Alba sul Corno di Denno e Corno di Flavona
Sabato 18 ottobre 2014
Finalmente si presenta l’occasione, forse l’ultima di questa stagione per tentare di fare il mitico Sentiero Costanzi nelle Dolomiti di Brenta nordorientali, vagheggiato ormai da anni ma senza mai trovare finora le circostanze giuste. Il meteo ci apre una “finestra perfetta” il 18 e 19 ottobre: due giorni di tempo autunnale sereno e mite. L’idea è di partire dai pressi del
rif. Peller (laghetto Durigal m 1906), fare la traversata fino al
bivacco Bonvecchio e poi, lungo il cammino, decidere come fare il rientro, con opzione principale
il versante est affacciato sulla valle di Tovel. Partiamo all’alba dai pressi del rif. Peller dove parcheggiamo l’auto, raggiungiamo quindi in breve Malga Tassula 2090 e percorriamo la sempre entusiasmante e
grandiosa Val Nana.
La grandiosa Val Nana
I colori dell'autunno
Val Nana, nei pressi di Passo Forcola
Val Nana, sullo sfondo il Peller
Val Nana: da sx Palòn, Peller
Il
sentiero Costanzi 336 sfiora il Passo Forcola e si dirige in costa
verso Cima Nana, quindi aggira il
Sasso Rosso a nord risalendo un erto ghiaione. Con un traverso su roccette insidiose col fondo di ghiaino arriviamo a
Passo Pra’ Castron 2503. Qui facciamo una breve sosta. Un pensiero va ad una cara amica che purtroppo ha lasciato la vita terrena prematuramente, ad appena 50 anni.
. Carpe diem.
Dal Sasso Rosso verso Pra Castron
Ora si inizia a fare sul serio. Ripartiamo per facilissime balze verso
Cima Benon, che costeggiamo sul versante ovest. Arriviamo dunque in quota per l’inizio col brivido: ci affacciamo infatti sullo spettacolo abbastanza terrificante della famigerata “
Schena de mul” (schiena di mulo o schiena dell’asen). E’ una stretta dorsale lunga circa 300 metri con degli spaventosi baratri ai due lati, senza alcuna protezione, ovvero niente a cui assicurarsi. Inizia abbastanza larga ma poi diventa sempre più esile fino a ridursi a circa in metro, un inciampo ed è la fine. Stringiamo le chiappe e, uno alla volta, trattenendo il respiro, passiamo.
Inizio col brivido: la terrificante "Schena del mul"
La temutissima "Schena de mul", senza alcuna protezione: un inciampo e addio (foto LS)
Un inutilissimo e breve spezzone di cordino ci accoglie dall’altra parte. Ma perché non metterlo nel tratto più rischioso? Mah. Vediamo dei cordini e dunque mettiamo gli imbraghi e abbiamo subito un assaggio di quello che ci aspetta. I cordini però finiscono quasi subito: un sentierino decisamente esposto costeggia
Cima Tuena, quindi salendo un risalto roccioso (scala e corde) sbuca su un crinale. Si cala per un pendio erboso molto erto alla
Bocchetta del Vento. Anche qui attenzione massima, uno sbaglio e si vola di sotto. Il sentiero, se così si può dire, è una traccia larga si e no 20 cm, e si arrampica su crinali rocciosi esposti o su prati assai ripidi ed esposti.
Veduta sul Lago di Tovel
Dalla "Schena de Mul" verso Bocchetta e Cima del Vento
Dopo la schena de Mul si percorre in discesa il ripidissimo costone ovest di Cima Tuena
Presso la Bocchetta del Vento, sullo sfondo ancora Cima Tuena
Ogni tanto un provvidenziale cordino ci aiuta nelle discese su prati ripidissimi (foto LS)
Ogni tanto, nei tratti più pericolosi ma non sempre, qualche cordino aiuta la progressione. Io precedo Signo in avascoperta: sotto
Cima del Vento attraverso l’ennesimo insidioso traverso senza alcuna protezione. Svolto dietro un costone e risalgo ancora per un costa erbosa ripida.
