Quindi traversata al M. Feudo e altra direttissima, stavolta in discesa, per il versante sud fin al Biv. Sugadoi e rientro per Malga delle Prese
http://girovagandoinmontagna.com/gim/cornacci-latemar-catinaccio-sassolungo/(latemar)-cimon-del-latemar-e-traversata-al-m-feudo-2-giorno/

Giugno 30, 2017
di Agh
0 commenti

Nel Brenta più selvaggio: Cima S. Maria 2675 – mega escursione nell’Alpe di Campa

Da Cima S. Maria vista su Campo Flavona

Lunga escursione con difficoltà quasi nulle ma molto impegnativa fisicamente: 30 km di sviluppo per 2300 m di dislivello nell’angolo del Gruppo della Campa, nel Brenta nordorientale. Dal paese di Sporminore 515 metri si raggiunge la magnifica Cima di S. Maria a quota 2675, che si affaccia dall’alto sulla favolosa valle di Flavona. Il pesante dislivello e lo sviluppo di questo lungo giro ad anello taglia le gambe alla maggior parte degli escursionisti, quindi queste sono zone meravigliosamente selvagge e solitarie. Chi riesce ad arrivarci, resta letteralmente estasiato. E’ un Brenta sconosciuto ai più, specie a coloro che si ammassano in coda a far ferrate 🙂
http://girovagandoinmontagna.com/gim/dolomiti-di-brenta/(dolomiti-di-brenta)-cima-s-maria-2675-mega-escursione-nell’alpe-di-campa/msg108549/#msg108549

Giugno 29, 2017
di Agh
0 commenti

Mappati Beco dei Slavaci 2215 , Mandriccione 2180, M. Camin 2223

Dorsale del Mandriccione verso Castel Aie

Esplorazione e tentativo di traversata della dorsale. In buona parte del percorso non ci sono sentieri. Fino al M. Camin tutto ok, poi la cresta diventa affilata e dirupata, troppo rischio. Magari prossimamente farò un tentativo in senso inverso. Panorami meravigliosi a dir poco, a un tiro di schioppo dalla Val di Fiemme. Tutto è stato mappato su OpenStreeetMap, ora è a disposizione della comunità di appassionati di montagna e #Lagorai

Giugno 13, 2017
di Agh
2 commenti

33 domande ad Alessandro Gogna

“E’ sicuro che a chi piace camminare piace la montagna. E’ meno sicuro per i ciclisti e per gli alpinisti, che metto sullo stesso piano perché entrambi, per andare in montagna, hanno bisogno del loro giocattolo. Quando invece l’escursionista si basta da solo”

Alessandro Gogna, alpinista di punta dagli anni ’70, guida alpina, storico dell’alpinismo, ambientalista fondatore di Mountain Wilderness. E’ autore di conferenze, articoli e libri sul tema della montagna e dell’alpinismo (foto per cortesia A. Gogna)

Chi è l’alpinista? Leggendo spesso di avventure, imprese ardite e molte tragedie, sorge il sospetto che sia fondamentalmente un disadattato. Qualcuno che, a differenza della maggioranza, cerca di sfuggire una vita normale.

Per rispondere a questa domanda occorre intendersi sul concetto di “disadattato”. Se per “disadattato” s’intende persona cui vanno strette le regole di una società che sempre meno rispetta l’individuo e che sempre più tende a trasformarlo in “consumatore” di qualunque cosa possa essere messa in vendita, allora sì, l’alpinista è un disadattato, fiero di esserlo. Se invece s’intende persona che nutre sentimenti di rivalsa e odio per la normalità, allora no, l’alpinista non è un disadattato.

Buttarsi dalle montagne con la tuta alare o scalare montagne senza corda, a noi gente comune sembra follia pura. Questa ricerca ossessiva “dell’adrenalina” non è qualcosa di patologico? Una sorta di dipendenza dalle emozioni forti per sentirsi vivi in qualche modo? Un gioco che somiglia molto alla roulette russa?
Il confine tra “ricerca di adrenalina” e “ricerca pura” è assai labile e cangiante da individuo a individuo. Facilmente ci si può sbagliare, credere di essere in un campo e ritrovarsi invece in un altro. Chi invece osserva deve stare attento a non proiettare le proprie paure su altri individui che gli sembrano “diversi”. I soli che possono sapere di quanto stanno sconfinando sono i diretti interessati, naturalmente però sono i primi a rischio errore di auto-valutazione. I giochi tipo tuta alare o free solo non perdonano il minimo errore, pertanto è vero che si differenziano da altri giochi dove l’errore è più o meno tollerato. A mio parere i protagonisti di questi giochi (più o meno esposti al pubblico, ma oggi con la go-pro e i social tutti possono esserlo) dovrebbero interrogarsi giornalmente sulle proprie pulsioni e accertarsi che non via sia nella propria psiche alcuna intromissione indebita di terzi (sponsor, fans, ecc.).

L’alpinismo di alto livello si può considerare uno sport estremo? Anzi si può considerare uno sport?
L’alpinismo di qualunque livello non può essere considerato uno sport, solo per il fatto che, di principio, non è sottoposto a regole e che il gioco può cambiare epoca dopo epoca. L’alpinismo può diventare però un’attività estrema nel momento in cui sia praticato per la pura ricerca di adrenalina o per confermare il proprio status di notorietà.

E’ più “eroico” chi scala il K2 e rischia la pelle o chi accetta la quotidianità e va tutti i giorni in ufficio?
Anche qui la risposta varia con il significato che si dà alla parola “eroico”. In ogni caso per me “eroico” è chi va tutti i giorni in ufficio contento di farlo. Gli scontenti non sono eroi, ma vittime. Chi scala il K2 in nessun caso può essere un eroe solo per il fatto di averlo salito, qualunque sia il significato che vogliamo dare alla parola “eroe”.

Ammesso abbia qualcosa da insegnare, cosa insegna la montagna? A te cosa ha insegnato?
La montagna può essere intesa in tanti modi. Può essere oggetto d’amore (montanari, naturalisti, ambientalisti, turisti, alpinisti) ma può anche essere oggetto da sfruttare (investitori, montanari, turisti e alpinisti). Come si vede, alpinisti, turisti e montanari possono essere in entrambi i campi, e con diverse sfumature. Se la si ama, la montagna insegna a vivere in serenità con noi stessi (e scusate se è poco).

Qual è l’alpinista, contemporaneo o del passato, che ammiri di più in assoluto e perché?
Angelo Dibona, un marziano extraterrestre che il fascismo ha relegato in un angolino solo perché, non certo per colpa sua, aveva guerreggiato dalla parte del nemico.

La persona che ammiri di più invece al di fuori dal mondo dell’alpinismo?
Beh, qui la scelta è più vasta… I primi che mi vengono in mente (tra i non viventi) sono Arne Naess e Albert Einstein.

Quelli che non vanno in montagna non capiscono il senso di arrivare su una cima: non solo scalando, ma neppure a piedi. Come glielo spiegheresti?
Non glielo spiegherei. Non credo che noi, amanti invece del raggiungere le cime, dobbiamo a tutti i costi fare proseliti. E in più credo che l’esempio lo dai meglio se taci. Dovessi proprio spiegarlo a qualcuno, non esiterei a portarlo in montagna, in silenzio. Solo così ha possibilità di capire.