Qui accade il fattaccio. Mentre risalgo con attenzione il costone erboso ripido, ad un tratto
sento un urlo! Mi volto di scatto e mi si gela il sangue: vedo dei sassi filare giù per il costone, il cuore mi si ferma e attendo paralizzato dall’orrore l’istante in cui vedrò
Signo precipitare giù per il dirupo. Vedo altri sassi rotolare giù nel vuoto ma non succede nulla. Attimi che sembrano un'eternità. Poi mi riprendo dalla sorpresa e scendo rapidamente il costone per vedere cosa è successo. “No ca**o, no ca**o!!!” mi dico mentre scendo col cuore in gola. Mi immagino di vedere Signo aggrappata coi denti e con le unghie da qualche parte. Ho con me un pezzo di corda da pochi metri, ma sarà sufficiente? Finalmente la vedo: è sul sentiero, in piedi e indenne! Mi sento enormemente sollevato…
Il punto della scivolata: nella foto non si vede ma sotto la parete ripida c'era un canalone con salto nel vuoto
“Sono caduta per un paio di metri” dice tranquillamente quando mi raggiunge. Mi accascio a terra: ho perso cinque anni di vita dallo spavento! Neppure lei sa come ha fatto a cadere ma soprattutto come è riuscita a fermarsi nei primi metri. Sono quei costoni pratosi ripidissimi che se prendi velocità non ti fermi più. E sotto c’era un bel salto nel vuoto. Per fortuna nessun danno serio: qualche leggera escoriazione, un’unghia spezzata. Sono più traumatizzato io di lei... Dopo questo spavento orrendo ripartiamo con attenzione quadruplicata e una certa tensione per l’accaduto che, per fortuna, poi si attenua camminando.
Rifletto sul fatto che davvero in montagna basta un NIENTE per passare istantaneamente dalla spensieratezza alla tragedia.
Veduta verso Campo Flavona
Proseguiamo affrontando ancora salite e discese ripide per crestine, gole, forcella, costoni ripidissimi senza alcuna protezione, col sentierino erboso scivoloso e umido o col fondo di infame ghiaino. Incontriamo la prima persona, un ragazzo che è salito da Termon ed è abbastanza provato dal dislivello e dalla fatica. Dice che “il pezzo più brutto” deve ancora arrivare! Benon! Cima Sassara comunque non dovrebbe essere lontanissima, secondo lui ancora un paio d’ore. Completiamo l’aggiramento di
Cima del Vento 2578, quindi costeggiamo
Cima Livezze 2779, poi ancora salita esposta con brevi tratti attrezzati fino a
Cima Rocca 2830. Siamo in marcia estenuante da quasi 7 ore. Finalmente avvistiamo con gioia da lontano, poco
sotto cima Sassara, il
Bivacco Bonvecchio 2790.
Ecco il miraggio: Cima Sassara col Bivacco Bonvecchio
Verso Cima Sassara (foto LS)
Il sorriso però ci si spegne sulle labbra man mano che avanziamo verso il costone: un baratro spaventoso ci si spalanca davanti. E adesso come diavolo ci arriviamo fin lì? Ci guardiamo in giro sconsolati, il precipizi terrificanti non lasciano immaginare alcuna via comoda ma un altro temendo ravanamento tra creste espostissime e baratri raccapriccianti. Non ci perdiamo d’animo e dopo una breve pausa ripartiamo.
Il sorriso ci si spegne sulle labbra: baratri spaventosi ci separano dal bivacco Bonvecchio
Con traversone infido risaliamo anche
Cima Paradiso 2838, quindi su e giù per un ottovolante di creste, valloncelli, forcelle, sentierini in costa espostissimi da trattenere il fiato. Passato un ultimo tratto infame senza protezioni, ecco finalmente il traverso che ci porta al Bivacco Bonvecchio a quota 2790, dove tiriamo un sospirone di sollievo. Ora il tratto da qui in avanti lo conosco e, nonostante non sia esattamente una passeggiata, mi sento molto più tranquillo.
Cima Paradiso, i crinali verso il bivacco Bonvecchio
Al bivacco si temeva molto la comitiva di tedeschi fuori stagione che occupasse tutti i posti letto e invece no, non c’è nessuno. Ispezioniamo il bivacco, davvero molto bello con gli interni tutti in legno, e sistemiamo le nostre cose. Con una certa sorpresa leggiamo
un avviso della SAT che notifica la chiusura ufficiale del tratto di sentiero Costanzi appena fatto per “manutenzione”. Cerchiamo l’acqua nei pressi del bivacco ma le due sorgenti sono esaurite. Mangiamo qualcosa poi, prima che cali il buio, saliamo fino a cima Sassara 2893, che si raggiunge in circa 15 minuti dal bivacco per il solito crinale esposto, per ammirare il tramonto. Il panorama dalla cima è davvero grandioso, quasi epico: se non fosse per le luci del fondovalle, pare di essere sperduti su un remoto pianeta roccioso.
Bivacco Fratelli Bonvecchio
Salita serale a Cima Sassara a vedere il tramonto (foto LS)
Salendo a Cima Sassara per esposti crinali
Pochi metri per Cima Sassara al Tramonto (foto LS)
Panorama da Cima Sassara 2894, il punto più elevato della traversata
Da Cima Sassara guardando verso il Peller (a dx in fondo)
Ultime luci sul Corno di Denno e Corno Flavona
Il sole è andato, ora si scende al bivacco per la notte
Cala la notte...
Appena il sole se ne va cala un certo freschetto ma non fa freddissimo, dopo le foto di rito torniamo giù al bivacco e ci prepariamo per la notte. Non abbiamo portato sacchi a pelo: useremo le molte coperte a disposizione. Verso le 21 siamo nei letti a castello sprofondati nell’oscurità e quasi in catalessi quando, incredibilmente,
sentiamo delle voci all’esterno! Vediamo una luce fuori dalla finestra.
Ma chi diavolo potrà essere a quest’ora col buio? Entrano due tizi: sono partiti in da Malga Pozzol su per la val Gelada, sostengono di essere rimasti fuori a fare foto notturne! (?). Sarà... Cerchiamo di rimetterci a dormire ma i due tizi armeggiano con gli zaini e le varie masserizie, quindi si mettono a mangiare alla luce fioca delle frontali. Tra tutte le cose commestibili che potrei pensare di portare in un bivacco, solo una non mi sarebbe mai venuta in mente:
carote! Seduti su una panca nella penombra i due sgranocchiano, come conigli giganti, carote una dietro l’altra. Nel silenzio del bivacco immerso nel buio a quasi 3000 metri, risuona il solo rumor di mandibole dei due roditori per quasi un’ora: cric, croc, crunch crunch… Un’ora che pare non finire mai. Finalmente i due smettono di rosicchiare le preziose radici e si mettono a letto. Alleluja! La notte passa senza grossi intoppi, tra poderose russate di tutti (Signo compresa che russa coma una vaporiera). Alle 3.45 mi sveglio, non so per colpa di chi, esco a fare pipì e a guardar le stelle: che spettacolo meraviglioso! Una volta stellata nitidissima nel cielo nero come la pece, mentre il fondovalle è coperto da una candida coltre di nuvole. Torno a letto e ridormo sotto le pesanti coperte fino alle 6.00, quando suona la sveglia.
Partenza!