Perché si scala? Per quale motivo si diventa alpinisti? È un gioco? Un tornare bambini? Una sfida con se stessi o con gli altri? Tu come hai cominciato e perché?
Io ho cominciato in Valsugana davanti a un tabellone con il disegno delle montagne e degli itinerari. E’ stata una rivelazione immediata, così forte che non mi ha richiesto alcuna spiegazione. Quando t’innamori di qualcuno non ti chiedi perché o se è un gioco. Non ti meravigli se per caso torni a essere un po’ bambino. Non ti chiedi se stai sfidando qualcosa o qualcuno. Ti sembra che non ci sia altra realtà che quella.

Sebbene tu non sia più giovanissimo, conservi un’ottima forma. Cosa fai per mantenerla?
Purtroppo non è del tutto vero che la mia forma sia ottima. In ogni caso vado abbastanza regolarmente ad arrampicare, cosa che ovviamente include anche il camminare. Il vino mi piace come prima.

Ti fa paura la vecchiaia? E’ qualcosa che accetti o cerchi di combattere?
Sì, mi fa abbastanza paura. Razionalmente so che è inevitabile, e che il mio cammino in quella direzione è già abbastanza inoltrato. In ogni caso l’accetto, sapendo che ogni tentativo di combatterla favorirebbe il gioco della nemica. E sapendo che l’unica alternativa è senz’altro peggio. In quest’attesa, cerco il modo di essere il più possibile sereno.

Se dovessi dare qualche consiglio a un giovane, non necessariamente riguardo alla montagna, e secondo la tua esperienza di vita, cosa gli raccomanderesti?
Gli consiglierei di decidere sempre dopo una ragionevole riflessione. Va dove ti porta il cuore e non pensare che potresti sbagliare strada. E’ peggio attendere che decidere sbagliato. Gli ricorderei che il primo scopo delle regole è quello di non osservarle supinamente. Io fondamentalmente spero che verrà il giorno in cui non avremo più bisogno di regole imposte, perché la pena di morte non ha il potere di diminuire la criminalità; bensì ha solo quello di accarezzare e coccolare il nostro misero desiderio di vendetta.

Vivere di alpinismo si può? Come campa oggi un alpinista di alto livello? Le sponsorizzazioni sono sufficienti? La “pressione” dello sponsor non induce a rischiare di oltrepassare il proprio limite, di cercare imprese sempre più azzardate? E i social non contribuiscono a spingere questa corsa all’impresa stupefacente dove spesso si rischia la pelle?
Troppe domande in una… Non so se oggi un alpinista di alto livello riesca davvero a campare solo con questo. Non credo. Io non sono mai stato sponsorizzato per nulla, e solo per il motivo che non ho mai voluto. Avvertivo l’oscuro pericolo che si cela dietro a quel contratto. Nessuno ti dirà mai di fare imprese sempre più azzardate, il primo da cui guardarti rimani tu stesso. E’ un’imboscata che ci facciamo da soli, quella che nasce con il pensare a mantenere viva la notorietà che ci ha invasi. Una fonte di tragici errori. Social e sponsor sono sulla stessa barca e ci offrono di traghettare con il miraggio di una salvezza. Gli emigranti traghettati non hanno altra scelta, invece noi sì. La salvezza è solo dentro di noi.

Parliamo di ambiente, un tema su cui sei da sempre molto sensibile. Sei tra i fondatori di Mountain Wilderness: cosa ti ha spinto a questa decisione, c’è stata una ragione particolare? Dal 1987, anno della fondazione, sono passati ormai 30 anni e il mondo è cambiato profondamente. Se dovessi fare un bilancio?
Difficile fare un bilancio, ma di certo non tornerei indietro nella sventata superficialità in cui vivevamo prima del 1987. C’è solo il rimpianto di non averlo fatto prima, di non aver cominciato a lottare anni prima. Per il resto, se ci mettiamo a misurare successi e insuccessi, il bilancio è negativo. Solo la nostra coscienza è a posto.

Ci sono molti movimenti ambientalisti o di protezione degli animali, ma in Italia sembra impossibile fare massa critica, ciascuno va per conto suo e quindi incide poco o nulla. I Verdi sono addirittura estinti come forza politica. Gli italiani vogliono tornare alla natura ma, come si dice, nessuno vuole farlo a piedi. Insomma quanto è realmente viva la coscienza ambientalista? In una società in cui “ambientalista” e “animalista”, come “buonista”, sono diventati termini usati spesso in senso dispregiativo?
E’ proprio osservando questa confusione (di termini, di significati, di intenti) che mi sono risolto, da tempo, a non fare più parte di alcuna associazione di quel genere. Sì, è vero, sono garante di Mountain Wilderness International, ma ho avuto troppe delusioni per condurre vita attiva nell’ambito dell’associazione. Probabilmente non ci sono portato. Nella mia anti-politica sono convinto che ciascuno deve gestire le proprie verità da solo, costasse anche il caos. Meglio il caos che l’ordine senza vita né fantasia. Meglio predicare la propria verità nel caos che essere zittiti nell’ordine di una prigione intellettuale.

Parlando con diverse guide alpine, sembra che gli italiani siano tra i peggiori camminatori, a differenza ad esempio dei tedeschi. Una gita con più di 700-800 m di dislivello diventa qualcosa di improponibile. Quale percezione hai al riguardo? Perché l’italiano non cammina?
Tutto vero. L’italiano medio non cammina probabilmente per lo stesso motivo per cui non ama le bellezze, l’arte e la cultura di cui è circondato. Siamo così pregni di storia, arte e cultura che in qualche modo dobbiamo difendercene, e questo è un momento storico in cui tutto ciò è davvero evidente. Sì, abbiamo paura di camminare, di immergerci ulteriormente nel mondo del divino. Ed è sempre per questo motivo che la nostra fede è in netto declino.

Ci si interroga spesso se ci sia più o meno gente che va in montagna rispetto ad un tempo. A me pare ci sia un certo calo, e comunque giovani in giro se ne vedono pochi. Forse sono in aumento i “passeggiatori” da rifugio, che arrivano a tiro con l’impianto, “carburano” l’appetito con una camminata di un paio d’ore al massimo per poi farsi una bella mangiata. Anche le falesie in genere sembrano piuttosto frequentate: normalmente non richiedono ore di marcia e, tra una arrampicata e l’altra, ci scappa magari anche la grigliata con gli amici. Qual è la tua impressione al riguardo?
Non ho dati precisi al riguardo. A parte le falesie, tutto quanto descrivi c’era anche tanti anni fa. Sulle Alte Vie c’è un italiano contro nove tedeschi, sembra. Azzarderei che il motivo è sempre quello esposto nella risposta precedente.

La questione ambientale oggi sembra un tema che suscita interesse e dibattito in tutto il mondo. Come ti immagini la nostra società tra 50 o 100 anni?
La maggior parte delle volte che ho cercato di fare “profezie” mi sono accorto in seguito, a conti fatti, d’essermi sbagliato. Nessuno può avere idea di come sarà la società tra 50 o 100 anni, soprattutto se il nostro scopo è quello di esprimere un “peggio” o un “meglio” al riguardo. E’ molto più sensato agire “ora” secondo le nostre profonde convinzioni, cercando di smascherare chi agisce “ora” per i propri interessi.

Da una parte c’è lo spopolamento della montagna, all’opposto il suo sfruttamento. L’industria dello sci ha colonizzato ormai tutte le Alpi: nonostante il riscaldamento del clima che pare ormai evidente a tutti, avvalorato anche dalla comunità scientifica, sembra che nessuno voglia fare un passo indietro perché, si dice, non esiste alternativa allo sci. Ma è davvero così?
Sappiamo entrambi che non è così. Lo sci è praticamente moribondo, quasi ormai come lo sci estivo. Con il nostro parlare e scrivere dobbiamo riuscire a costringere l’imprenditorialità becera in sacche di resistenza, ma contro l’imbecillità non esiste ancora un vaccino. Come dicevi prima, gli italiani vogliono tornare alla natura ma, come si dice, nessuno vuole farlo a piedi: lo faranno il giorno in cui non ci saranno più le auto oppure queste avranno costi di gestione inaffrontabili.