Lasciamo il bivacco Bonvecchio con un'alba meravigliosa sullo sfondo
Domenica 19 ottobre 2014 Ore 6.30: frugale colazione, caffè, merendina e in poco tempo siamo pronti. Puliamo il bivacco e mettiamo a posto letti e coperte. Siamo preoccupati per la poca acqua, abbiamo ancora circa un litro a testa e ci tocca il razionamento. Abbiamo ricavato ulteriori 500 cc sciogliendo la neve del nevaio fuori dal bivacco, anche se l’idea di bere quella roba non entusiama. Fuori c’è un’alba fantastica, con l’orizzonte colorato di rosa carico. Partono anche i due tizi verso Cima Sassara.
Il mare di nuvole sotto di noi: sullo sfondo Caré Alto a sx e Presanella a dx
Il traversone che costeggia Sasso Alto, sullo sfondo Cima Sassara
Discesa verso Passo di Val Gelada (foto LS)
Il crinale sud di Sasso Alto
Appena rischiara partiamo anche noi, avvicinandoci al
Sasso Alto 2890 coi soliti passaggetti nel solito intrico di cengette, forcelle, canalini, crestine, non sempre protetti da cordino. I tratti attrezzati però sono nuovi di zecca e offrono una bella sicurezza, anzi sono quei rari momenti dove si può tirare il fiato. Dopo una cengia col soffitto roccioso basso dove bisogna andare quasi a gattoni, ecco il
punto chiave più fastidioso: una decina di metri di una “mini schiena” di mulo, da fare con molta attenzione perché se si inciampa addio. Mettiamo giù elegantemente il c**lo per passare con più agio. Anche qui però non capisco: perché non si è messo qualche metro in più di cordino?
Alba sul Corno di Flavona
Quindi giù di quota senza più problemi per la cresta ripida ma ben attrezzata, fino alla scala che immette in cima all’erto e faticoso ghiaione che conduce fino al
Passo di Val Gelada 2676. Qui ci sarebbe la prima via d’uscita per scendere al Sentiero delle Palete e accorciare il rientro, ma decidiamo di proseguire. Ancora traversoni più o meno esposti, con poche o nulle protezioni, con discesa su infido ghiaino fino alla
Bocchetta dei Tre Sassi 2616.
Discesa verso la Bocchetta dei Tre Sassi, a centro Cima Vagliana
Scendendo dal Sasso Alto
Il tratto attrezzato con cordini e scala
Bocchetta dei Tre Sassi
Qui cominciamo a ragionare sui tempi, siamo in lieve ritardo sulla tabella di marcia: Signo ha delle scarpe che non tengono bene sulle rognose discese sul ghiaino e deve affrontarle rallentando un po’ la marcia. La Bocchetta dei Tre Sassi sarebbe la seconda via d’uscita per scendere al Sentiero delle Palete ma procediamo verso gli
Orti della Regina, con possibile discesa al Rif. Graffer.
Da sx Sasso Alto, Corno di Flavona, Bocchetta dei Tre Sassi
Vista verso Cinque Laghi e Presanella sullo sfondo
Ormai siamo in ballo, balliamo: niente discesa al Rif. Graffer ma decidiamo di proseguire per il
Sentiero attrezzato Gustavo Vidi, ideale continuazione del Sentiero Costanzi che attraversa così tutta la catena del Brenta nord orientale dal Peller fino al Passo Grosté. La parte attrezzata è facile, molti traversi però sono esposti e senza protezione. Poi c’è il tratto finale che mette sempre paura a vederlo: una esile traccia corre sopra a un precipizio di pareti verticali senza nessuna assicurazione. Ma dopo aver fatto il ben più impegnativo Costanzi il giorno prima, questo tratto si fa quasi cantando
Verso gli Orti della Regina
Sentiero Vidi sul ciglio del precipizio: quasi 'na monàda dopo il Costanzi
Sentiero Vidi
Teniamo d’occhio un numeroso gruppo di camosci che corre sulle cenge duecento metri sopra le nostre teste (che spettacolo!): se dovessero far distaccare dei sassi non saremmo in una bella situazione. Per fortuna i camosci ci precedono a distanza adeguata. Sbuchiamo quindi sulla stretta dorsale finale sopra al
Passo Grosté 2442, dove arriviamo verso le 11.30.
In vista del Passo del Grosté
Sembra incredibile ma sul sentiero in piano, a pochi metri dai cartelli del passo e dove ormai non c’è più nessun pericolo, piglio una storta! Per fortuna senza danni.
Il cartello Sat ci dà una mazzata al morale: 8 ore per il Rifugio Peller! Non tanto per la lunghezza ma perché arriveremo quindi sicuramente col buio. E’ un tratto che non conosco e non ho mai fatto. Il problema però è passare la parte rognosa del
Sentiero delle Palete 306 prima che faccia notte, ma in questo caso siamo in campana perché ci vogliono “solo” 2h e 30 dal Grosté. Dopo breve sosta, ripartiamo di buona lena: la prima parte del Sentiero delle Palete è meravigliosa, attraversando le ampie praterie alpine di
Pracastron di Flavona in leggera discesa. Costeggiamo
Pietra Grande,
Cima Vagliana, ci affacciamo sulla
Val delle Giare. Magnifica la vista su
Flavona e sul
Lago di Tovel più in basso.
Discesa per il Sentiero delle Palete
Vista sul Biotopo Flavona
Ora il sentiero si impenna e vediamo con preoccupazione dove va infognarsi 300 metri più in alto. Un vallonazzo roccioso ripidissimo e franoso, veramente brutto a vedersi immaginando quanto può essere rognoso risalirlo. E infatti: dopo molti traversoni esposti senza protezione, qualche tratto attrezzato sommariamente con cordino ci porta direttamente nell’impluvio.
Verso il Passo delle Palete
Vista verso il meraviglioso Campo Flavona
Affrontiamo tratti esposti senza assicurazione, che risaliamo faticosamente su terreno infido roccioso a balze cosparse di ghiaia. Nella parte terminale, delle “scale” con staffe e cordino di sicurezza (in ottimo stato visto che l’attrezzatura è stata rinnovata di recente) risalgono la parete rocciosa con alcuni passaggi pressoché verticali. Infine affrontiamo un ultimo traverso dove è franata la cotica erbosa mettendo a nudo la viva roccia, decisamente umida e scivolosa. Sotto la parete ripidissima, un bel baratro! Per fortuna un provvidenziale cordino evita il suicidio. Un caminetto attrezzato facile conduce alla
forcella delle Palete a quota 2314.
Traverso insidioso salendo verso il Passo delle Palete
Poco sotto il passo
Prima di sbucare sull’altro versante verso la Val Gelada ci chiediamo con una certa apprensione come possa essere la discesa. Indovinato: schifosa. Un ghiaione assai ripido e con fondo sdrucciolevole rende alquanto penosa la calata sul fondo del vallone. Arrivati in fondo, riprendiamo la marcia su comodo sentiero su prato, illudendoci che le ambasce siano finalmente finite. Sbagliato: dopo un altro traverso esposto con sentiero “mangiato” da erosioni e franamenti, ci troviamo a ravanare su un
costone ripido terroso, esposto e franoso dove siamo costretti a salire a gattoni per rimanere in piedi. Ma che razza di “sentiero alpinistico” è questo? Se uno lo dovesse fare in discesa, o peggio col bagnato, è da ammazzarsi.