Un marketing sciagurato propone una montagna sempre più modaiola con eventi, concertoni in quota, varie attività “adrenaliniche” ma ovviamente sempre in perfetta sicurezza (una vera ossessione). Insomma emozioni standard per le masse, a rischio zero. L’avventura da depliant è davvero qualcosa di ridicolmente farlocco, come i percorsi in ciaspole sulle piste battute. Dove andremo a finire?
Data per ottima la tua analisi, dove andremo a finire non lo so. So solo che fino all’ultimo mi opporrò, e con tutte le mie forze. Non è previsto l’arrivo della cavalleria, possiamo solo sperare in un cambio epocale di mentalità che veda eventi, adrenalina e sicurezza per quello che sono: un imbroglio globale per turlupinare le nostre menti.

Altro tema caldo: l’eliski. Spesso questa attività viene sostenuta anche dalle Guide Alpine, che nell’immaginario dovrebbero essere tra i primi custodi dell’ambiente e della montagna. E’ solo ingordigia o serve davvero a far sopravvivere chi fa la guida di mestiere?
Le Guide Alpine che fanno eliski dicono “che devono pur mangiare” (e considerata la modestia degli introiti occorre riconoscere che non si può parlare di ingordigia). Detto questo, quello di una tale Guida Alpina è un vero e proprio tradimento del proprio mestiere. Anche qui serve educazione, serve non stancarsi mai di fare proposte alternative. Serve anche ricordare che, dovesse l’eliski essere proibito per legge ovunque, non ci sarebbe motivo d’essere particolarmente lieti. Alla distanza, qualunque cosa ottenuta con i divieti perde validità etica. Quindi, nell’illusione d’essere finalmente riusciti a raggiungere il nostro obiettivo, questo perderebbe qualunque vera importanza.

La montagna è sempre più considerata come un parco divertimenti. Ora sono spuntati anche i quad (vedi ultima manifestazione tra Veneto e Trentino, contestata da MW e altre associazioni ambientaliste) oppure le bici sui sentieri. Per ora i quad sono pochi, le mtb invece possono diventare un problema serio di convivenza con gli escursionisti. Quelli che si oppongono a questa deriva sono accusati di settarismo, di volere “lo spopolamento della montagna”, eccetera. Qui in Trentino si è provato a trovare un compromesso ma è uscito un pasticcio abbastanza preoccupante: i sentieri, anziché essere vietati di default alle mtb, sono diventati tutti potenzialmente ciclabili in assenza di uno specifico divieto, segnalato con appositi cartelli. Come la pensi al riguardo?
Il problema è in effetti grave. E’ facile e doveroso impedire i sentieri ai motori, per via del rumore e dell’inquinamento. Molto più difficile è la stessa richiesta per le mountain bike. Credo che sarà molto difficile opporsi a questo fenomeno in aumento. Se un sentiero è pianeggiante o in leggera salita sarà comunque invaso; se il sentiero è assai sconnesso, magari esposto, sarà invaso assai meno. Temo che noi pedoni dovremo rifugiarci in tali percorsi. Non credo sia utile una guerra con i ciclisti. Guerra invece, e totale, per le piste di downhill in costruzione o in progetto, che per la natura sono peggio che le piste da sci.

Sei favorevole o contrario alla chiusura dei passi dolomitici? Qualcuno sospetta che, con la scusa della tutela ambientale, sia un’abile manovra per far lavorare a pieno regime gli impianti di sci anche d’estate. Verrà probabilmente il giorno in cui ci si potrà spostare solo con gli impianti di risalita, beninteso a pagamento.
Trovo quest’ipotesi assai fondata. In presenza dell’impianto, meglio che questo funzioni anche d’estate piuttosto che assistere allo scempio dei motori. Parliamo ovviamente dei passi più frequentati (Sella, Pordoi, ecc.), per i quali temo che dovremo adeguarci a una progressiva chiusura. Francamente, non vedo alternativa. Oppure andare tutti a piedi… e boicottare così anche gli impianti.

Avrai certamente seguito la vicenda del ripopolamento degli orsi qui in Trentino. Si è partiti con molti facili entusiasmi ma poi sono arrivati, inevitabili, i problemi di convivenza. Ci sono stati perfino due casi di aggressione piuttosto gravi, per imprudenza dei malcapitati dovuta alla scarsa informazione su come comportarsi nel caso di incontro con l’animale. Dopo questi incidenti, i danni alle colture ma soprattutto agli allevamenti, sembra che i trentini, passato l’innamoramento iniziale, l’orso non lo vogliano più. Contadini e allevatori in prima linea. Alcuni orsi sono stati perfino uccisi, a fucilate o avvelenati. Presto la stessa avversione toccherà ai lupi, che stanno ritornando spontaneamente. “Ma a che ci servono orsi e lupi?” è una domanda che si sente spesso in giro. Sembra non sia concepibile per gli animali altro scopo che non sia quello “da reddito”. Il valore di un ecosistema non pare interessare granché. Una convivenza con questi predatori oggi è possibile?
Con una società di questo genere è del tutto impossibile. Finché qualunque cosa deve fornire un “reddito” non abbiamo speranza. La lotta però deve continuare ugualmente, altrimenti diventiamo come loro.

Un gran numero di orsi in Trentino è stato collarato per controllare gli spostamenti. L’ossessione del controllo è diventata grottesca. Poteva avere un senso a scopo di studio quando sono stati reintrodotti ma oggi, dopo 15 anni? Si è innescata nel tempo una sorta di isteria collettiva, alimentata strumentalmente dai giornali, e la paura irrazionale dell’orso ormai impazza. Gli studenti di un istituto tecnico di Rovereto hanno persino inventato una app anti-orso! Collareremo anche i lupi? O i cinghiali? Ma, ti domando: mettere un radiocollare ad un animale selvatico non è di per sé la sua negazione violenta? Non è il segno di quanto sia ormai netto e irrimediabile il nostro distacco dalla natura?
Collarare un animale è di certo una violenza, più che sull’animale stesso sul modo in cui noi vediamo gli animali. Io mi sento violentato nel momento in cui so che, una delle più chiare manifestazioni di libertà e di istintività, è sottoposta a controllo totale. Tutto il mio essere si ribella, la violenza è fatta a me… Possiamo anche pensare che nel collare possa essere messo un dispositivo in grado di dare la morte all’animale. Ma il collare è un compromesso, un modo per ottenere comunque la presenza nei boschi degli animali selvatici, mi conviene accettarlo. Meglio un animale collarato che un animale assente.

Cesare Zavattini diceva che i ragazzi d’oggi hanno paura anche delle galline. Della natura non sanno nulla: ci sono bambini che non hanno mai visto una vacca o un maiale, non distinguono una pecora da una capra. Come vedi la gioventù in generale? Vive in un mondo migliore o peggiore rispetto a quello delle generazioni precedenti?
La cosa peggiore per i bambini di oggi è la bambagia in cui sono tenuti. L’ossessiva sicurezza, l’assenza di giochi pericolosi sono ancora più dannosi che l’ignoranza al riguardo di vacche e maiali. Anche se quest’ultima, comunque, aiuta a creare quadri ancora più foschi.