Altro traversone del razzo, esposto e mangiato dalle frane, in certi tratti non c'è neppure il cavo ma bisogna attaccarsi ai pochi ciuffi d'erba rimasti; a sx il Passo delle Palete appena disceso
Superiamo anche questa difficoltà e scavallata una dorsalotta scendiamo verso la
Livezza Piccola dove troviamo con gioia un
serbatoio da dove sgorga acqua fresca (unico rifornimento possibile su tutto il percorso!). Beviamo abbondantamente e rabbocchiamo le borracce. Ci raggiungono tre romeni (!) che hanno fatto una scalata sul Gran de Formenton e scendono verso Maga Tuenna. Li seguiamo e per tenere il loro passo saltiamo il bivio del Sentiero delle Palete. Per fortuna me ne accorgo quasi subito: torniamo indietro a cercare il bivio ma a quel punto si impone una riflessione. Ha senso andare probabilmente a infognarsi in posti ignoti, prevedibimente difficili ed esposti quando mancano poche ore all’imbrunire? Guardiamo in alto dove dovrebbe passare il sentiero e pensiamo che di esposizioni e precipizi in due giorni ne abbiamo ormai avuti abbastanza.
Il sole del tramonto si abbassa all'orizzonte sulla Val Flavona
Proseguiamo quindi verso Malga Tuena, con l’idea di salire eventualmente dalla Val Madris. L’altimetro però cala un po’ troppo di quota per i nostri gusti: siamo ormai prossimi a quota 1700 e salendo verso Pra Castron per raccordarci eventualmente col Sentiero delle Palete, che rientra in Val Nana costeggiando Cima Uomo, dovremmo risalire di ben altri 700 metri! Troppi. A questo punto l’idea “geniale”: guardo la carta e mi ricordo della Val Formiga! Solo 340 metri di dislivello ma, soprattutto, un sentiero più veloce e meno rognoso, almeno a giudicare dalla carta. Abbandoniamo dunque il Sentiero delle Palete e, raggiunta quindi velocemente
Malga Tuena 1740, troviamo la
deviazione del sentiero 311 e con un traversone decisamente infinito attraversiamo i meravigliosi versanti orientali delle
Pale della Valina.
Val Formiga
I meravigliosi larici salendo al Passo Formiga
Gli ultimi 200 metri di salita per la bellissima ma ripida
Val Formiga sono davvero duretti, la fatica comincia a farsi sentire: siamo in marcia praticamente da 12 ore ininterrotte salvo brevissime soste. Arriviamo finalmente al
Passo Formiga 2072 ormai all’imbrunire, siamo salvi!
Scolliniamo e scendiamo in Val Nana, dopo 15 minuti tiriamo fuori le pile frontali, navighiamo “a vista” per le vallette pratose con l’aiuto del gps del cello e raggiungiamo quindi Malga Tassulla. Quindi, coi piedi che ormai fumano, siamo finalmente alla macchina al Laghetto Durigal.
Il percorso
Conclusioni: traversata entusiasmante, grandiosa, epica, impegnativa, spettacolare con paesaggi immensi e selvaggi nelle zone meno battute delle Dolomiti di Brenta. Necessari allenamento adeguato e assoluta assenza di vertigini, passo sicuro. L’orientamento non è un gran problema: il sentiero è segnato molto bene e con abbonanza coi soliti segni bianco-rosso. Il percorso del resto resto passa per l’unica via possibile (spesso sulle creste) e quindi è difficile sbagliare strada
. Poche le attrezzature di sicurezza, e non sempre nei posti dove sarebbero più necessarie. La fatica non è poca ma alla fine è più mentale che fisica, in quanto si deve mantenere sempre alta l’attenzione. Non sono infatti concesse distrazioni, che potrebbero costare molto care. Assenza d’acqua lungo il percorso, quindi partire riforniti adeguatamente. Consigliato imbrago e caschetto, scarpe con ottimo "grip". Diverse le vie di fuga possibili. Molto bello il Bivacco Bonvecchio in quota.
1° giorno Lago Durigal - Bivacco Bonvecchio
Sviluppo 15 km, dislivello non calcolato, circa 1400 o più
2° giorno Bivacco Bonvecchio - Sentiero Vidi - Passo Grosté, Sentiero Palete (parziale), rientro da Val Formiga - Lago Durigal
Sviluppo 26 km, dislivello non calcolato, circa m 1000