Secondo Cesare Maestri, l’alpinista bravo è quello che torna a casa. Hai mai rischiato seriamente di morire in montagna?
Quello che dice Maestri è giusto, ma io penso che l’alpinista bravissimo è quello che, essendo ritornato a casa, perde un po’ del suo prezioso tempo a domandarsi “quanto ho rischiato?”. Considero alpinista al massimo dei massimi chi riesce a rispondere a questa domanda con sincerità. E considero un eroe colui che, in base alle sue risposte sincere, prende i giusti provvedimenti al riguardo di se stesso e della propria attività.

“Passo lento e cadenzato”, questo era il modo di andare in montagna che “i veci” nelle sezioni SAT insegnavano ai novizi. Oggi invece pare che conti solo la velocità. In montagna si corre, si fanno trail, ultra trail, endurance trail, vertical, skyrunning. Si fanno record di salita sulle grandi montagne, si corre perfino sugli 8000. Ma il profeta della velocità, il grande Ueli Steck, è morto mentre tentava l’ennesimo record sul Nuptse, pare addirittura durante un allenamento. Questa corsa alla velocità, dai runner dilettanti ai campioni, come la interpreti?
La interpreto come il modo più semplice ed economico (a parte il costo del cronometro) per non esporsi al pericolo di essere innamorati della montagna. Se sei innamorato, vorresti che il tuo rapporto durasse il più a lungo possibile. Se non sei innamorato, la sveltina è il massimo. Con questo non voglio affatto dire che chi corre non abbia un suo rapporto di amore con la montagna: dico che il tempo impiegato è il miglior sensale che ci sia per un adulterio, quindi occorre stare attenti a quello che si fa se si vuole che la montagna, “arrabbiata”, non ci si rivolga contro.

Montagna e solitudine: secondo i vari decaloghi di sicurezza, non bisognerebbe mai andare da soli. Ma allora si dovrebbe cancellare metà storia dell’alpinismo e anche, più modestamente, milioni di escursioni meravigliose proprio perché fatte in solitaria. Penso che la solitudine in montagna sia un potente amplificatore dei propri sentimenti. Nel bene e nel male. Non tutti sono disposti a farci i conti. Tu hai affermato di non essere un solitario di natura, ma di aver fatto scalate importanti in solitaria non per scelta ma per mancanza di compagni. Come consideri la solitudine?
Ho fatto scalate solitarie sia per mancanza di compagni che per voglia di risolvere dei problemi. La solitudine è lo stato base dell’essere umano e l’andare in montagna da soli acuisce questa condizione. Bravo a chi ci riesce, ma anche bravo a chi non si sente di farlo e quindi non lo fa. E’ vero che emozioni e sentimenti vengono amplificati, dunque possiamo concludere che è proprio per la paura di quest’amplificazione che in genere non si va in montagna da soli. C’è ovviamente una bella differenza oggettiva tra una passeggiata solitaria nei boschi e un free solo su qualche parete pazzesca. Ma le motivazioni rimangono le stesse, dunque per affrontare le grandi pareti in solitaria occorre avere la stessa serenità di chi traversa un bosco da solo. Per fare questo occorre un lunghissimo allenamento, in confronto al quale l’allenamento fisico, anche se intensivo, richiede molta meno energia.

A differenza di qualcuno dei tuoi colleghi, più o meno famosi, non ti si vede mai in televisione. C’è una ragione particolare o è un caso?
Sono un vekkio, caro mio. La gente vuole vedere visi giovani in tv e io non faccio nulla per apparire tale.

Sei tra i pochi alpinisti di fama che si “sporcano le mani” su internet, dove sei molto attivo con il tuo blog (gognablog.com) e sui social. Come mai questa scelta?
Dopo anni di astinenza dovuta alla crisi dell’editoria, la mia furia di scrivere e tentare di far leggere le cose belle degli altri ha trovato finalmente una strada. Devo dire che sono abbastanza orgoglioso di ciò che sto facendo, badando a esprimermi praticamente solo con il mio blog e relegando l’importanza di facebook, twitter e instagram a puri mezzi di diffusione, rifiutando cioè per principio di prendere parte alle mille polemiche che nascono dopo mille post su facebook.

Di’ per favore qualcosa di incoraggiante a noi modesti escursionisti domenicali, che certe imprese in montagna le possiamo solo sognare. Qual è secondo te il valore dell’escursionismo?
Dalle mie risposte precedenti dovrebbe evincersi quanto io ritenga l’escursionismo alla base della passione per la montagna. E’ sicuro che a chi piace camminare piace la montagna. E’ meno sicuro per i ciclisti e per gli alpinisti, che metto sullo stesso piano perché entrambi, per andare in montagna, hanno bisogno del loro giocattolo. Quando invece l’escursionista si basta da solo.

Hai dei progetti su cui stai lavorando e che ci puoi anticipare?
Sì, confesso che mi piacerebbe (e ci sto lavorando) creare un portale della montagna che raccolga le migliori intelligenze in questo campo.

Per concludere: una domanda che avresti gradito e non ti ho fatto
Dopo 33 domande avresti dovuto avere una fantasia incredibile… ma preferisco rimandare il tutto alla prossima puntata!

Intervista di Alessandro Ghezzer

Il blog di Alessandro Gogna

Marzo 5, 2017
di Agh
2 commenti

Micro guida per mappare su OpenStreetMap

Micro guida per mappare su OpenStreetMap (per montanari)

Schermata 2017 02 20 alle 21.15.58

Iscrizione

Per mappare su OpenStreetMap (OSM), è necessario anzitutto iscriversi

Schermata principale

Dalla schermata principale si può navigare liberamente nella mappa col mouse oppure cercando un luogo specifico nella casella di ricerca a sx.

Per noi montanari meglio selezionare la visualizzazione mappa ciclabile dall’elenco a dx che rende meglio la morfologia del territorio. Si entra quindi nella modalità Modifica con ID
Schermata 2017 02 19 alle 08.57.14

Pic 1: schermata principale

Cosa mappare e come

La prima schermata è oggettivamente terrificante per il novizio. Appare un guazzabuglio di linee, aree colorate e simboli incomprensibili. Ma non devi lasciarti spaventare, in realtà i concetti sono semplici. Conviene anzitutto togliere gli elementi di “disturbo”, deselezionando usi del territorio e confini per avere una mappa meno affollata di dati e più pulita.

Cosa mappare? Tutto quello che ti pare e che ovviamente manca nella mappa: una malga, un laghetto, un sentiero, una forcella, una croce di vetta, una quota altrimetrica. Non è indispensabile avere per forza un GPS: puoi anche aggiungere informazioni di cui sei a conoscenza diretta e di cui sei sicuro, es. il nome di una forcella, o di una malga. Puoi aiutarti eventualmente con altre mappe, per esempio la Kompass online o altre mappe su carta, anche se è sempre preferibile mettere informazioni rilevate in prima persona, così eviti di copiare errori altrui 🙂

Schermata 2017 02 19 alle 09.22.46

Pic 2: deselezionare usi del territorio e confini per avere una mappa più “pulita”

Punto, linea, area

Tutti i dati contenuti in OSM sono inseriti per mezzo di: punto, linea, area.

Es: una cima è un punto, un sentiero è una linea, un lago è un’area

Schermata 2017 02 19 alle 08.58.06

Pic 3: tutti gli elementi nella mappa sono definiti con punti, linee o aree

Quindi, a seconda di quello che vuoi mappare, basta selezionare il punto, la linea o l’area, e posizionarlo in mappa.

Mappare una cima

Selezionando il simbolo del punto, posizionare la vetta in mappa. Ogni elemento aggiunto in OSM, oltre alla sua posizione geografica, deve avere dei tag (etichette) che ne definiscono le caratteristiche. I tag sono in realtà migliaia ma per mappare una cima ne sono sufficienti 3: il nome, la quota, il tag “natural=peak” che definisce il punto come elemento naturale. Col tasto salva immetti il nuovo elemento aggiunto alla mappa, che sarà visibile in genere nel giro di pochi minuti in tutto il mondo. Al momento di salvare è opportuno mettere un breve commento su quello che hai mappato: “es mappata Cima Costalta”, come promemoria per te o per altri che, in futuro, esamineranno l’elemento.

Schermata 2017 02 19 alle 08.59.37

Pic 4: Selezionando un elemento in mappa, appaiono sulla sx i relativi tag che lo definiscono

Mappare un lago

Il procedimento è identico a quello di mappare una cima, salvo che si userà il simbolo area anziché il punto: individuato il lago da mappare, e verificato che non sia già mappato (in questo caso è coperto da un’area azzurra) delimitare il contorno dello specchio d’acqua con una serie di punti. L’area si chiuderà quando fai coincidere l’ultimo punto col primo. Quindi è necessario assegnare i tag, in questo caso: nome, quota, natural=water, water=lake. Quando hai finito clicca su salva.

Schermata 2017 02 19 alle 11.09.46

Pic 5: con lo strumento “area” si mappano superfici: edifici, laghi, radure boschive, etc

Mappare un sentiero

Questo è un procedimento leggermente più impegnativo dei precedenti, ma il principio è sempre lo stesso. Avendo una traccia in formato .gpx (ottenuta con uno strumento GPS o anche con lo smartphone), bisogna caricarla in OSM sotto la voce tracciati GPS – carica un tracciato (o ancora più semplicemente, trascinarla nella finestra di OSM aperta in modalità “modifica”)

Schermata 2017 02 19 alle 10.13.40

Pic 6: i tracciati gpx vanno caricati in Osm

Il principio è che il tracciato NON apparirà automaticamente in OSM, ma ti servirà per ricalcare una traccia “pulita”. Perché? Perché le tracce gps non sempre sono perfette e pulite: se ti sei allontanato dal sentiero per andare a fare una foto, per correre dietro a un camoscio o semplicemente per andare a cagare :), è opportuno che queste digressioni non siano riportate in OSM. Carica la traccia e quindi clicca su modifica e ti apparirà la traccia nella mappa.

Schermata 2017 02 19 alle 10.15.27

Pic 7: la vostra traccia gpx pronta da ricalcare

A questo punto ricalca con una serie di punti la tua traccia, aiutandoti con l’immagine aerea dello sfondo (consigliabile lo sfondo “Mapbox satellite”). Cerca di essere preciso, se il sentiero o la strada fa una curva non tracciare un angolo retto ma traccia una curva decente. E’ importante che il sentiero sia collegato, all’inizio e alla fine, ad altri sentieri, strade, strade forestali se presenti, per stabilire una relazione con gli altri elementi: per esempio, se un sentiero si stacca da una strada, il sentiero va collegato alla strada cliccando il primo punto su di essa. Idem per l’arrivo se si collega ad un altro sentiero o una strada. Disegnato il nuovo tracciato, occorre come al solito definire i tag, selezionando dall’elenco a sx la tipologia (strada, sentiero, etc) e quindi, a cascata, i sottomenu fino alla definizione dei tag.

Schermata 2017 02 19 alle 10.25.01

Pic 8: Inserito l’elemento, si assegnano i tag dal menù a sx

I sentieri possono avere molti tag che lo definiscono: il nome (es. E324, o “Sentiero delle Caore”), il tipo di fondo (pietroso, terroso, erboso, etc), la difficoltà (sentiero turistico o alpinistico etc), la visibilità (presenza o meno di segnature, cartelli etc) percorribilità con MTB etc.

Non è obbligatorio riempire tutti i campi ma solo quelli che riteniamo importanti: per esempio il numero di sentiero, il grado di visibilità e difficoltà sono sufficienti. Uno dei dati più importanti di un sentiero, se non il più importante, è la visibilità: è ben tracciato? Ha indicazioni con cartelli o segni? Oppure si vede a malapena?

Quale tag?

I tag come detto sono migliaia, perché definiscono migliaia di elementi naturali e artificiali. Come orientarsi? Il montanaro userà per forza di cose un numero di tag ridotto perché in montagna non ci sono ferrovie, metropolitane, aeroporti o altre infrastrutture che hanno bisogno di tag specifici. In caso di dubbio, per taggare correttamente una malga, una sorgente, una panchina, un bivacco, basta consultare la guida dove potete trovare tutti i tag possibili e immaginabili. Basta cercare il più adatto al nostro caso.

Conclusioni

Ultima raccomandazione: prova, smanetta, bestemmia. Non è così difficile come sembra. Se si sbaglia qualcosa si può tornare indietro con l’apposita freccia, se si fanno disastri basta uscire senza salvare nulla.

Non mappare a casaccio, cerca di essere preciso. Per rispetto di te stesso e anche della grande comunità di cui entri a far parte nel momento in cui inizi a inserire e condividere informazioni. Tutti vorremmo avere sempre informazioni affidabili.

La comunità dei mappatori è grande e si autocorregge quando i dati sono sbagliati o imprecisi. Tu stesso puoi correggere gli errori di altri. In questo modo OSM cresce e diventa sempre migliore, a disposizione di tutti, gratis. Non di rado le mappe OSM sono più dettagliate e aggiornate di quelle commerciali. In montagna ad esempio sono enormemente migliori delle mappe Google, che non hanno nessun sentiero. Non è meraviglioso?

Questa micro-guida non ha certo la pretesa, impossibile, di insegnare a usare bene OSM, ma solo lo scopo di far comprendere i concetti basilari. Il resto viene provando, smanettando, impegnandosi un po’, chiedono ai più esperti, ciascuno secondo le sue capacità e possibilità, per un mondo migliore :).

Se avete suggerimenti per migliorare questo documento: aghezz@gmail.com
Scritto da Agh per girovagandoinmontagna.com
febbraio 2017

Openstreetmap – sito ufficiale
Guida ai tag per mappare
La cartografia OpenStreetMap per l’escursionismo in montagna (in breve)

Novembre 25, 2016
di Agh
65 commenti

Ravanàge: l’arte di incasinarsi in montagna

Il leggendario Monsieur De Ravanage

Il leggendario Monsieur De Ravanage

Ravanage, un’arte perduta
Il ravanage si ispira alla figura leggendaria di Monsieur De Ravanage, geografo di origini francesi precursore dell’escursionismo moderno. Egli girovagò in lungo e in largo per buona parte dell’arco alpino, finché un sabato pomeriggio di un lontano febbraio del 1885 scomparve durante una tormenta di neve. La sua ultima frase fu: “Esco un attimo a comprare le sigarette”.

Il suo cadavere ibernato fu ritrovato 75 anni dopo, inspiegabilmente, sul versante meridionale della Brenva (Monte Bianco). Furono recuperati anche i suoi scritti, perfettamente conservati a 4200 metri di quota dentro ad una truna (cunicolo di neve). In attesa di interpretare correttamente il suo pensiero, per la verità piuttosto confuso, gli studiosi stanno raccogliendo ulteriore materiale per la stesura definitiva delle regole di questa originale disciplina sportivo-filosofica.

"Di qua la neve tiene benissimo..."

“Di qua la neve tiene benissimo…”

"Vedrete che neve farinosa!

“Seguitemi, vedrete che neve farinosa!”

Ravanage, una filosofia di vita
Il ravanage è una pratica sportiva o, per meglio dire, una filosofia di vita, legata strettamente con l’escursionismo, di cui è una variante per taluni fondamentale e anzi irrinunciabile. Consiste grosso modo nel “girovagare per le montagne al di fuori dei sentieri, deliberatamente o involontariamente, quasi sempre in situazioni impreviste e variamente difficoltose”. Una delle frasi tipiche è: “Tagliamo di qui che facciamo prima”. Cosa che in realtà non accade quasi mai e che implica invece:

  • perdita parziale o totale dell’orientamento
  • prolungamento abnorme del percorso inizialmente previsto
  • infognamento in mugaie o boscaglie di ontani su terreni impervi che implicano dislivelli e fatiche immani
  • gravi sofferenze fisiche e morali, prossime allo sfinimento
  • rientro alla base per il rotto della cuffia, col buio incombente o addirittura a notte fonda.

Ravasutra: "Pelle di leone" (Agh)

Ravasutra: “Pelle di leone” (Agh)

Ravanage in boscaglia (Agh)

Ravanage in boscaglia (Agh)

Una delle esperienze più terribili: la mugaia labirintica

Profilo psico-patologico del ravanatore
Secondo accreditati studi clinici il ravanage è, probabilmente, una forma larvata di masochismo per cui il soggetto, sostanzialmente un disadattato, o un esaltato, non sceglie mai il percorso più semplice e sicuro ma quello poco o per niente conosciuto, con un’attrazione morbosa verso l’ignoto e, più in generale, verso “i casini”.  Curiosamente, sembra una patologia tipicamente maschile. Chi ne è affetto, spesso uno pseudo maschio-alfa, tende a trascinare con sé altri sciagurati. Gli imprevidenti che si fidano di lui, amici, mogli, fidanzate, sono così coinvolti in spaventose escursioni-calvario. La pratica del ravanage può indurre alla fine precoce di amicizie, fidanzamenti, matrimoni. Per i maschi vale tuttavia il motto: una donna che ravana, è una donna che ti ama. Nei soggetti predisposti, il ravanage può essere contagioso.

Ravanage e derivati
Il termine “ravanage” si è diffuso in Italia per la prima volta verso la metà degli anni ’90, agli albori di internet, nel newsgroup it.sport.montagna che riuniva molti appassionati di montagna. Dal termine ravanage deriva quindi il verbo ravanare, ravanaggio e soprattutto ravanata, a significare un’escursione particolarmente movimentata, tipicamente quella che “si sa come comincia ma non come finisce”.

La ravanata perfetta
E’ quella in cui sono coinvolti soggetti femminili, ad aggravare ulteriormente la situazione già difficile con lamentele varie, accuse, imprecazioni, recriminazioni, offese.
“Ravaner” quindi è colui che pratica, più o meno consapevolmente, il ravanage. La ravanata non deve necessariamente concludersi con una disgrazia: anzi il ravanage più riuscito è quello a lieto fine, cioè l’arrivo a destinazione sfiniti (quasi sempre alla macchina rimasta in tanta mona) ma sostanzialmente incolumi o, al massimo, con escoriazioni o ferite leggere che non comportino il ricovero ospedaliero. Sono le ravanate più riuscite che i ravaners, incalliti o occasionali, si appuntano al petto come medaglie,  struggente ricordo nelle lunghe e tetre serate invernali.

Il Ravasutra
Il ravanage in realtà si pratica in ogni stagione: quello invernale con gli sci, da alpinismo o da escursionismo, o con le ciaspole, prevede una serie di figure, cioè cadute più o meno rovinose, che stiamo raccogliendo in un manuale illustrato: il Ravasutra. Chi avesse documentazione fotografica valida in questo senso è pregato di inviarla a: aghezz@gmail.com. Di seguito alcuni esempi:

Ravanage in boscaglia

Ravanage in boscaglia

Alle soglie dello sfinimento fisico e morale

Alle soglie dello sfinimento fisico e morale

Calano le tenebre e si profila l'incubo peggiore: il ravanaggio notturno

Calano le tenebre e si profila l’incubo peggiore: il ravanaggio notturno

Come far far piangere un uomo: infognamento notturno in boscaglia di ontani

Come far piangere un uomo: infognamento notturno in boscaglia di ontani

Una figura classica del Ravasutra: il fantozziano "pelle di leone" (foto Uli

Una figura classica del Ravasutra: il fantozziano “pelle di leone” (foto Uli)

Si sta tentando anche una classificazione del ravanage coi vari gradi di difficoltà, come per l’alpinismo e l’escursionismo.

1) REF – Ravanage Escursionistico Facile
Ravanata semplice prevalentemente fuori sentiero, con poco dislivello, ma dove si devono attraversare cespugli spinosi (praticamente impossibile l’aggiramento pena un innalzamento di grado)
Variante scialpinistica: attraversamento di boschetti di ontani o mugaie, con neve preferibilmente marcia o crostosa

2) REM – Ravanage Escursionistico Medio
Percorso completamente fuori sentiero, con discreti casini nell’orientamento, notevole dislivello involontario, sterpaglia spinosa fitta o ghiaione del tipo “un passo avanti e due indietro” ovviamente da fare in salita, pioggia fastidiosa, nebbia in formazione. Variante scialpinistica: nevicata fastidiosa di aghi ghiacciati, mugaie, scarsa visibilità, neve crostosa, marcia o zoccolifera

3) REC – Ravanage Escursionistico Cazzuto
Percorso fuori sentiero e fuori orientamento, con svariati andirivieni inconcludenti da un versante all’altro, con severo dislivello (involontario beninteso), preferibilmente in boscaglia con sterpaglia spinosa e su pendio scosceso; uno scarpone che fa male, pioggia battente, visibiltà ridotta, discreto assortimento di bestemmie.
Variante scialpinistica: fitta nevicata, visibilità ridotta, neve crostosa o farinosa pesante, marcia o zoccolifera, sfinimento fisico e morale tendente alla disperazione, tuttavia ben dissimulata nei confronti dei compagni con falsa allegria e battute cretine.

4) REI – Ravanage Escursionistico da Incubo
Percorso con perdita quasi totale dell’orientamento in boscaglia più o meno impenetrabbbile, o in forra profondissima e a precipizio, preferibilmente con pericolo di valanga se in inverno, scarponi che fanno male, perdita o rottura di almeno un bastoncino, buio incombente, bestemmioni paurosi, crisi di pianto. Dislivello di almeno 1600 m.
Variante scialpinistica: distacco di una pelle di foca, male boia ai piedi con perdita di almeno un’unghia, attacco che si sgancia ogni 10 minuti, zoccoli “a zatterone” sotto a entrambi gli sci. Perdita dei guanti. Riso isterico. Cellulare con campo ma con batterie scariche.

5) RES – Ravange Escursionistico da Suicidio
Percorso surreale senza alcuna logica apparente, in boscaglia tipo jungla amazzonica spinosa o urticante su versante pericolosissimo, forra o canyon a picco senza vie d’uscita, preferibilmente al buio con pile della luce frontale scariche, senza acqua né viveri, dolori lancinanti ai piedi, perdita di entrambe le unghie degli alluci dei piedi, bivacco forzato incombente, tempesta o bufera. Crisi di pianto a dirotto, allucinazioni, visione mistiche. Dislivello: ininfluente o non misurabile.
Variante scialpinistica: perdita di entrambe le pelli di foca, un bastoncino spezzato o perduto, principio di congelamento agli arti inferiori e al naso. Voglia di lasciarsi andare. Cellulare con sufficiente batteria ma assenza totale del segnale.

Avete esperienze di altre forme di ravanage? Segnalatecele!

Agosto 9, 2016
di Agh
5 commenti

Chiudere i passi delle Dolomiti per salvare l’ambiente? Una presa in giro

"Sentiero" nei pressi di Passo Sella

Il “sentiero” a 2300 metri di quota nei pressi di Passo Sella

Ritorna ciclicamente la questione della chiusura dei Passi sulle Dolomiti. La motivazione è sempre la stessa: “Salvare le Dolomiti dal traffico”. Qualcosa però non torna.

Non si capisce infatti come si salverebbero le montagne, posto che sono lì da milioni di anni e se ne fregano delle nostre automobiline, del traffico e di tutto il resto, e ci sopravviveranno tranquillamente per altri milioni di anni. Che problema risolverebbero dunque i pedaggi, le fasce orarie, le chiusure giornaliere ipotizzate o altri espedienti più o meno estemporanei? Riguardo ai pedaggi, osservo: quindi basta pagare e si può tranquillamente inquinare come prima e più di prima?

Il quotidiano il Trentino ha lanciato addirittura una campagna, e il suo direttore si è avventurato in un ragionamento pericoloso: “Consideriamo impensabile entrare a qualsiasi ora e senza pagare in un museo”, suggerendo sottilmente, ma neanche troppo, l’equazione: per vedere le Dolomiti bisogna pagare.

Ma le Dolomiti dichiarate patrimonio mondiale con la patacca dell’Unesco (con la singolare esclusione dei Gruppi di Sella e Sassolungo, come mai?) non sono appunto di nessuno, se non di tutta l’umanità. Ma c’è qualcuno che, evidentemente, si ritiene padrone e quindi in diritto di imporre divieti, pedaggi, fasce orarie. Non si capisce bene peraltro a che titolo, visto che coloro che ora vorrebbero salvare le Dolomiti sono esattamente gli stessi che le hanno maggiormente maltrattate e sfruttate costruendo ovunque strade, piste, impianti di sci, cannoni da neve, bacini di innevamento, secondo case e alberghi in ogni angolo.

Prima si fa di tutto per richiamare i turisti e poi ci si  lamenta che sono troppi, che bisogna regolamentare l’accesso? Curioso. O quanto meno schizofrenico. Chi ci guadagna infatti dai pedaggi o dalle fasce orarie? Ma è ovvio:  gli impiantisti! Che hanno fiutato l’espansione del loro business anche nell’estate. Come? Semplice: obbligando i turisti ad usare gli impianti e sfruttando il nuovo filone dei bikers. Naturalmente si sono tenuti un po’ defilati, forse per non dare troppo nell’occhio. Hanno mandato avanti i politici, i media. Ecco allora gli articoli entusiastici sui giornali: “Le bici sono il futuro delle Dolomiti estive”. Certo i pedaggi, le chiusure con fasce orarie o altre restrizioni non arriveranno probabilmente subito ma gradualmente, per far ingoiare meglio il boccone amaro un po’ alla volta. 

44 euro costa il “bike pass” per fare il giro dei passi usando gli impianti, quasi come il giornaliero invernale. Un nuovo Eldorado da sfruttare con nuove piste, nuovi percorsi, nuovi “bike park”, nuove infrastrutture come parcheggi, svincoli, rotatorie, altro consumo folle di territorio. Altri baracconi estivi da aggiungere a quelli invernali, un assalto totale alla montagna tutto l’anno. Insomma chi ha solo da guadagnare dalla chiusura dei passi sono i soliti impiantisti. Nulla di nuovo sotto il sole.  Ma la difesa seria dell’ambiente è un’altra cosa. Questa somiglia piuttosto ad una presa in giro.

Luglio 29, 2016
di Agh
9 commenti

La mappatura dei sentieri SAT su OpenstreetMap è affidabile?

Mappatura GPS del sentiero da Lago Lares al Lago Pozzoni

Mappatura GPS del sentiero da Lago Lares al Lago Pozzoni in Val di Genova

Da qualche anno, provvedo a mappare i sentieri anche su OpenStreetMap, un bellissimo progetto mondiale di mappe libere e gratuite

Negli ultimi anni ho sempre registrato la traccia GPS  di ogni escursione, utilizzando un semplice loggerRiscontro tuttavia, abbastanza spesso, parecchi “problemi” di precisione riguardo i sentieri SAT (liberamente scaricabili).

Mi chiedevo quindi quanti sono i sentieri tracciati col GPS e quanti sono quelli tracciati a mano.  Sarebbe bello poterlo sapere, per andare a correggere direttamente quelli fatti a mano che sono spesso, per forza di cose, imprecisi. Ma c’è a priori un problema più stringente, che è quello della qualità dei dati su OSM (vecchio problema sul quale rompo spesso le scatole). Chiaramente mi riferisco a quanto mi compete, ovvero i sentieri in montagna, essendo io un escursionista ormai di lunghissima data.

Faccio qualche esempio. Il sentiero O211 in Val Nambrone è ormai impraticabile da anni, ma continua ad esistere sia su OSM che nei file dei sentieri del sito SAT, nonostante  mia segnalazione del 2011 (!). SAT mi ha risposto, riconoscendo che effettivamente il sentiero è impraticabile, di aver tolto il relativo cartello. Tuttavia sulle mappe e nei file SAT, dopo 5 anni dalla segnalazione, è ancora lì. La domanda sorge spontanea: è ancora inagibile o è stato forse ripristinato? A saperlo!

Nel 2011 ho segnalato alla Commissione Sentieri l'assoluta impraticabilità del sentiero. L'errore è stato corretto sui file, il cartello sul posto è stato tolto, la il sentiero su OSM è ancora lì!

Nel 2011 ho segnalato alla Commissione Sentieri SAT l’assoluta impraticabilità del sentiero O211. L’errore è stato corretto sui file, il cartello sul posto è stato tolto, ma il sentiero su OSM è ancora lì!

Sempre per fare degli esempi concreti, un altro problema è il sentiero O215 che attraversa l’Alpe Niscli, nel Gruppo del Caré Alto. La mia traccia GPS e quella  SAT scaricabile dal sito coincidono, quindi è ragionevolmente esatta. Su OSM invece, il sentiero è mappato parecchio più in basso (anche 200 metri in linea d’aria più a valle). Ora: la zona è impervia e ostica,  se uno si fida e cerca la traccia fantasma, magari con poca visibilità, potrebbe avere delle grosse difficoltà e magari andare anche a farsi male. La domanda allora è: esiste anche una traccia in basso come mappata su OSM o è un errore di una vecchia mappatura fatta a mano? Io non lo posso sapere perché non posso percorrere tutti i sentieri del Trentino ma, se così è, perché nessuno la corregge?

In alto la traccia GPS del sentiero 215, in basso la tracciatura su OSM

In alto in viola la traccia GPS del sentiero O215, in basso la tracciatura su OSM: come si vede la differenza è notevole.  Le due tracce, quella giusta e quella sbagliata,  distano anche 200 metri in linea d’aria. Se qualcuno dovesse cercare il sentiero fantasma in basso, magari con poca visibilità, potrebbe andare incontro a grossi guai considerata la natura assai ostica del terreno, fatto di pietraie e salti di roccia

Altro esempio,  il sentiero O216. Quello “vero” che percorre Val Piana verso il Bivacco Jack Canali è addirittura sull’altro versante orografico rispetto a quanto segnato su OSM (e anche su certe carte!), che lo segna sulla sinistra orografica invece che destra. La traccia mappata è in realtà un vecchio sentiero in disuso da anni, come mi ha confermato il malgaro, e si perde in una selva di ontani assolutamente impraticabile. In questo caso non si rischia probabilmente la pelle, ma di perdere un paio d’ore inutilmente ravanando come bestie tra mughi e ontani magari sì. Ho segnalato ovviamente il problema al responsabile dei sentieri Sat: il file è stato corretto nei sentieri SAT scaricabili dal sito ufficiale ma su OSM… il sentiero fantasma è rimasto!

Su OSM il sentiero è addirittura segnato sull'altro versante rispetto al sentiero reale! (in viola la traccia GPS)

Sentiero O216: su OSM è addirittura segnato sull’altro versante rispetto al sentiero reale! In viola la traccia GPS: la traccia sbagliata è un vecchio sentiero in disuso da anni, si perde in una selva di ontani insuperabile.

E’ davvero un peccato che su OSM la sentieristica ufficiale Sat abbia queste imprecisioni o errori, perché in questo modo inficia il lavoro complessivo che è di grande valore.

Correttamente peraltro, la SAT precisa sul suo sito che “I dati non sono frutto di un rilievo di precisione GPS ma in gran parte sono stati digitalizzati utilizzando come riferimento e sfondo la cartografia della Provincia Autonoma di Trento. Non vi è alcuna garanzia sul grado di precisione o sulla correttezza delle coordinate, pertanto, chiunque riscontrasse delle anomalie, inesattezze, imprecisioni o altri problemi nei dati è gentilmente invitato a comunicarlo alla SAT, che provvederà alla verifica della segnalazione”. Questa precisazione però è solo sul sito ufficiale ma non sulle mappe di OSM, quindi l’incauto che si fida ciecamente della mappatura “libera” potrebbe incontrare sgradite sorprese.

Personalmente, quando è il caso segnalo eventuali problemi ma, come si vede, sono spesso segnalazioni vane che finiscono chissà dove, spesso nel dimenticatoio. Dopo un po’ si perde l’entusiasmo e la voglia di segnalare, constatando che le segnalazioni cadono puntualmente nel vuoto.

Credo che con un piccolo sforzo organizzativo ed economico, ovvero comprando un po’ di GPS logger di facile uso, e facendoli girare nelle sezioni SAT, si potrebbe mappare con precisione tutti i sentieri col GPS nel giro di 1-2 anni, magari coinvolgendo le guide e gli accompagnatori di territorio.

Si tratterebbe di uno sforzo corale per ottenere una mappatura di precisione dei sentieri ufficiali SAT su OSM.  Questo sarebbe tra l’altro un valido strumento promozionale del Trentino, della SAT medesima e del sistema di mappe libero di OpenStreetMap. Lasciare le correzioni degli errori alla buona volontà dei singoli, che sono comunque pochi, o che “il sistema si autocorregga” nel tempo, significa procrastinare negli anni la soluzione del problema, che potrebbe invece essere risolto bene e in tempi relativamente brevi. Per risponde quindi alla domanda nel titolo “la mappatura dei sentieri SAT in OSM è affidabile?” la risposta è “mediamente sì”, ma si potrebbe fare con un po’ di buona volontà un notevole miglioramento.

Update 1 agosto 2016: Sat mi ha risposto, segnalandomi che il sentiero O211 è stato ripristinato ed è dunque praticabile. Inoltre esiste la pagina ufficiale in cui è definita la qualità della tracciatura dei sentieri. Ho ricavato quindi questo semplice grafico che illustra, in un colpo d’occhio, la situazione. Onestamente pensavo peggio 🙂 Invece la qualità è tra ottima e alta per il 60,1% dei sentieri. Rimane circa un 39,4 % da migliorare. Molto bene! Sull’argomento comunque ho altre novità su cui tornerò presto in un prossimo post.

La qualità della tracciatura digitale dei Sentieri Sat

La qualità della tracciatura digitale dei Sentieri Sat (dati ricavati da fonte ufficiale SAT agosto 2016)

Febbraio 18, 2016
di Agh
4 commenti

LG G2, lo smartphone per le escursioni in montagna

Lo smartphone LG2

Lo smartphone LG G2, un ottimo prodotto

Dopo oltre 2 anni di uso intenso in montagna, posso dire che lo smartphone LG G2 è davvero un ottimo “mulo” da portarsi dietro nelle escursioni aiutandosi nell’orientamento col GPS interno.

Non è l’ultimo modello ma, proprio per questo, si trova ad un prezzo assai conveniente a poco più di 300 euro. Pratico, robusto (protetto da un guscio supplementare in gel) ha un’ottima autonomia e, utilizzando la funzione di “risparmio energetico” arriva tranquillamente a fine giornata con un margine del 20-35%, anche utilizzando in modo continuo il GPS, la radio o il podcast. Preciso che non lo utilizzo in modo continuativo per orientarmi: la mia necessità principale infatti è fare il punto posizione di tanto in tanto, in combinazione con l’ottima app MyTrails. Per questo scopo risponde perfettamente alle mie esigenze. Per registrare la traccia invece (che LG G2 potrebbe comunque fare senza problemi) utilizzo un comodo GPS data logger che accendo alla partenza e spengo la sera.  Lo schermo di LG G2 da 5.2 pollici è abbastanza grande senza essere ingombrante, il processore è un Quad-core 2,3 GHz di potenza adeguata che rende fluido l’uso. Il GPS è piuttosto veloce nel sincronizzare i satelliti

LG2 con l'app MyTrails

LG G2 con l’app MyTrails e la cartografia Kompass

Punto forte di questo smartphone è l’eccezionale fotocamera da ben 13 Megapixel, che ha una qualità davvero eccellente. Una volta mi è capitato di dimenticare la memoria della macchina fotografica e ho dovuto scattare tutte le foto dell’escursione col telefono: il risultato non mi pare disprezzabile, che ne dite? 🙂

Nei fatati paesaggi di granito del M. Castelletto (foto scattate con LG G2)

foto scattata con LG2

Larici sul Gronlait (foto con LG G2)

cane lupo nel bosco

Passeggiata con Maya (foto con LG G2)

Tramonto nel bosco sull'Altpiano di Piné (foto con LG2)

Tramonto nel bosco sull’Altpiano di Piné (foto con LG G2)

Due difetti di questo ottimo smartphone? Il primo è la memoria è di “soli” 16 GB: se siete smanettoni a cui piace installare centinaia di app o scaricare tonnellate di podcast o video, potrebbe essere un limite. Ma facendo un po’ di pulizia regolare (attenzione non è possibile aggiungere una memoria esterna) è un limite decisamente accettabile. Il secondo è la batteria non rimovibile, a cui si può ovviare con un pratico caricatore portatile). 

Mi sento quindi di consigliare senza remore questo ottimo smartphone: con un costo contenuto ci si porta a casa un apparecchio ancora al passo con i tempi pur non essendo dell’ultimissima generazione, fedele e affidabile compagno di escursioni in montagna. Se non avete pretese eccessive può sostituire addirittura la macchina fotografica.

LG G2 si può acquistare su Amazon (ottimo anche per l’assistenza post-vendita in caso di qualsiasi problema) a questo link: LG G2 Smartphone, Display 5.2 pollici, Quad-core 2,3 GHz, Fotocamera 13 Megapixel, 16GB Memoria. Spendendo un po’ di più, circa 50 euro, si può fare il salto al modello top di gamma LG G4 con schermo leggermente più grande, batteria sostituibile e memoria da 32 GB.